Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-02-2011) 22-04-2011, n. 16157 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza del 31 marzo 1999 con cui il Tribunale aveva ritenuto responsabili del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 W.A. e P.B.C., per avere, in concorso tra loro e con altre persone separatamente giudicate, detenuto a fine di cessione un quantitativo di eroina, di grammi 35 pari a circa 51 dosi, condannando il primo alla pena di tre anni di reclusione e L. 6.000.000 di multa, la seconda alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione e L. 9.000.000 di multa.

2. – Entrambi gli imputati ricorrono per cassazione tramite il comune difensore di fiducia e deducono, con un primo motivo, la manifesta illogicità della motivazione, nonchè la violazione dell’art. 192 c.p.p..

Si assume che la sentenza abbia ritenuto i due imputati responsabili della codetenzione della sostanza stupefacente in assenza di prove certe e omettendo di prendere in esame una serie di circostanze rilevanti, puntualmente dedotte nell’atto di appello, tra cui il fatto che il casolare in cui venne rinvenuta la droga era abbandonato e accessibile a tutti, sicchè chiunque avrebbe potuto occultarvi l’eroina; il fatto che i due imputati solo da poco tempo vi alloggiavano; la circostanza che l’eroina non venne trovata nella stanza dove i due imputati dormivano, ma in un altro ambiente, adibito a discarica di rifiuti, dove la droga era stata nascosta all’interno di una lattina di conserva schiacciata. Secondo i ricorrenti la loro responsabilità sarebbe stata affermata in maniera apodittica, ritenendo che essi non potevano non sapere della presenza dello stupefacente nel casolare, argomentazione del tutto insufficiente in quanto i giudici non avrebbero ricercato la prova certa del consapevole contributo causale che i due avrebbero dato all’ipotesi di detenzione in concorso.

Sotto un diverso profilo si lamenta che la sentenza non avrebbe dato alcuna spiegazione convincente e logica sulla mancata considerazione delle dichiarazioni rese da A., il quale ha sempre rivendicato la proprietà esclusiva della droga sequestrata nel casolare, ribadendo l’assoluta estraneità dei due imputati.

Infine, con riferimento alla posizione della P.B., si rileva che la sentenza omette ogni riferimento alla sua persona.

Con un altro motivo i ricorrenti censurano la decisione impugnata in ordine alla quantificazione della pena.

Il W. lamenta che i giudici non abbiano tenuto conto della sua incensuratezza, che avrebbe consentito anche l’applicazione della sospensione condizionale della pena; inoltre, assume che l’espulsione sarebbe stata disposta senza alcuna valutazione sulla concreta pericolosità sociale.

La P.B. si duole dell’eccessività della pena e della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

3. – I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito indicati.

3.1. – Secondo la sentenza nella notte del 25 settembre 1998, a seguito di un controllo operato dalla polizia giudiziaria all’interno di un casolare occupato da W. e P.B., assieme ai due coimputati H.M. e A.Z., vennero rinvenuti strumenti usati per lo "spaccio" di stupefacenti e, inoltre, otto bustine confezionate contenente sostanza poi risultata essere eroina.

La Corte d’appello, sulla base del verbale di sequestro e delle stesse dichiarazioni rese da A. e H., ha ritenuto che i due imputati fossero a conoscenza dell’esistenza della droga e degli strumenti per dividerla in dosi, ritenendoli per questo concorrenti nella illecita detenzione.

Tuttavia, i giudici d’appello hanno trascurato del tutto le deduzioni dedotte dagli imputati, finendo per affermare la loro responsabilità con una motivazione assertiva, sulla base di elementi indiziali incerti, privi delle caratteristiche della gravità, precisione e concordanza.

La sentenza assume che tutti gli imputati "erano a conoscenza dell’esistenza della droga" nel casolare, ma omette di spiegare come giunge a tali conclusioni; inoltre, afferma che gli imputati "erano dotati degli strumenti per dividerla in dosi", ma senza indicare alcuna prova al riguardo.

Invero, il solo elemento di prova sembra essere costituito dal fatto, riportato nello stesso verbale di arresto e in quello di perquisizione, che i due imputati vennero trovati all’interno del casolare, ma la sentenza non considera che nello stesso locale vi erano anche altre persone, che la sostanza stupefacente è stata rinvenuta in una stanza attigua a quella dove si trovavano i due ricorrenti; peraltro, nessun rilievo viene dato alle dichiarazioni rese da A., che in sede di interrogatorio si è detto unico proprietario dello stupefacente, sebbene in sede di esame si sia poi avvalso della facoltà di non rispondere.

In questo modo, la sentenza riconosce il concorso degli imputati nella detenzione dello stupefacente senza indicare nè lo specifico contributo da essi dato all’azione, nè fornendo elementi circa la loro consapevolezza in ordine al concorso nel reato; per quanto riguarda P.B. la sentenza non spende una sola parola per definire la sua posizione.

4. – Tali carenze motivazionali, che si pongono in contrasto con il principio secondo cui l’imputato può essere condannato solo se risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, giustificano l’annullamento della sentenza, con rinvio alla competente Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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