Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-02-2011) 22-04-2011, n. 16094 Materie esplodenti lesioni colpose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza pronunziata in data 24 novembre 2008,il Tribunale di Trani – Sezione staccata di Ruvo di Puglia, dichiarava P. C. responsabile del reato di cui all’art. 590 c.p. per aver cagionato lesioni gravissime consistite nell’amputazione della mano destra, al minore M.G. al quale era esploso in mano un petardo raccolto nel fondo del padre ove, per generica imprudenza, negligenza ed imperizia, era stato incautamente lasciato dal P., in qualità di titolare dell’omonima fabbrica di fuochi d’artificio, dopo gli spettacoli pirotecnici tenutisi per i festeggiamenti del Corpus Domini e dell’Ottavario del Corpus Domini, nei giorni (OMISSIS) – fatto verificatosi in (OMISSIS) – con conseguente condanna del predetto P. alla pena di mesi OTTO di reclusione nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede.

La Corte d’appello di Bari, con sentenza emessa in data 15 dicembre 2009,in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena inflitta al P., a mesi TRE di reclusione con concessione dei doppi benefici di legge; riteneva il concorso di colpa del danneggiato in misura del 50% accordandosi allo stesso una provvisionale di Euro 10.000. Confermava nel resto l’appellata sentenza.

L’istruttoria dibattimentale ebbe sufficientemente a dimostrare che l’imputato aveva omesso colposamente di effettuare,una volta terminato lo spettacolo pirotecnico, un’accurata bonifica della zona circostante oltrechè di controllare lo stato dei luoghi, in violazione, quindi, non solo delle regole dettate dalla comune prudenza a tutela dell’incolumità a altrui, ma anche in violazione delle specifiche prescrizioni e disposizioni dettate in materia, con apposita circolare, del Ministero dell’interno. L’evento aveva trovato causa sia nella negligente esecuzione della bonifica dell’area circostante il luogo ove si erano tenuti, per una serie di serate precedenti, spettacoli pirotecnici organizzati esclusivamente dalla ditta che faceva capo all’imputato sia nell’improvvida condotta della parte offesa che aveva avventatamente maneggiato il petardo, pur essendo in grado di rappresentarsi agevolmente l’eventualità della presenza di esso sul terreno, dopo gli avvertimenti in tal senso ricevuti dal padre che, nei giorni precedenti, vi aveva veduto residui del lancio dei fuochi d’artificio. L’evento era quindi la risultanza di cause concorrenti, tra loro interdipendenti di guisa che, come evidenziato dalla Corte d’appello, mancando l’una (le omissioni dell’imputato), l’altra (la condotta della parte offesa) sarebbe rimasta inefficace, "nessuna delle due, disgiunta dall’altra, potendo realizzare l’evento".

Ricorre per cassazione P.C., per tramite del difensore, articolando tre motivi, di seguito sintetizzati.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia il vizio di omessa motivazione "in ordine alla richiesta di perizia ex art. 220 c.p.p. formulata durante il dibattimento di primo grado e reiterata nel giudizio di secondo grado" qualificato dal ricorrente l’accertamento della massima "gittata" del petardo "prova decisiva a discarico" la cui mancata assunzione integrerebbe la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. D). In ogni caso il ricorrente si duole della violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) per l’omessa motivazione in ordine alla suddetta richiesta di espletamento di perizia.

