Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-11-2010) 22-04-2011, n. 16152

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- L’odierno processo costituisce la ramificazione di ampie ed articolate indagini preliminari, a lungo sviluppatesi in più direzioni e nei confronti di un gran numero di persone, aventi per oggetto fatti costituenti reato verificatisi nel quadro del piano di ricostruzione abitativa di Napoli, della relativa provincia e della regione Campania a seguito del terremoto avvenuto il 23.11.1980.

Piano, prefigurato nel compendio normativo formato dalla L. 14 maggio 1981, n. 219 (di conversione del D.L. n. 75 del 1981 sugli interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980) e dalla L. 6 agosto 1981, n. 456 (di conversione del D.L. n. 333 del 1981 recante proroga del termine per il completamento degli interventi nelle zone colpite dal terremoto del novembre 1980), imperniato sulla edificazione di 13.500 alloggi nel territorio comunale e di 6.500 alloggi nella periferia cittadina, affidata alla gestione di due nuove figure istituzionali costituite dal Commissario Straordinario del Governo per il Comune di Napoli competente per le aree interne (13.500 alloggi) e il Commissario Straordinario del Governo per la Regione Campania competente per le aree esterne (6.500 alloggi), cariche rispettivamente coincise nella fase iniziale di attuazione del piano con il Sindaco di Napoli e il Presidente della Regione Campania. In tale fase sono stati creati più consorzi di imprese affidatari della costruzione delle unità abitative.

1.1.- A partire dal 1984 il Commissariato S.G. Regionale estende l’oggetto delle opere di ricostruzione post-sismica dalla edificazione di alloggi alla attuazione di impegnative opere "infrastrutturali" (strade a scorrimento veloce, linee ferroviarie, opere idriche, ecc). La fase di espansione del programma originario si sviluppa, per quanto di interesse delle indagini penali, dal 1984 a tutto il 1987 ed è contrassegnata, come si legge nella sentenza di primo grado, da "un allargamento inusitato del programma di ricostruzione con un ampliamento enorme dei costi di intervento, completamente gestito dal presidente della Regione (l’imputato) F.A.", i cui poteri più volte prorogati cessano, passando al Presidente del Consiglio dei Ministri (le due cariche commissariali sono affidate a funzionari del Cipe).

I fatti reato di corruzione propria che integrano la odierna regiudicanda si verificano nell’anzidetta fase e sono l’espressione di una plurima e reiterata serie di abusi di ufficio che traggono origine, secondo l’impostazione accusatoria, da una illegittimità interpretazione applicativa delle leggi sulla ricostruzione. In particolare del disposto della L. n. 456 del 1981, art. 5 bis ("I commissari straordinari del governo, sono autorizzati ad apportare varianti ed integrazioni alla individuazione delle aree e degli edifici effettuata ai sensi della L. n. 219 del 1981, artt. 80 e 82, dandone entro dieci giorni comunicazione al Cipe. Le varianti e le integrazioni di cui al comma precedente possono anche essere finalizzate alla inclusione di ulteriori opere di urbanizzazione necessarie alla organica attuazione del programma di intervento originario, nonchè di aree ed edifici da destinare ad attività industriali, artigianali, commerciali il cui trasferimento risulti indispensabile per l’attuazione del programma straordinario. Per l’esecuzione degli interventi relativi ad eventuali varianti apportate al programma originario ai sensi del presente articolo, i commissari straordinari del governo possono affidare in concessione le opere previste ai soggetti già individuati come concessionari sulla base delle norme di cui alla L. n. 219 del 1981, art. 81") e della L. n. 456 del 1981, art. 5 ter ("I commissari straordinari del governo, possono disporre, previa autorizzazione del Cipe, la inclusione nel programma straordinario di cui al titolo 8 della L. n. 219 del 1981 di opere già finanziate con altre leggi, ordinarie e speciali, in quanto tali opere risultino funzionalmente correlate con l’attuazione del programma straordinario medesimo. Le opere di cui al comma precedente sono realizzate con le procedure e le modalità previste dal titolo 8 della L. n. 219 del 1981, e dal presente decreto"). L’illegittimità investe, per la pubblica accusa, la programmazione di "grandi opere", sorrette spesso da meri progetti di massima con bassi costi poi abnormemente lievitati in sede esecutiva, di natura "infrastrutturale" estranee alla previsione normativa, che consente varianti e integrazioni dei piani residenziali soltanto in funzione di opere di "urbanizzazione". 1.2.- Muovendo dal dato di fatto per cui in corso di indagini quasi tutti gli imprenditori indagati e poi imputati hanno ammesso di aver promesso e versato somme di denaro ad esponenti politici campani di proprio "riferimento", le emergenze processuali hanno indotto l’accusa ad escludere la configurabilità di ipotesi di semplice finanziamento illecito in favore di partiti politici ovvero di relazioni concussive instaurate verso gli imprenditori da uomini politici campani, giovatisi della ampia autonomia gestoria del Commissario Regionale F. nell’includere estensivamente le c.d. grandi opere nel piano generale di ricostruzione e nell’affidare l’esecuzione delle opere stesse. La realtà degli elementi probatori acquisiti ha invece individuato, secondo l’impostazione accusatoria, un vero e proprio regime di diffusa corruttela (i numerosi reati di abuso di ufficio, collaterali e complementari, agli episodi di corruzione sono stati attinti da prescrizione), instaurato -dando vita ad un vero e proprio "gruppo di potere" locale- tra i politici all’epoca più importanti della regione Campania aderenti a partiti della maggioranza governativa nazionale ( Ci.Po., D. D., D.L.) e imprenditori campani o nazionali, di cui l’imputato F., nella sua ridetta qualità, diviene il garante, avvalendosi della regia tecnica del coimputato G.V. M., nominato direttore dei lavori e progettista in più aree consortili di imprese, particolarmente legato al politico coimputato Ci.Po.. In altre parole per l’accusa si è dato vita ad un gruppo di potere "interpartitico" con un vero e calibrato programma spartitorio involgente la scelta delle opere pubbliche infrastrutturali da inserire nella ricostruzione post-sismica e da attribuire a consorzi in cui sono previamente inserite imprese "vicine" ai singoli partiti politici o, meglio, a singoli loro esponenti, che si muoverebbero a loro volta in un contesto di "intesa" con gli ambienti politici romani di respiro nazionale (in particolare le segreterie dei partiti della D.C. e del P.S.I.).

