Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-07-2011, n. 15990 Fideiussione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.M. e A., con P.L., chiesero ed ottennero dal pretore di Pescara 3 decreti ingiuntivi, per la somma di L. 6 milioni 664 mila, nei confronti di A. M., D.R., M. e C.G., questi ultimi tutti co-fideiussori, con il loro dante causa L. R., della s.r.l. Alibi Confezioni., dopo che essi esponenti avevano estinto un mutuo – per un importo pari a quasi L. 100 milioni – contratto dal loro dante causa, il cui importo era stato utilizzato per ripianare il debito della detta società.

Gli ingiunti proposero opposizione.

Il giudice di primo grado la accolse in parte, revocando i provvedimenti monitori e condannando ciascuno degli opponenti al pagamento, in favore di ciascuno degli opposti, della somma di Euro 1.888, 94.

La corte di appello de L’Aquila, investita del gravame principale proposto dai C., da D.R. e da A. M. (erroneamente indicati in sentenza, al f. 4, come appellanti incidentali) e da quello incidentale avanzato dai R.- P. (erroneamente indicati, in sentenza, al f.

4, come appellanti principali), accolse in parte il primo, riducendo ad Euro 1258,77 la somma dovuta dagli appellanti principali e rigettando di converso quello incidentale (dopo aver dichiarato improcedibile un primo appello C. per mancata iscrizione a ruolo nei termini di legge).

La sentenza è stata impugnata da P.L. e da M. e R.A. con ricorso per cassazione sorretto da 2 motivi.

Resistono con controricorso D.R., A. M., M. e C.G..
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., commi 1 e 2: inammissibilità e/o improcedibilità del primo e del terzo motivo di appello.

Il motivo – che lamenta una pretesa violazione, da parte della corte territoriale, del divieto di ius novorum in appello, per non aver gli opponenti mai sollevato in prime cure questioni attinenti la composizione del debito della Alibi srl in relazione ai titoli originanti del debito stesso – è privo di pregio in fatto e inammissibile in rito.

Esso si infrange, difatti, sullo speculare (in parte qua) dictum del giudice del gravame che, al folio 7 dell’impugnata sentenza, richiama esplicitamente la decisione del primo giudice avente ad oggetto proprio la questione oggi sollevata dai ricorrenti – e cioè quella della decadenza ex art. 1957 c.c. in cui sarebbe incorsa la creditrice Caripe con riferimento alle due cambiali (di cui pur si discorre in ricorso) senza che il co-fideiussore R.L. avesse sollevato la relativa eccezione -, rilevando ed emendando l’error iuris in cui era incorso il tribunale nel ritenere il fideiussore comunque surrogato nei diritti del creditore pur avendo eseguito un pagamento non dovuto ex art. 1957 c.c..

Il motivo, peraltro, prima ancora che infondato, risulta del tutto inammissibile per difetto di autosufficienza, essendo preciso (quanto nella specie inevaso) onere dei ricorrenti riprodurre, in parte qua, gli atti del giudizio di primo grado da cui emergerebbe la bontà della loro tesi volta ad affermare (f. 10 del ricorso) la tardività dell’eccezione (a loro dire ammessa dalle stesse controparti) per essere stata sollevata dagli odierni resistenti per la prima volta con l’atto di appello.

Con il secondo motivo, si denuncia contraddittorietà della motivazione di rigetto dell’appello incidentale con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è anch’esso, prima ancora che infondato nel merito (avendo la sentenza impugnata correttamente applicato il principio di diritto secondo il quale l’obbligazione che ciascuno dei co-fideiussori fa valere in regresso nei confronti di tutti gli altri si modella e ripete il suo contenuto, morfologico e funzionale, dall’obbligazione principale) inammissibile in rito.

Lamentando esclusivamente un vizio di motivazione della sentenza impugnata, difatti, la doglianza avrebbe dovuto concludersi non già con la formulazione di un (inconferente) quesito di diritto, riservato ex lege alla disamina e denuncia di altri vizi della sentenza, bensì con una sintesi del fatto controverso e con una chiara indicazione della decisività dell’errore in ipotesi commesso dal giudice di merito.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 1700, di cui Euro 200 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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