Con il secondo motivo, denunzia il ricorrente il vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato della sentenza della Corte d’appello di Bari che ha omesso di valutare attentamente e compiutamente tutto il materiale probatorio che era idoneo ad escludere qualsivoglia responsabilità colposa dell’imputato posto che, come risultato dalle deposizioni dei diversi testi escussi in primo grado, il P. aveva provveduto – puntualmente ed a regola d’arte – all’azione di ripulitura e di bonifica dei terreni circostanti, in ottemperanza alle prescrizioni della circolare in materia del Ministero dell’interno, con inizio all’alba del giorno successivo all’ultimo spettacolo, fatta salva un’interruzione alle ore 8,20 per un piccolo lancio di fuochi; il tutto sotto il controllo dei vigili urbani. I Giudici d’appello hanno quindi contraddittoriamente attribuito all’imputato la responsabilità dell’evento pur avendo evidenziato la condotta quantomeno irresponsabile del padre del minore che lo aveva incaricato di bruciare cumuli di carta e materiale di risulta derivante da uno spettacolo pirotecnico tenutosi qualche giorno prima e rinvenuto nel terreno di sua proprietà nel corso dell’aratura, verosimilmente distante ben oltre la "gittata" massima del petardo che poteva cadere entro un raggio massimo di mt. 100 dalla zona di sparo. Con il terzo motivo denunzia il ricorrente la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) in relazione all’erronea applicazione dell’art. 40 c.p., per aver la Corte d’appello escluso la sopravvenuta interruzione del nesso di causalità tra le pretese omissioni colpose ascritte all’imputato e l’evento per effetto del comportamento incauto del M.G., in quanto a conoscenza del fatto che nelle vicinanze del terreno del padre erano stati accesi fuochi d’artificio. Ha in tal modo la Corte d’appello obliterato che la condotta eziologicamente valutabile a carico del M. – quale unica ed esclusiva causa dell’evento – risiedeva non tanto nella suddetta consapevolezza del recente svolgimento dello spettacolo pirotecnico, ma nell’ordine impartito dal padre al minore di dare fuoco ai residui cartacei sparsi sul terreno; condotta positiva,alla quale il P. era assolutamente estraneo e che fungeva da causa unica ed esclusiva del tragico evento tale da rendere inapplicabile "Il meccanismo giuridico dell’art. 40 c.p.". Attesa l’indubbia relazione causale tra l’evento e detta condotta colposa avrebbe dovuto ritenersi che la lesione gravissima patita dal minore era conseguenza del comportamento incauto del padre, di guisa che l’evento non si sarebbe verificato se il M. avesse rispettato le comune regole di buon senso e di cautela, imposte dalla obiettiva vicinanza del terreno alla zona di avvenuta esplosione dei fuochi d’artificio.

Con memoria depositata in cancelleria in data 26 gennaio 2011, il difensore della parte civile ha concluso, in via principale, onde non farsi luogo alla declaratoria di estinzione del reato per maturata prescrizione, per l’inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato, il cui contenuto risultava meramente ripetitivo delle doglianze dedotte con i motivi d’appello ed esclusivamente finalizzato ad una rivalutazione delle risultanze probatorie; in via subordinata, per la conferma delle statuizioni civili.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che preliminarmente – avuto riguardo al tempus commissi delicti ((OMISSIS)), al titolo del reato (lesioni colpose gravissime) ed alla pena edittale per lo stesso prevista (concesse all’imputato le attenuanti generiche) – occorre verificare se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione (sette anni e mesi sei),così calcolato in base al disposto dell’art. 157 c.p., comma 1, n. 4 e comma 2, artt. 158, 159 e 160 c.p. (nel testo previgente alle modifiche introdotte con la L. n. 251 del 2005) e rimasto invariato anche ove intenda farsi riferimento alla normativa, come novellata, già in vigore alla data (4 novembre 2008) in cui veniva pronunziata la sentenza di condanna di primo grado determinando la pendenza del giudizio in grado d’appello. Ciò posto, va rilevata ex art. 129 c.p.p. l’intervenuta prescrizione maturatasi il 25 dicembre 2009.

Tanto premesso, occorre verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di Bari, con l’impugnata sentenza, il ricorso presenti profili di inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perchè basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità).

Orbene, il ricorso non presenta connotazioni di inammissibilità – eccezion fatta per ciò che concerne il primo motivo, di cui si dirà in appresso – essendo basato quanto alle altre censure dedotte, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte civile, su doglianze con le quali sono state affrontate tematiche non solo relative a prospettati vizi di asserita erronea valutazione degli elementi probatori acquisiti ma anche concernenti questioni tecnico-giuridiche (con il richiamo a precedenti della giurisprudenza di questa Corte) relative, in particolare, all’applicazione,a caso di specie, delle norme in materia di nesso eziologico ed all’effetto interruttivo sul medesimo prodotto dalla sopravvenienza di serie causali asseritamente determinanti, in via esclusiva, dell’evento.