2.- Il giudizio di primo grado nei confronti di 75 imputati è stato definito con sentenza in data 2.5.2002 del Tribunale di Napoli, all’esito di una istruttoria dibattimentale molto estesa sviluppatasi per anni attraverso numerose udienze, molte anche di mero differimento per le più diverse ragioni (scandite -ricorrendone le condizioni di legge- da sospensione dei termini prescrizionali dei reati), formati pressochè esclusivamente da ipotesi di corruzione propria (per essere altre concorrenti ipotesi di abuso di ufficio già state dichiarate estinte per prescrizione).

2.1.- Il Tribunale non ha condiviso, in base all’analisi delle risultanze processuali, la tesi di accusa dell’esistenza di uno stratificato gruppo di potere di natura "interpartitica", costituito da politici di area governativa e da imprenditori locali e nazionali, ritenendo piuttosto che l’ambiente in cui hanno preso corpo e si sono protratti gli accertati fatti criminosi sia stato alimentato da: "un esercizio generalizzato ed invasivo del potere, come tale, spregiudicato, insofferente di ogni controllo…un potere che tende costantemente ad allargarsi ed estendere la propria zona di influenza…il bene pubblico si confonde e identifica con la gestione del potere, le grandi opere di pubblica utilità appaiono una grande giustificazione e autogiustificazione per compromessi sempre meno nobili. Il gruppo di potere, come entità giuridicamente apprezzabile non esiste; esiste, invece uno stato di fatto connotato dall’occupazione dei partiti, soprattutto di maggioranza…esiste altresì una guerra costante all’interno dei partiti stessi per la supremazia di potere…in questa guerra senza esclusione di colpi riprende in suo posto centrale il denaro, sotto forma di ricerca di finanziamenti o anche di autentica corruzione". Il presidente regionale F.A. è espressione di questo sistema di potere, che con la sua acquiescenza garantisce e perpetua, tutelando prima di tutto il proprio potere e la propria poltrona. I politici e gli imprenditori, attratti dal denaro riversatosi in Campania per la ricostruzione del dopo terremoto, possono fidarsi del ruolo "notarile" assunto dal F. nella sua posizione di Commissario Straordinario: " F. non frapporrà mai un ostacolo, ratificherà tutto quello che vi è amministrativamente da firmare, cercherà di non scontentare nessuno". Con siffatto contegno il F., pur non essendovi prova – se non per casi isolati – che abbia preso parte a specifici accordi criminosi tra politici e imprenditori, degli stessi si è reso a pieno titolo partecipe, rendendone possibili gli effetti pecuniari, appunto avallando l’esecuzione di grandi opere infrastrutturali connotate da illegittimità funzionali e operative e assegnandone la realizzazione a ditte indicate dai suoi vari referenti politici.

2.2.- Compiuta questa premessa ricostruttiva, il Tribunale ha giudicato fondata l’impostazione accusatoria che radica la sussistenza dei fatti corruttivi sulla illegittimità degli atti amministrativi correlati alla programmazione e all’affidamento dei lavori per le "grandi opere" sottoposte ad indagine, in relazione alle quali sono emerse dazioni di denaro dalle imprese aggiudicatari ai politici o a loro rappresentati. Illegittimità, suffragata dalle indicazioni dei consulenti tecnici del p.m. e non considerata utilmente contrastata dalle contrarie conclusioni dei consulenti degli imputati, che scaturisce dal ritenuto carattere infrastnitturale di tali opere e non dalla loro mera natura di opere di urbanizzazione, primaria e/o secondaria, collaterali agli interventi di edilizia abitativa. Opere di urbanizzazione che unicamente il legislatore – con la L. n. 459 del 1981, art. 5 bis – ha chiarito potersi inscrivere negli interventi di "variante e integrazione" dei vari programmi edilizi locali. I lavori (grandi opere) per i quali sono state elevate le imputazioni attengono a progetti infrastrutturali che ampiamente trascendono le singole aree di intervento di ricostruzione edilizia. Le corrispondenti procedure amministrative e i loro atti di rilevanza esterna violano, dunque, la L. n. 459 del 1981, art. 5 bis ed altresì l’art. 5 ter della stessa legge, laddove consente l’estensione del piano generale di ricostruzione post-terremoto ad opere già finanziate con altre leggi purchè "funzionali" all’attuazione del programma straordinario.

2.3.- Nondimeno il Tribunale si è posto il problema della "percezione soggettiva della legittimità degli atti" amministrativi compiuti direttamente o indirettamente dagli imputati (struttura commissariale), giungendo al risultato che i dati probatori inducono a dubitare che il F., il G., la struttura del Commissariato Straordinario e gli imputati, sia politici che imprenditori, protagonisti dei movimenti di denaro (per lo più ammessi, va ripetuto, dalla maggior parte dei singoli artefici) abbiano agito con la piena consapevolezza della illegittimità del loro operato tecnico-funzionale. Ad avviso del Tribunale in tale prospettiva si inseriscono, infatti, il parere favorevole di volta in volta espresso sulla ammissibilità delle grandi opere dal Comitato Tecnico Amministrativo del Commissariato Regionale e da talune decisioni del giudice amministrativo sulla legittimità delle opere in esame (decisioni che, "per quanto non condivisibili, hanno una loro dignità e, quanto meno, rendono scusabile un eventuale errore nell’interpretazione diversa da quella recepita dalla resi accusatoria e dal collegio").

La situazione soggettiva del F. e dei coimputati, riassunta dai giudici di primo grado come espressa in un ambito comportamentale di corruzione per "atti oggettivamente illegittimi ma soggettivamente legittimi", non integra un errore di fatto (sulle componenti del reato) ai sensi dell’art. 47 c.p., comma 1, cioè un errore su un elemento strutturale del reato, dal momento che F. e i correi si proponevano gli effetti raggiunti con lo sfruttare la possibilità di promuovere grandi opere urbanistiche ed edilizie nel quadro della ricostruzione post-sismica e di creare fonti di denaro da attribuire a predeterminate imprese o gruppi di imprese, così da determinare un "ritorno" di denaro tangentizio ai referenti politici delle varie operazioni. Nè l’illegittima applicazione della L. n. 456 del 1981, artt. 5 bis e 5 ter può ricondursi nella categoria dell’errore su legge penale, privo di valore esimente ( art. 5 c.p.), giacchè le citate disposizioni e le altre della normativa di intervento straordinario ( L. n. 219 del 1981) possiedono natura amministrativa, costituendo un potere (quello del Commissario Straordinario) e dettando le regole per il suo esercizio, sicchè la violazione di tali regole conduce al compimento di atti illegittimi, ma non di per sè penalmente rilevanti. La condizione soggettiva degli imputati integra, per tanto, un errore su legge extrapenale sussumibile nella previsione di cui all’art. 47 c.p., comma 3, alla cui stregua la punibilità è esclusa se tale errore ha prodotto un errore sul fatto costituente reato. Evenienza che riproduce la già espunta ipotesi prevista dall’art. 47 c.p., comma 1.

