Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-02-2011) 22-04-2011, n. 16104 Intercettazioni telefoniche Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa al termine del giudizio abbreviato dal giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Trani in data 20.07.2009, M.S., P.F., O.N. e R.A. venivano riconosciuti colpevoli del reato di illecita detenzione a fine di spaccio e cessione a titolo oneroso, in concorso, di sostanze stupefacenti e condannati alle pene ritenute di giustizia.

La condanna ha preso origine dall’indagine effettuata dai Carabinieri di Trani in ordine al tentato omicidio commesso in data 9.04.2008 in danno del pregiudicato M.S. che, verso le ore 21.40 circa, in Trani era stato attinto da numerosi colpi di arma da fuoco indirizzati agli arti inferiori, esplosi da due persone rimaste ignote; il M. veniva prontamente soccorso e accompagnato presso il locale ospedale civile.

Veniva incardinato presso la Procura della Repubblica di Trani un procedimento penale nel cui ambito venivano richieste ed autorizzate le intercettazioni delle utenze in uso alla fidanzata del M. ( P.F.) ed alla madre di quest’ultima, nonchè un’intercettazione ambientale audio-video eseguita nella stanza di degenza del M.S., che era stato ricoverato presso l’ospedale di Trani.

L’attività intercettativa , che si protraeva dal 9 al 26 aprile 2008, disvelava il coinvolgimento del M. e degli altri soggetti di cui sopra, che frequentemente si erano recati a fargli visita presso la sala di degenza dell’ospedale, in una fiorente attività di detenzione illecita e confezionamento, nella stessa stanza di ospedale, di sostanze stupefacenti – del tipo cocaina – che, successivamente, gli stessi intercettati, anche con la collaborazione del minore S.A., la cui posizione veniva stralciata, spacciavano in quel di Trani ed in particolare in zona Colonna.

Emergeva che l’anzidetta attività di spaccio era diretta dal M., collaborato attivamente da O.N., che si avvaleva per il taglio e confezionamento delle dosi di B. P. e P.F., nonchè sempre del B. e del minore S.A. per la vendita e il recupero crediti. Un ulteriore significativo riscontro era rappresentato dall’arresto, a seguito di servizio di o.p.c., di B.P. che in data 26.04.2008, proveniente dalla stanza ospedaliera del M., veniva sorpreso in possesso di 13 dosi di cocaina.

Il B. "patteggiava" la pena, mentre gli altri imputati chiedevano di essere giudicati con il rito abbreviato.

Il Gup perveniva alla pronuncia di condanna nei confronti di tutti i soprascritti imputati valorizzando l’esito delle intercettazioni sia telefoniche che soprattutto ambientali, nonchè i servizi di o.p.c. e l’arresto del B..

Il giudice non riconosceva l’ipotesi attenuata di cui al quinto comma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e graduava la pena per ciascuno degli imputati tenendo conto degli indizi gravanti su ciascuno di essi, del ruolo in concreto svolto nell’ambito dell’attività di confezionamento e spaccio e dei precedenti penali; il Gup riconosceva a tutti gli imputati le attenuanti generiche, per la ritenuta necessità di adeguare la pena alla entità del fatto e le valutava equivalenti rispetto all’aggravante contestata e alla recidiva con riferimento a M., O. e R.; le riteneva prevalenti solo per la P. stante la sua incensuratezza.

Unificati i reati sotto il vincolo della continuazione ed applicata la riduzione per la diminuente processuale le singole pene venivano così calcolate: per il M.: pena base: anni 9 di reclusione e Euro 90.000,00 di multa; aumentata di anni 3 di reclusione e Euro 30.000,00 di multa per la continuazione: anni 12 ed euro 120.000,00 , ridotta per il rito abbreviato: a 9 anni di reclusione e euro 90.000,00 di multa; per O. e R.: anni sei di reclusione ed Euro 27.000,00 di multa ciascuno; per P. F. anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa.