Per altro verso, non sussistono le condizioni di legge per l’applicabilità del disposto dell’art. 129 c.p.p., comma 2 anche per quanto di seguito si dirà nell’esaminare la fattispecie ai fini civilistici.

In linea di principio, è noto che in presenza di una causa estintiva del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione (sia con riferimento alle valutazioni del compendio probatorio, sia con riferimento al vaglio delle altre deduzioni). Il sindacato di legittimità, ai fini dell’eventuale applicazione del secondo comma dell’art. 129 c.p.p., deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato o della sua non punibilità per altra causa risulti evidente, emerga "positivamente, ictu oculi" (cfr. S.U. n. 35490 del 2009) sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini e di ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Qualora, quindi, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti ed alla luce del chiaro dettato dell’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, prevale l’esigenza della definizione immediata del processo. Nè, intervenuta una causa estintiva del reato, l’eventuale difetto o contraddittorietà od insufficienza della prova della colpevolezza dell’imputato non consente di accedere al proscioglimento nel merito, ex art. 530 c.p.p., comma 2 potendo prevalere la causa di non punibilità, à sensi dell’art. 129 cpv. c.p.p. e art. 531 c.p.p., comma 1 nel solo caso in cui quest’ultima emerga in modo palese, "positivamente" dagli atti processuali. Ed inoltre, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, addirittura la sussistenza di una nullità (e pur se di ordine generale) non è rilevabile nel giudizio di cassazione, In quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva" (in tal senso, ex plurimis: Sez. Un. 28/11/2001, Cremonese; Sez. Un. n. 35490/2009, Tettamanti). L’impugnata sentenza deve èssere pertanto annullata senza rinvio, ai fini penali, perchè estinto il reato per prescrizione.

La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, comporta la necessità di esaminare le doglianze del ricorrente ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili ( art. 578 c.p.p.). Agli effetti civili il ricorso deve essere rigettato, per l’infondatezza delle censure addotte a suo sostegno.

Per ciò che concerne il primo motivo di ricorso concernente il vizio di omessa motivazione "in ordine alla richiesta di perizia ex art. 220 c.p.p. formulata durante il dibattimento di primo grado e reiterata nel giudizio di secondo grado" onde accertare la massima distanza alla quale avrebbe potuto esser lanciato massima il petardo quale "prova decisiva a discarico" la cui mancata assunzione integrerebbe la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. D), va rilevato che trattasi di doglianza inammissibile perchè non dedotta con i motivi d’appello (costituenti parte integrante della motivazione della sentenza impugnata) quale violazione del disposto dell’art. 603 c.p.p.. In ogni caso va giudicata manifestamente infondato il dedotto vizio motivazionale,visto che implicitamente,ma del tutto esaustivamente (cfr pagg. 36, 37 e 42 della sentenza) la Corte d’appello ha statuito in ordine all’ininfluenza ed all’inutilità di siffatti accertamenti peritali, essendo pacificamente emerso che la distanza tra il punto di sparo del petardo e quello del terreno ove lo stesso fu rinvenuto dal minore, a tutto concedere, era compresa tra i 250 ed i 300 metri; distanza che l’ordigno, indiscutibilmente sparato dall’imputato, riuscì a "coprire", come dimostrato dal suo rinvenimento in quel punto.

Va comunque ancora sottolineato, in linea di principio, che la mancata assunzione di una perizia, previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, come ripetutamente chiarito da questa Suprema Corte, atteso il carattere neutro della perizia – come tale sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa alla discrezionalità del giudice – non può farsi rientrare nel concetto di mancata assunzione di una prova decisiva, e che, perciò, non è sussumibile nella previsione dell’art. 606 c.p.p., lett. d), (ex multis, Sez. 4, 22 gennaio 2007, n. 14130; Sez. 4, 5 dicembre 2003, n. 4981; Sez 6, 18 giugno 2003; Sez. 6, 12 febbraio 2003, n. 17629).