La soluzione della problematica è rinvenuta dal Tribunale nell’art. 47 c.p., comma 2, secondo cui l’errore su un fatto costituente un determinato reato non esclude la punibilità per un reato di diverso.

Di tal che l’errore sulla legittimità degli atti indagati, se vale ad escludere la punibilità della corruzione propria, cioè inerente ad atti contrari ai doveri di ufficio, non esclude detta punibilità per la corruzione impropria ex art. 318 c.p. per atti conformi ai doveri di ufficio.

2.4.- Di conseguenza, diversamente definiti ( art. 521 c.p.p., comma 1) i fatti contestati a titolo di corruzione propria come fatti di corruzione impropria, il Tribunale ha dichiarato improcedibili tali reati perchè estinti per intervenuta prescrizione. Si tratta, per gli imputati attuali ricorrenti generalizzati in epigrafe: di venticinque imputazioni per F.A., di due per B. A. (capi 33 e 35), di una per Bo.Ag. (capo 28), di tre per D.C.T. (capi 6,7 e 7 bis), di una ciascuno per D.G.A. (capo 1), P.M.F. (capo 28), S.N. (capo 26) e C.M.F. (capo 33), di due per Sc.Vi. (capi 33 e 35). F. A. è stato assolto nel merito dai reati di corruzione impropria, come riqualificata, contestatigli con i capi 20) e 25) e dal reato di illecito finanziamento di partiti politici di cui al capo 28) della rubrica. D.C.T. è stato assolto per insussistenza del fatto dal reato di concussione ascrittogli in udienza dal p.m. con il capo 7 bis) della rubrica. Sc.Vi. e C.M.F., infine, sono stati assolti perchè il fatto non costituisce reato dalla corruzione impropria di cui al capo 33) della rubrica.

3.- La sentenza del Tribunale è stata appellata dal pubblico ministero nei confronti di tutti gli imputati per i quali le rispettive contestazioni di corruzione propria sono state riqualificate come corruzione impropria, nonchè dagli imputati F.A., B.A. e S.N..

3.1.- La Corte di Appello di Napoli con sentenza pronunciata il 23.6.2009 ha accolto l’impugnazione del p.m.. Ha ritenuto – da un lato – che lo sfondo in cui si dipanano i fatti criminosi è formato, per quanto emerge dagli atti processuali e dalle dichiarazioni di più imputati, dall’esistenza di un vero e proprio "gruppo di potere" politico basato su un "accordo spartitorio" che ruota intorno alle persone degli imputati Ci.Po., D.D. e D. L., che provvede a selezionare le opere pubbliche di maggior rilievo economico da inserire nel programma della ricostruzione del dopo terremoto e le imprese o gruppi di imprese cui affidarne l’esecuzione (senza gara in virtù dei poteri speciali del Commissariato regionale guidato dal F. e con la "regia tecnica" del coimputato G.), lucrando di volta in volta dagli imprenditori, partecipi di siffatto accordo criminoso e "vicini" ai singoli partiti di maggioranza o a loro correnti locali, i preventivati "contributi" finanziari. Da un altro lato ha affermato che le condotte degli imputati integrano episodi di corruzione propria per atti contrari ai doveri di ufficio e non di corruzione impropria, come ipotizzato dal Tribunale, di cui ha pienamente condiviso la valutazione di illegittimità degli atti amministrativi correlati ai singoli comparti di opere pubbliche oggetto di mercimonio.

Sulla base delle indicazioni, sostanzialmente confessorie in punto di fatto, provenienti da più imputati (politici e imprenditori) i giudici di appello hanno evidenziato che il sistema instaurato nel periodo dal 1984 al 1987 fino alla cessazione dalla carica di C.S. del F.: a) ha una specifica ascendenza anche nazionale, che ha coinvolto sia i partiti di maggioranza che i partiti dell’opposizione (sia pure in minor misura), trovando poi esecuzione in sede locale in Campania; b) è alimentato da stretti e diretti rapporti di ciascuna impresa con un partito politico (suoi esponenti) in un quadro di reciproca "sponsorizzazione"; c) è scandito da una dinamica di biunivoca e sincronica locupletazione (imprenditori che si giovano dell’appalto di imponenti lavori pubblici; politici che ricevono dagli imprenditori il prezzo tangentizio degli appalti loro aggiudicati) resa possibile da una interpretazione indebitamente estensiva delle norme sulla ricostruzione (opere infrastrutturali in luogo di sole opere integrative o di urbanizzazione); d) è reso possibile o comunque agevolato dal ruolo centrale assunto dall’imputato G.V.M., che – forte della sua indiscussa professionalità tecnica e delle sue poliedriche entrature politiche – individua le opere pubbliche da inserire nel "sistema corruttivo" e la loro ripartizione tra le imprese o i consorzi di imprese "vicini" ai politici e che debbono essere favoriti.