2. Impugnata la sentenza da tutti gli imputati, la Corte di appello di Bari riduceva la pena inflitta a M.S. ad anni sei, mesi quattro di reclusione ed Euro 28.000,00 di multa; riduceva pena inflitta ad O.N. ad anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa; riduceva la pena inflitta a R.A. ad anni quattro di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa; riduceva la pena inflitta a P.F. ad anni tre di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa; revocava nei confronti di R.A. la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la sostituisce con quella temporanea per la durata di anni cinque; confermali nel resto l’impugnata sentenza.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati con separati ricorsi. M. deduce: 1) violazione degli artt. 191 e 266 cod. proc. pen., u.c., per la ritenuta utilizzabilità delle intercettazione eseguite in ospedale, luogo da considerarsi di privata dimora, in assenza di un regolare provvedimento autorizzativo; 2) mancanza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla affermazione di responsabilità; secondo il ricorrente non sussiste prova sicura del reato contestato atteso che le conversazioni intercettate avevano natura neutra o al massimo ambigua; 3) irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per mancata concessione dell’attenuate di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

P.: 1) violazione degli artt. 191 e 266 cod. proc. pen., u.c., per la ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni eseguite in ospedale, luogo da considerarsi di privata dimora, in assenza di un regolare provvedimento autorizzativo; 2) mancanza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla affermazione di responsabilità; deduce che non sussiste prova sicura del reato contestato atteso che l’imputata aveva mantenuto, come risulta dalle conversazioni intercettate, un atteggiamento omissivo ed inerte, semplicemente non ostacolando l’attività degli altri, attività che non aveva obbligo di impedire, ed anzi talvolta mostrandosi fermamente contraria; 3) irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per mancata concessione dell’attenuate di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. R. deduce: 1) violazione degli artt. 191 e 266 cod. proc. pen., u.c., per la ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni eseguite in ospedale, luogo da considerarsi di privata dimora, in assenza di un regolare provvedimento autorizzativo; 2) mancanza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla affermazione di responsabilità, essendosi egli recato in ospedale da M. una sola volta (15.4.2008) e non potendosi ritenere con certezza che le somme di denaro di cui alla intercettazione si riferissero a sostanza stupefacente; nè una tale certezza poteva ricovarsi dal dialogo intervenuto in altre occasioni in cui i coimputati si riferivano a (OMISSIS) o al "(OMISSIS)" atteso che la sua identificazione in tale soggetto era frutto di mere congetture; 3) difetto di correlazione tra l’imputazione e la sentenza: la Corte di appello lo ha ritenuto responsabile solo di un’unica fornitura di stupefacente provata dalla intercettazione audio-visiva del 22.4.2008 nella quale M. e B. parlavano della "rimanenza" da dare a "(OMISSIS)" indicandolo anche come il "(OMISSIS)"; ma si tratta – sostiene il ricorrente – di fatto diverso da quello contestatogli che era il concorso nella attività di detenzione, confezionamento e alienazione della droga dei coimputati; 4) mancata esclusione della aggravante di cui all’art. 73, comma 6, nonostante la stessa sentenza avesse ritenuto che "non si potesse escludere" che il debito nei confronti dell’imputato fosse stato contratto non dal solo M. ma anche dall’intero gruppo facente capo a quest’ultimo; 5) irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per mancata concessione dell’attenuate di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. O. prospetta: 1) violazione degli artt. 191 e 266 cod. proc. pen., u.c., per la ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni eseguite in ospedale, luogo da considerarsi di privata dimora, in assenza di un regolare provvedimento autorizzativo; 2) violazione di legge e difetto di motivazione per la mancata concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e per la mancata concessione delle attenuanti generiche prevalenti; 3) violazione dell’art. 81 cpv cod. pen. in relazione al disposto aumento di pena di due anni per la ritenuta continuazione con altri reati della stessa indole, non sorretto da adeguata motivazione.

I difensori dell’imputato R. hanno ulteriormente illustrato e ribadito i motivi di ricorso proposti nell’interesse del loro assistito, sopra specificati, con memoria aggiuntiva.
Motivi della decisione

1. I ricorsi non meritano accoglimento salvo quanto si dirà in relazione al ricorso di R. per la aggravante del numero delle persone.

1.1. Può in primo luogo prendersi in esame la censura proposta da tutti i ricorrenti di violazione degli artt. 191 e 266 cod. proc. pen., u.c., e di inutilizzabilità delle intercettazioni, che si assumono illegittime in quanto eseguite in ospedale, luogo da considerarsi di privata dimora con la conseguente necessità di un provvedimento autorizzativo che facesse riferimento alla attività criminosa in corso, requisito quest’ultimo mancante. Deve al riguardo osservarsi che sono del tutto corrette le argomentazioni svolte dalla Corte di appello per rispondere ad analogo motivo, in quella sede proposto dai soli imputati R. e O..