Quanto, al secondo ed al terzo motivo di ricorso, col quale si censura l’illogicità e l’incongruenza del percorso motivazionale esplicitato dalla gravata sentenza quanto all’affermazione di responsabilità del prevenuto e l’erronea applicazione dell’art. 40 c.p. giova innanzitutto ricordare che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale di questa Suprema Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996); id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).

Il vizio di motivazione, poi, deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità -, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30).

Nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati in sintesi (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamati – forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo. La trama argomentativa esibita dalla sentenza impugnata si sottrae, perciò, a rinvenibili vizi di illogicità, che, peraltro, la norma impone risulti manifesta, cioè rilevabile immediatamente, ictu oculi; essa da logica contezza non solo della insussistenza della prova evidente della innocenza dell’imputato (per quanto possa rilevare ai fini penali, per come sopra si è detto), ma anche della sussistenza di elementi di giudizio di evidente ed univoco segno contrario, giustificativi delle rese statuizioni civilistiche. All’esito quindi di una valutazione delle prove raccolte nel dibattimento di primo grado del tutto coerente e scevra di omissioni od illogicità, la Corte d’appello – giova precisarlo pur in estrema sintesi – ha giudicato sussistente la mancata esecuzione delle operazioni di bonifica del terreno del padre del danneggiato – sito ad una distanza compresa tra 100 e 250-300 metri dalla zona di sparo – come ascrivibile pacificamente all’imputato, alla cui ditta – e non ad altre – come attestato dal Comando della Polizia Municipale di Ruvo di Puglia in data 5 ottobre 2002 (atto peraltro allegato alla memoria depositata dalla parte civile) non solo nella prima decade del mese di giugno 2002, ma anche in taluni giorni dei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio 2002 era stata rilasciata l’autorizzazione allo svolgimento di spettacoli pirotecnici. L’imputato, come sottolineato dai Giudici d’appello in particolare sulla scorta dei rilievi fotografici effettuati dai Carabinieri a dimostrazione dello stato del luoghi esistente al momento dello scoppio del petardo (quindi a smentite delle deposizioni dei testi a discarico) ebbe ad omettere di eseguire a regola d’arte, con le dovute accuratezza e diligenza, la bonifica dell’"area di sparo e delle zone adiacenti per l’individuazione ed eliminazione di ogni eventuale residuo di materiale inesploso o incombusto", come testualmente stabilito dalla circolare del Ministero dell’Interno 11 gennaio 2001, inclusa nel corpo della motivazione della stessa sentenza d’appello e come sancito al punto n. 11 della licenza di accensione di fuochi d’artificio, a prescindere, com’è intuitivo nonchè del tutto logico, da qualsivoglia preventiva delimitazione in astratto della distanza tra la zona da sottoporre alla prescritta bonifica, rispetto al punto di accensione dei fuochi stessi. Quanto alle questioni attinenti al nesso eziologico, sottolinea il Collegio che la Corte distrettuale, con argomentazioni congrue e condivisibili e comunque perfettamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – del tutto immuni dai lamentati vizi sia di violazione di legge che di contraddittorietà ed illogicità della motivazione – ha affermato, sulla base del principio di equivalenza delle cause, che l’evento era stato determinato dalla concorrenza, ex art. 41 c.p., delle omissioni dell’imputato con la condotta del danneggiato, non integrando quest’ultima, causa sopravvenuta ex se determinante dell’evento lesivo tale da provocare l’interruzione del nesso di causa. E’ fuor di dubbio che anche il minore M.G. aveva incautamente (e quindi colposamente) raccolto il petardo dal terreno (poi esploso in quel preciso istante, mentre lo teneva in mano, prima di averlo gettato sul fuoco, insieme agli altri residui degli spettacoli pirotecnici lanciati sul fondo, come riferito dal teste C., presente al momento del sinistro) benchè preavvertito dal padre che, qualche giorno prima, aveva rinvenuto sul terreno le " spolette" dei fuochi d’artificio.

Al rigetto del ricorso agli effetti civili consegue la condanna del ricorrente alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese relative a questo giudizio che, ex actis, si liquidano in complessivi Euro 1.000,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perchè estinto il reato per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio, che, ex actis, liquida in Euro 1.000,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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