3.2.- In ordine alla qualificazione giuridica dei fatti criminosi la Corte di Appello ha dedotto non esservi spazio alcuno per l’applicabilità della esimente di cui all’art. 47 c.p., comma 3 ritenuta, per i complementari effetti di cui all’art. 47 c.p., comma 2, dal Tribunale. Ad avviso della Corte la L. n. 456 del 1981, artt. 5 bis e 5 ter e così le altre disposizioni in tema di "straordinarietà" delle procedure delle opere di ricostruzione in Campania non assumono in alcun modo carattere extrapenale, poichè – nel dettare le condizioni per introdurre "varianti e integrazioni" agli iniziali progetti riedificatori del Commissariato regionale fissano le regole per la legittimità dell’operato dello stesso Commissariato. Sicchè esse integrano in via mediata il precetto penale configurabile come effetto della loro (in)applicazione, ricadendo nella struttura stessa del reato (di abuso di ufficio e di corruzione). L’eventuale errore sulla loro portata diviene, per tanto, inescusabile, cadendo sul fatto che costituisce il reato. Nè è seriamente sostenibile, secondo la sentenza di secondo grado, che il pubblico ufficiale F. possa aver nutrito una soggettiva percezione della legittimità degli atti posti in essere in relazione alle grandi opere infrastrutturali selezionate e affidate a predeterminate imprese. Il fatto per cui il F., secondo l’assunto difensivo suo e dei coimputati, avrebbe svolto un ruolo di mero "convitato di pietra", estraneo agli accordi corruttivi tra politici ed imprenditori ed estraneo alla personale ricezione di somme di denaro, in guisa da vanificare la ravvisabilità della corruzione, è per i giudici di appello del tutto incongruo, dal momento che il F., sottoscrivendo le ordinanze di concessione dei lavori per le opere prescelte, ha compiuto in tutta consapevolezza dei suoi effetti un atto comunque decisivo, che rappresenta "la indispensabile merce offerta agli imprenditori, perchè gli esponenti dei partiti politici ricevessero le utilità" formate dai finanziamenti tangentizi. Il che è in totale sintonia con la fattispecie di cui all’art. 319 c.p., per la cui consumazione è ben possibile che l’autore e responsabile della corruzione (compimento di atto contrario ai doveri di ufficio) possa non coincidere con il percettore del denaro o di altre utilità. Per altro il continuativo illecito contegno del F. non è privo di utilità per lo stesso Commissario straordinario e Presidente della Regione (utilità "rappresentata proprio dalla carica rivestita, a suo stesso dire, grazie all’accordo di tutti gli esponenti politici, per il ruolo occupato e per quello cui mirava con la candidatura alle elezioni Europee").

3.3.- Avendo in limine (sentenza pp. 6-8) indicato i periodi di sospensione ex lege ( artt. 157 e 304 c.p.p.) dei termini di prescrizione del reato di corruzione propria, computabili – giusta la disposizione transitoria di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, come modificata con sentenza n. 393/06 della Corte Costituzionale – secondo la previgente disciplina (e, quindi, corrispondenti nel massimo a quindici anni), la Corte di Appello di Napoli ha affrontato la tematica della prescrizione dei reati contestati agli imputati. In tale prospettiva ha precisato, per un verso, con il conforto della giurisprudenza di legittimità, che la data del reato di corruzione propria, reato di evento, non decorre dalla conclusione dell’accordo corruttivo, ma dalla erogazione della somma di denaro o – in caso di erogazione rateale o periodica come in più casi del presente processo – dall’ultima erogazione. Per altro verso, in coerenza con il precedente assunto, la Corte ha evidenziato che le illecite condotte corruttive non possono considerarsi cessate nel dicembre del 1987, allorchè è scaduto il prorogato mandato commissariale del F., nè al momento della sua cessazione dalla carica di Presidente della Regione Campania nel maggio 1989, dovendosi aver riguardo – a norma dell’art. 360 c.p. – alla oggettiva connessione funzionale degli accordi e delle evoluzioni dei fatti corruttivi con la carica ricoperta da pubblico ufficiale mentre era nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali.

A fronte delle maturate cause estintive prescrizionale dei reati ascritti agli imputati, ad eccezione del solo reato di cui al capo 31) ascritto a F. la Corte di Appello ha rimarcato come le emergenze processuali certamente impediscano di considerare, in tesi, manifesta ed evidente la prova della eventuale incolpevolezza degli imputati e, quindi, di pronunciare sentenza di proscioglimento nel merito in luogo di quella dichiarativa della sopravvenuta causa di estinzione del reato ( art. 531 c.p.p.).

3.4.- Conclusivamente la Corte territoriale, concesse a tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche, stimate prevalenti per C.M. e D.G. ed equivalenti rispetto alle aggravanti per tutti gli altri:

1) ha dichiarato non doversi procedere per essere i reati loro contestati estinti per prescrizione nei confronti di:

– C.M.F., imputato del reato di cui al capo 33);

– D.G.A., imputato del reato di cui al capo 1);

– B.A., imputato del reato di cui al capo 33), ferma la prescrizione del reato sub 35) già dichiarata dal Tribunale;

– Bo.Ag., imputato del reato di cui al capo 28);

– D.C.T., imputato del reato di cui al capo 7 bis), ferma la prescrizione dei reati sub 6) e sub 7)già dichiarata dal Tribunale;

– F.A., imputato dei reati di cui ai capi 1), 2), 10), 11), 12), 20), 21), 22), 25), 26), 27), 28), 29), 33), 34) e 38);

– P.M.F., imputato del reato di cui al capo 28);

– S.N., imputato del reato di cui al capo 26);

– Sc.Vi., imputato del reato di cui al capo 33), ferma l’assoluzione dal reato sub 35) deliberata dal Tribunale;

2) ha dichiarato F.A. colpevole del reato di cui al capo 31) della rubrica (vicenda del consorzio guidato dalla Incisa SpA relativa a lavori di raddoppio della linea ferroviaria Pomigliano – San Vitaliano), commesso sino alla fine del (OMISSIS) e non attinto da prescrizione, condannandolo – in concorso di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti – alla pena di due anni e dieci mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede.

4.- Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, con il ministero dei rispettivi difensori, i nove imputati indicati in epigrafe.

Precisato che nessuno di tali imputati – salvo il B. (nei termini che si preciseranno) – ha dichiarato ritualmente di voler rinunciare alla prescrizione dei reati ascrittigli, i ricorsi denunciano vizi di violazione di legge e di carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza di appello.

Vizi che, per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, si riassumono nei termini che seguono ed ai quali – per ragioni di organicità e chiarezza espositive – si giustappongono, per ciascun ricorrente, le specifiche valutazioni di questo giudice collegiale di legittimità.