La Corte di merito si è richiamata alla sentenza della 6^ sezione di questa Corte del 13.5.2009 dep. Il 3.6.2009, n. 22836 R. rv 244148, con la quale si è espressamente escluso che ai fini dell’ammissibilità dell’intercettazione di comunicazioni tra presenti, la stanza di degenza di un ospedale possa essere considerata luogo di privata dimora. E ciò in quanto per luogo di privata dimora, ai fini di che trattasi, deve intendersi quello adibito all’esercizio di attività che ciascuno ha diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza interferenza e turbativa da parte di estranei; deve cioè trattarsi di luoghi che assolvano attualmente e concretamente la funzione di proteggere la vita privata di coloro che li possiedono, i quali sono titolari dello "ius excludendi alios" al fine di tutelare il diritto alla riservatezza di ciascun soggetto nelle sue personali modalità esistenziali che l’art. 14 Cost. garantisce proclamando l’inviolabilità del domicilio. Tali caratteristiche non possono assolutamente ravvisarsi in una camera di degenza ospedaliera, luogo "lato sensu" pubblico posto sotto il diretto controllo del personale ospedaliere non fosse altro che – ha osservato la Corte di Lecce – per la possibilità del sopraggiungere in essa in qualunque momento del personale medico e paramedico o dei parenti degli stessi degenti, circostanza positivamente riscontrata nella specie allorchè i dialoghi intercettati si interrompevano repentinamente proprio per il sopraggiungere di altre persone. Tali richiamati e dal Collegio condivisi rilievi non ricevono smentita, come vorrebbero i ricorrenti, per effetto della giurisprudenza di questa Corte, richiamata dagli stessi, secondo la quale per luogo destinato a privata dimora deve intendersi qualsiasi luogo, non pubblico, in cui una persona si trattenga, in modo permanente oppure transitorio e contingente, per compiere atti di vita privata o attività lavorative (per tutte, v. sentenza n. 20022 del 16.4.2008 rv. 239980). Tale orientamento, peraltro del tutto condivisibile, non comporta le conseguenze che vorrebbe il ricorrente perchè si tratta di principi espressi rispetto alla diversa situazione del furto in abitazione, attualmente disciplinato dall’art. 624 bis c.p., con una disposizione in cui lo stesso tenore letterale del dettato normativo, nel prevedere la "introduzione in edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora", non è del tutto sovrapponibile a quello di cui alla norma sulla violazione di domicilio ( art. 614 cod. pen.), ma fa riferimento ad una situazione diversa e più ampia di quella che è prevista invece dal predetto art. 614 c.p., espressamente richiamato dalla norma processuale contenuta nell’art. 266. Non può dunque destare sconcerto il fatto che la nozione di "abitazione o luogo di privata dimora" assuma diverse connotazioni in relazioni a diverse fattispecie criminose sostenute da diverse finalità punitive, di cui quella del furto destinata a rafforzare la protezione del patrimonio del soggetto in qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata (sez. 5^ 5.5.2010 dep. 14.6.2010 n. 22725 rv 247969).