Non senza osservare in via pregiudiziale che in tema di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, che nel caso di specie sono state rilevate e dichiarate dal giudice di merito (prescrizione dei reati di cui agli artt. 319 e 321 c.p.), nel giudizio di legittimità non è possibile controllare direttamente la decisione sul fatto, essendo possibile controllare soltanto la giustificazione di tale decisione. Controllo che nondimeno l’art. 129 c.p.p., comma 1 permette di estendere alla stessa decisione sul fatto nel caso in cui ciò sia possibile in termini di immediatezza e di evidenza, cioè senza alcun previo apprezzamento delle prove. Ciò che, in definitiva, equivale a dire che gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza di eventuale causa liberatoria "più favorevole" (della già dichiarata prescrizione) sono costituiti dalla stessa sentenza impugnata, in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – Dalla indicazione degli elementi di prova ripercorsi nelle due decisioni di merito, conformi in punto di sussistenza della responsabilità degli imputati attuali ricorrenti (salva la diversa qualificazione giuridica dei fatti reato), non emerge, per gli eventuali effetti di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2, alcuna "evidenza" di possibili cause di non punibilità valutabili in favore di taluno dei ricorrenti (Cass. S.U., 27.2.2002 n. 17179, Conti, rv. 221403; Cass. Sez. 6, 26.3.2008 n. 21459, Pedrazzini, rv. 240066; Cass. S.U., 28.5.2009 n. 35490, Tettamanti, rv. 244274: "In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2 soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento").

5.- Ricorso di F.A..

Dopo un’ampia preliminare rassegna delle problematiche di fatto e di diritto poste dalle contestazioni mosse all’imputato nonchè delle contraddizioni e lacune individuabili nella sentenza di appello, con il corposo ricorso si formulano otto serie di rilievi per violazione di legge e per carenze motivazionali.

1. Mancanza e illogicità della motivazione con riferimento ai presupposti della condanna per il reato di corruzione di cui al capo 31) della rubrica. La Corte di Appello si è limitata a ripercorrere, facendole proprie, le considerazione esposte nell’impugnazione del p.m. senza soffermarsi, come avrebbe dovuto, sulla verifica dei rilievi espressi nell’atto di appello del F.. Così ha recepito pedissequamente l’assunto dell’esistenza di un gruppo di potere dedito alla "spartizione" tangentizia dei lavori per le grandi opere di ricostruzione in Campania in base ad un ragionamento puramente presuntivo e ad un apprezzamento improprio delle affermazioni, prive di reale valore probatorio, di taluni coimputati, quali quelle di D.D., D.R. e M.. Ma così argomentando risultano violati i criteri di valutazione delle prove stabiliti dall’art. 192 c.p.p..

2. Erronea applicazione dell’art. 319 c.p. in relazione alla L. n. 456 del 1981, artt. 5 bis e 5 ter, quale presupposto dell’ipotizzato asservimento a interessi privati della pubblica funzione ricoperta dal F.. La Corte di Appello ambiguamente non si esprime sulle differenze eventualmente rilevabili tra le opere di urbanizzazione e le opere infrastrutturali, cui sarebbero state indebitamente estesi progetti e i lavori della ricostruzione, tralasciando del tutto l’esame della ben diversa possibile interpretazione della normativa desumibile dai giudicati amministrativi (Consiglio di Stato) che pure si sono espressi sulla legittimità delle opere divenute oggetto delle singole contestazioni di corruzione. In ogni caso la Corte territoriale non si è pronunciata sulle critiche rivolte alla asserita consapevolezza dell’imputato delle illegittimità amministrative che avrebbe compiuto e della loro coesione funzionale con accordi corruttivi intercorsi tra soggetti terzi e ai quali è rimasto estraneo.

3. Inosservanza dell’art. 47 c.p., comma 3. La sentenza impugnata confonde l’errore sul fatto presupposto del reato con l’errore sul precetto penale, sussumendo il primo nel secondo per affermare l’irrilevanza della condizione soggettiva dell’imputato in termini di convinzione della regolarità amministrativa del proprio operato.

4. Erronea applicazione dell’art. 319 c.p. con riguardo alla differenza e ai relativi rapporti tra corruzione antecedente e corruzione susseguente. Erroneamente la sentenza di appello, nell’affermare che i fatti reato contestati configurano una corruzione propria antecedente (e non -come sostenuto dalla difesa – impropria susseguente che, alla stregua del testo dell’art. 322 c.p. in vigore al momento dei fatti, rendeva insussistente il reato per il corruttore), ritiene che ai fini della corruzione antecedente l’accordo corruttivo debba precedere la dazione di denaro e non invece il compimento dell’atto di ufficio oggetto dell’accordo, sostenendo – senza fornire idonea dimostrazione dell’assunto – che le evenienze processuali confermano che gli accordi corruttivi vi sono stati e hanno preceduto o sono stati contemporanei alle varie elargizioni di denaro.

5. Difetto di motivazione in ordine alla individuazione del momento iniziale dei reati di corruzione descritti nei capi 29) e 31) dell’imputazione. Sul punto i giudici di secondo grado rinviano per la descrizione e ricostruzione degli episodi alla sentenza del Tribunale. Ma il Tribunale ha valutato irrilevante la scansione temporale dei pagamenti corruttivi, dovendosi comunque pervenire alla declaratoria di prescrizione per il reato di cui all’art. 318 c.p., così diversamente qualificata l’originaria accusa. Il ragionamento non è trasferibile alla decisione di secondo grado, che ha invece affermato la responsabilità del F. per il reato sub 31). La Corte di Appello si è preoccupata soltanto di verificare il momento finale dei reati ("epoca in cui cessarono le consegne di denaro"), assumendo che nella vicenda del consorzio San Vitaliano e dell’impresa Incisa SpA (capo 31) le dazioni di denaro corruttivo si sono protratte fino alla metà del 1990, con la conseguenza che il reato di corruzione attribuito al F. non è attinto da prescrizione, ove si tenga conto dei periodi di sospensione del corso della prescrizione che concernono l’imputato, pari a 5 anni, 9 mesi e 27 giorni (sicchè il reato si prescriverebbe il 27.12.2010). La Corte di Appello ha tralasciato, però, di mettere in correlazione i fatti di cui al capo 31) dell’imputazione con quelli che attengono all’intera vicenda del raddoppio della ferrovia circumvesuviana, presi in considerazione dal capo 29) della rubrica. Vicenda da cui si evince che l’ultimo atto compiuto dal F. è costituito dalla sottoscrizione dell’ordinanza n. 1019 del 29.5.1987 relativa alla assegnazione dei lavori ai consorzi costituitisi per l’esecuzione della "grande opera", i consorzi Cosno e Corin cui solo in un secondo momento si affiancano il consorzio San Vitaliano e la Incisa SpA, che si determina (dopo iniziale rifiuto, avendo già versato tangenti per gli immobili residenziali edificati a San Vitaliano) a versare denaro ai politici ( Ci.Po. e altri esponenti del suo gruppo) soltanto per "sbloccare" la pratica "ferma" a Roma presso la Commissione Interministeriale Trasporti (c.d. commissione 1221).

Impropriamente, infine, la Corte di Appello ha ritenuto sussistente nei fatti la contestata aggravante del numero superiore a cinque dei concorrenti nel reato ex art. 112 c.p., n. 1, benchè di tale evenienza il F. non abbia avuto contezza alcuna, sì che l’aggravante non avrebbe potuto essergli contestata ( art. 59 c.p., comma 2).

6. Difetto di motivazione in merito alla modifica della formula assolutoria (della non commissione del fatto) con cui il Tribunale aveva mandato esente da responsabilità il F. per i reati di cui ai capi 20), 25) e 28) dell’imputazione.

7. Difetto delle condizioni per la condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero del Bilancio.

Quando è avvenuta la costituzione delle parti civili la posizione del F. era stata separata dal processo principale, sì che non si è instaurato un regolare rapporto processuale tra l’imputato e le parti civili.

8. Illegittimità dell’ordinanza in data 19.6.2008 con cui la Corte di Appello ha respinto, perchè intempestiva, la richiesta del difensore dell’imputato di ricevere rituale notifica dell’appello del p.m. contro la sentenza del Tribunale onde poter proporre appello incidentale.

5.1.- Il ricorso merita accoglimento soltanto in riferimento alla data del commesso reato di cui al capo 31) della rubrica (motivi di ricorso 1 e 5), nei termini che si preciseranno, con conseguente declaratoria di estinzione per prescrizione anche di tale reato, impregiudicate rimanendo le corrispondenti statuizioni civili.

5.1.1.- Manifestamente infondati sono i rilievi attinenti all’intervenuta riforma in peius della formula assolutoria adottata in primo grado per i reati di cui ai capi 20) 25) e 28) della rubrica e alla mancata notificazione dell’appello del p.m. anche ai difensori degli imputati (motivi di ricorso nn. 6 e 8). La mutata formula liberatoria è conseguenza diretta dell’accoglimento dell’appello del p.m. e della diversa definizione conferita ai fatti, in ripristino dell’accusa originaria, rispetto a quella definita in primo grado dal Tribunale (corruzione impropria). La conferma della causa estintiva prescrizionale per tutte le condotte riferibili al F. non richiedeva peculiari motivazioni in punto di fatto, al di là di quelle comunque enunciate dai giudici di appello anche per i reati di cui ai capi 20), 25) e 28) della rubrica, non ricorrendo cause palesi escludenti in concreto la responsabilità del F. per tali reati.

Correttamente Corte territoriale ha rilevato la tardività dell’eccepita omessa notifica dell’appello del p.m. anche ai difensori degli imputati ai fini della proposizione di eventuali appelli incidentali, avuto riguardo alla già intervenuta instaurazione del pieno contraddittorio processuale nel giudizio di secondo grado. Per altro l’eccezione del ricorrente non è sorretta da reale interesse ad una diversa decisione, atteso che l’appello incidentale è consentito alla sola parte che non ha proposto impugnazione ( art. 595 c.p.p., comma 1), laddove anche il F. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale.

5.1.2.- E’ infondato il secondo motivo di ricorso relativo alla addotta mancata disamina delle disposizioni normative che la condotta del F. nella sua qualità di C.S. avrebbe violato, sì da compiere atti contrari ai doveri di ufficio (in particolare i più volte citati L. n. 456 del 1981, artt. 5 bis e 5 ter). Al riguardo la sentenza impugnata ha correttamente richiamato per relationem le estese considerazioni sviluppate su questo tema dalla sentenza del Tribunale, che deve necessariamente essere letta in uno alla impugnata decisione, con la quale costituisce un unitario ed inscindibile compendio probatorio e valutativo. In ogni caso non risponde al vero che i giudici di appello non abbiano affrontato la questione, dal momento che la sentenza di secondo grado non solo richiama esplicitamente le consulenze tecniche dell’accusa, alla cui stregua in nessun modo le grandi opere oggetto delle contestazioni ex art. 323 c.p. (fatti dichiarati estinti per prescrizione già dal g.u.p.) e art. 319 c.p. possono definirsi opere di urbanizzazione connesse agli interventi di ricostruzione edilizia successivi al terremoto, ma indugia altresì sul valore dei giudicati amministrativi evocati dal ricorrente, puntualizzandone, con argomenti coerenti e logici, l’inconferenza ai fini delle valutazioni di natura penale (sentenza p. 32 – 34, 45 ss.).

5.1.3.- Priva di pregio e per più versi generica è la censura sulla erronea applicazione dell’art. 47 c.p. espressa con il terzo motivo di ricorso.

La Corte di Appello non ha confuso l’errore sul fatto costituente reato con l’errore sulla struttura del precetto penale, avendo comunque previamente escluso, sulla base di una esauriente disamina delle fonti conoscitive offerte dal processo, una pregiudiziale supposta ignoranza del carattere illecito del proprio agire da parte del F., che è invece perfettamente partecipe del sistema di "spartizione" di indebita locupletazione politico-affaristica, che egli nella propria qualità assicura e garantisce, ben sapendo di rivestire la carica di Presidente Regionale unicamente a tale fine e in ragione del suo basso e acquiescente profilo politico in seno alla Democrazia Cristiana, facente capo a livello regionale a ben altri personaggi, imputati o non nel presente processo. In tale contesto deve giudicarsi corretto e conforme agli indirizzi ermeneutici di questa Corte regolatrice la deduzione dei giudici di appello in merito alla inapprezzabilità di una possibile diversa interpretazione delle disposizioni legislative disciplinanti forme e modi della programmazione degli interventi ricostruttivi, ivi incluse le opere di urbanizzazione indotte dagli interventi edificatori che potrebbe essere stata alimentata dal F., avuto riguardo al carattere irragionevole e abnorme di siffatta interpretazione, che ha dato origine ad interventi specifici e di elevati costi, che nulla hanno a che vedere in via diretta con le esigenze di ricostruzione post-sismica, come – a solo titolo di esempio – la risistemazione dell’invaso dei Regi Lagni. Di guisa che è affatto incongruo ritenere che la disciplina dell’attività commissariale per la ricostruzione non debba considerarsi richiamata, quanto meno in via indiretta, dalla norma penale ( artt. 323 e 319 c.p.) in punto di liceità dell’azione amministrativa, che quella disciplina intende attuare (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 4, 7.7.2010 n. 37590, P.G. in proc. Barba, rv. 248404: "Deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale ai sensi dell’art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente").