2. Anche le censure relative alla ritenuta responsabilità possono essere congiuntamente valutate, salvo opportuni approfondimenti per le singole posizioni ove siano state prospettate questioni particolari; il compendio probatorio è costituito infatti principalmente dalle medesime fonti di prova, le intercettazioni ambientali e le riprese video effettuate e l’attività criminosa dei ricorrenti risulta posta in essere in tale comune contesto. Si deve al riguardo rilevare che la sentenza impugnata ha diffusamente e puntualmente rappresentato l’esistenza di una situazione probatoria assolutamente convincente in ordine all’attività illecita posta in essere dai singoli imputati, le cui posizioni sono state partitamente esaminate, riferendo come i dialoghi tra gli stessi, nonostante l’uso di un linguaggio spesso allusivo e criptato, fossero sicuramente attinenti l’attività di spaccio cui essi erano dediti, che continuava nonostante la degenza in ospedale di M.S., principale referente di tale attività, cui giornalmente gli altri presentavano rendiconto delle vendite al minuto e dei relativi ricavi, avvalendosi della collaborazione di altri personaggi che non figurano nel presente procedimento e primo fra tutti di quel B. Pasquale che si è già detto essere stato arrestato all’uscita dell’ospedale con 13 dosi di stupefacente confezionate poco prima con gli altri; puntuale è la sentenza anche nel riferire che proprio nella camera d’ospedale del M. gli imputati si dedicavano all’attività di "confezionamento" delle dosi, come si è potuto osservare dalle riprese video effettuate; questo particolare assume decisiva rilevanza per la posizione della P. che, ha già del tutto condivisibilmente rilevato l’impugnato sentenza, non può considerarsi , come dalla medesima sostenuto, soltanto connivente avendo positivamente collaborato appunto al confezionamento delle dosi di cocaina ed essendosi rivelata molto attiva nell’informare il M. dell’attività di spaccio del B. e nel controllo delle somme da recuperare e più in generale della contabilità del gruppo. La posizione di R. è stata fatta oggetto di attenta considerazione e la Corte ha riferito della circostanza che i numerosi riferimenti alla sua persona, indicata con i soprannomi di "(OMISSIS)" o "(OMISSIS)" per la sua calvizie, si sono inseriti nel contesto della illecita attività degli altri di gestione dello spaccio, risultando dunque logicamente sicuro che i riferimenti ai "debiti" e alle "rimanenze" che nei suoi confronti si avevano erano collegati al commercio degli stupefacenti;

e che fosse proprio lui la persona indicata con i detti sopranomi è stato confermato dalla sua presenza in ospedale almeno in due occasioni (il 15 e il 17.4.2008) per far visita al M..

3. Nè può il R. fondatamente dolersi di essere stato condannato per un fatto diverso da quello contestato e cioè dell’unica fornitura di stupefacente provata dalla intercettazione audio visiva del 22.4.2008, atteso che la Corte di appello ha già opportunamente messo in rilievo come anche tale episodio si inserisse nel quadro dell’attività illecita concorsuale contestata, con una semplice precisazione del ruolo di fornitore dal medesimo tenuto ed una sostanziale riduzione dell’originaria contestazione mossa.

4. Per quanto riguarda l’attenuante di cui al comma 5, la cui mancata concessione è fatta oggetto di censura da tutti i ricorrenti sostenendosene l’irragionevolezza, è sufficiente osservare che la Corte di appello ha espresso corretta e condivisibile motivazione al riguardo riferendosi alle peculiari modalità dell’attività posta in essere dal M. e dai suoi complici, continuativa e ben radicata, non interrotta nemmeno dalla degenza ospedaliera del medesimo, rilievo certamente valido anche per R. cui, in occasione della visita ricevuta il 15.4.2008, M. assicurava la pronta "chiusura" del lavoro.

5. Resta da precisare, con riferimento alla posizione di O., che non risulta censurabile, in quanto debitamente motivata, la decisione della Corte barese che ha escluso di poter ritenere la prevalenza delle attenuanti generiche in considerazione dei precedenti specifici ed ha due anni, a front dei tre anni ritenuti in primo grado, l’aumento inflitto a titolo di continuazione per i reati di cui al presente procedimento, avendo ritenuto tale aumento più adeguato alla attività concorsuale positivamente accertata a suo carico.

6. La sentenza deve invece essere annullata per quanto riguarda il punto concernente la sussistenza della aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 76, comma 6, e cioè il numero delle persone coinvolte, che risulta motivata con l’affermazione che non si poteva escludere che il debito nei confronti del R. fosse stato contratto non dal solo M. ma dall’intero gruppo; si tratta di una motivazione esclusivamente negativa, che non può ritenersi sufficiente a sostenere l’affermazione fatta che deve trovare sostegno in un positivo giudizio di sussistenza delle condizioni di fatto che intergrano l’aggravante in parola.

7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di R.A. limitatamente al punto concernente l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 76, comma 6, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari. Il ricorso va nel resto rigettato quanto al R.; e vanno altresì rigettati i ricorsi di M.S., P.F., O. N. che condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.A. limitatamente al punto concernente l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 76, comma 6, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso dello stesso R.. Rigetta il ricorsi di M.S., P. F. e O.N. che condanna al pagamento delle spese processuali.

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