5.1.4.- Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, con cui si adduce l’incongruenza della sentenza impugnata allorchè reputa realizzati fatti di corruzione propria antecedente, ipotizzando che l’accordo corruttivo debba precedere la dazione illecita di denaro e non già l’atto o gli atti eventualmente contrari ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale agente, atteso che i giudici di appello non si sarebbero fatto carico di accertare se le dazioni di denaro abbiano preceduto o seguito gli atti amministrativi supposti come illegittimi ed illeciti. Il ragionamento svolto dalla Corte di Appello è senz’altro corretto, perchè nei casi di corruzione antecedente il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale non fa parte della struttura del reato e non assume rilievo per la determinazione del momento consumativo, in guisa che se l’accettazione della promessa e la ricezione dell’utilità pecuniaria sono unitarie o connesse in sincronica sequenza funzionale, sì da poter essere ricondotte alla stessa fonte, ancorchè in rapporto ad una pluralità di atti da compiere, il reato rimane unico e la plurima attività pubblica posta eventualmente in essere dal pubblico ufficiale corrotto non vale a frazionare o a scindere il reato in più episodi (cfr.: Cass. Sez. 6,4.5.2006 n. 33435, Battistella, rv.

234358; Cass. S.U., 25.2.2010 n. 15208, Mills, rv. 246583).

E’ appena il caso di aggiungere, per altro, che nella corruzione propria antecedente l’atto o gli atti di ufficio oggetto di mercimonio non vanno intesi in senso strettamente formale, dovendo la locuzione comprendere qualsiasi comportamento del pubblico ufficiale che sia in contrasto con norme giuridiche o con istruzioni di servizio o che comunque violi i doveri di fedeltà, imparzialità ed onestà che debbono osservarsi da chiunque eserciti una pubblica funzione. Con l’effetto che la mancata individuazione in concreto del singolo atto che – dovendo essere omesso o ritardato o compiuto dal pubblico ufficiale contro i doveri del proprio ufficio – non vanifica e non inficia il delitto di cui all’art. 319 c.p. ove si accerti che la consegna del denaro sia stata effettuata comunque in ragione delle funzioni esercitate dal pubblico ufficiale che si rende strumento della corruzione. Nelle vicende per cui è processo, come si desume da entrambe le sentenze di merito (si ritenga operativo un vero e proprio gruppo di potere o non), tutti i flussi di denaro versati dagli imprenditori ai politici intervenuti nei confronti del F., per "guidarne" le scelte funzionali sui lavori della ricostruzione, sono il risultato di un accordo corruttivo previo o, più esattamente, di un archetipo di accordo assurto a "sistema" e destinato a perpetuarsi volta per volta con la sola precisazione dei dettagli delle tangenti rapportate al valore delle opere pubbliche fatte aggiudicare – appunto attraverso il F. – alle varie imprese "amiche" (cfr. Cass. Sez. 6, 26.2.2007 n. 21192, Eliseo, rv.

236624).

5.1.5.- Parzialmente fondati debbono, invece, giudicarsi i congiunti rilievi formulati con il primo e il quinto motivi di ricorso relativi alla illogicità e carenza della motivazione concernenti l’intervenuta condanna del F. per il reato di cui al capo 31) della rubrica. Fondati in riferimento alla data di consumazione del reato ascritto all’imputato, che deve ritenersi attualmente raggiunto da causa estintiva per prescrizione in assenza di elementi suscettibili di condurre, a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, ad un proscioglimento per ragioni di merito.

Effettivamente la Corte di Appello, pur richiamando le considerazioni ricostruttive della vicenda avente per oggetto il raddoppio della linea ferroviaria da (OMISSIS) (circumvesuviana) svolte dal Tribunale nella collegata trattazione dei fatti di corruzione di cui ai capi 29), 30) e 31) della rubrica, ha affrontato più in dettaglio i fatti sussunti nella imputazione sub 31), unico reato per il quale – non essendo già maturata la prescrizione – ha affermato la penale responsabilità del F.. Ma, così operando, la Corte partenopea ha perso di vista i caratteri unitari della complessiva vicenda corruttiva, nella quale la società Incisa SpA, facente parte del terzo consorzio di imprese legato alla esecuzione della grande opera, diviene partecipe del progetto corruttivo in un momento temporalmente successivo ed attestato dalla stessa diversa data di consumazione del reato, facendosi risalire le illecite dazioni di denaro da parte degli amministratori societari delle imprese coinvolte (in particolare i coimputati Bi.Ro., V.A. e Ca.Eu.) "sino alla fine del 1990". Data che tuttavia la stessa Corte di Appello colloca "almeno sino alla metà del 1990" (30.6.1990). Sennonchè gli atti contrari ai doveri di ufficio richiesti al coimputato F., come si evince dalla sentenza di primo grado, risultano compiuti in epoca ben anteriore alla proseguita erogazione delle tangenti corruttive con l’approvazione definitiva da parte del Commissariato Straordinario (a firma del F.) della assegnazione dei lavori per il raddoppio della circumvesuviana ai consorzi di imprese all’uopo costituiti, il che avviene il 29.5.1987. La successiva estensione, se così può dirsi, dell’accordo corruttivo e della erogazione di tangenti ai politici anche da parte dei rappresentati della società consortile Incisa SpA (come da imputazione sub 31), tale da dar luogo a continuazione criminosa (con il capo 31 si contesta anche l’art. 81 cpv. c.p.), è determinato dall’esigenza di superare attraverso gli interventi dei politici campani, ancora in termini potenzialmente corruttivi, il blocco della pratica verificatosi a Roma presso la Commissione Interministeriale Trasporti.

Ora, se è corretto l’argomentare della Corte di Appello quando – richiamando il disposto dell’art. 360 c.p. – segnala che la cessazione dalla carica del pubblico ufficiale che abbia compiuto gli atti illeciti oggetto della corruzione non fa venire meno il reato ( art. 319 c.p.) per il diretto avvenuto collegamento del fatto reato con la funzione pubblica già ricoperta, è doveroso osservare che in rapporto alla evoluzione dei lavori infrastrutturali di raddoppio della linea ferroviaria circumvesuviana i descritti sviluppi della vicenda appaiono ragionevolmente interrompere un diretto nesso causale (relazione di c.d. sinallagmaticità) tra gli atti illegittimi posti in essere dal F. e la prosecuzione o estensione dell’accordo corruttivo tra politici e titolari delle imprese aggiudicatane dei lavori.

Vero è che il contegno funzionale del F. nella sua veste di Commissario Straordinario, mutuata dalla sua posizione di Presidente della Regione, costituisce la condizione primaria della intera vicenda corruttiva e, dunque, anche l’antecedente fattuale del suo protrarsi quando la "pratica" dei lavori ferroviari è bloccata in altra sede estranea alla struttura commissariale. Nondimeno il principio di equivalenza causale temperata fatto proprio dall’ordinamento, secondo il percorso esegetico sviluppato dalla giurisprudenza di legittimità ( art. 41 c.p.), induce ad escludere un giudizio di responsabilità del F. siccome prolungatasi per tutta la seconda o ulteriore fase della complessiva vicenda corruttiva di cui egli è stato iniziale artefice e strumento. In una fase in cui nell’accordo corruttivo originario si inscrivono fattori interferenti autonomi ed estranei alla condotta funzionale dell’imputato e sui quali egli non è più in grado di intervenire ratione officii. Certamente non più (mediante interventi trasversali, sollecitazioni degli uffici pubblici che "bloccano la pratica" o altri strumenti) quanto meno a far data dalla cessazione del F. dalla carica Presidente della Regione Campania nel (OMISSIS) (essendo già decaduto dalla carica commissariale alla fine del 1987). Ne discende che la data di consumazione della condotta partecipativa criminosa del F. non può essere cronologicamente fissata in periodo successivo al 30.6.1989. Per l’effetto il reato, tenuto conto del periodo di sospensione del termine prescrizionale già calcolato dalla Corte di Appello (5 anni, 9 mesi e 27 giorni), risulta prescritto alla data del 27.3.2010.

Di conseguenza l’impugnata decisione di appello va annullata senza rinvio in riferimento al reato di cui al capo 31) della rubrica perchè estinto per prescrizione.

Per le esposte ragioni di infondatezza prima illustrate, il ricorso del F. deve essere rigettato per quel che attiene alla residue censure.

5.1.6.- Va mantenuta ferma, quanto al predetto reato di cui al capo 31) della rubrica, la condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite già deliberata dalla Corte di Appello di Napoli. In proposito è, in vero, infondata la subordinata censura con cui il ricorrente contesta la legittimità della costituzione di parte civile nei suoi confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero del Bilancio, perchè avvenuta nel corso dell’udienza preliminare durante una udienza in cui la posizione del F. era stata separata per essere in seguito riunita. La riassunzione della posizione processuale originaria dell’imputato con pedissequa accettazione degli atti istruttori già compiuti rende incongruo il rilievo critico. L’imputato avrebbe potuto e dovuto, infatti, opporsi in limine, al momento della riunione della sua posizione al processo principale, alla costituzione di parte civile e la relativa questione della legitimatio ad processum, non dedotta nei termini di cui all’art. 491 c.p.p., non può essere proposta nei successivi gradi di giudizio (Cass. Sez. 5, 22.12.1998 n. 2911/99, Lo Presti, rv.

212617).

6.- Ricorso di C.M.F..

All’imputato è stato ascritto soltanto il reato di cui al capo 33) della rubrica relativo al concorso nei fatti di corruzione propria concernenti i lavori per la trasformazione dell’acquedotto del (OMISSIS) affidati al consorzio formato dalle imprese gestite da Ba.An. e c.l.. Fatti scanditi da corresponsione di cospicue somme di denaro agli esponenti politici Sc.Vi., d.D.G. e D.L.F..

Dazioni pecuniarie nelle quali, per la parte destinata allo Sc. (L. 500 milioni), il C.M., consulente legale della società Carriero e Baldi e già collaboratore dell’on. Sc., si sarebbe interposto, indicando al Ba. il destinatario della somma nella persona del coimputato B.A., vice-segretario provinciale della D.C. napoletana e coordinatore della segreteria politica dello Sc..

Per tale condotta, qualificata come corruzione impropria, il C. M. è stato mandato assolto dal Tribunale con formula ampiamente liberatoria per non aver commesso il fatto. La Corte di Appello, ripristinata ex art. 521 c.p.p. l’originaria accusa di corruzione propria antecedente ha dichiarato il reato ascritto al ricorrente, concessegli generiche circostanze attenuanti stimate prevalenti sulle aggravanti, improcedibile perchè estinto per prescrizione.

Con l’odierno ricorso si formula un unico articolato motivo di impugnazione per totale mancanza di motivazione della sentenza di secondo grado.

I giudici di appello, esprimendo – sebbene con la declaratoria di estinzione del reato – un previo giudizio di responsabilità dell’imputato per il fatto contestatogli, non si sono confrontati con gli argomenti, di fatto e di diritto, in base ai quali il Tribunale ha ritenuto di escludere la partecipazione criminosa del C. M. all’episodio corruttivo (il prevenuto essendosi limitato a fornire al proprio cliente Ba. il numero di telefono del coimputato B., per altro agevolmente rilevabile dalla guida telefonica, assicurandogli la "affidabilità" dello stesso B.).

Per procedere alla totale riforma della sentenza di primo grado la Corte territoriale avrebbe dovuto dimostrare almeno l’irragionevolezza o i motivi di non condivisibilità delle conclusive valutazioni del Tribunale. Ma la sentenza di appello si astiene da qualsiasi motivazione, anche soltanto indiretta, sulla responsabilità dell’imputato per il fatto reato attribuitogli.

6.1.- Il ricorso è fondato.

Effettivamente la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento alla posizione processuale del C.M., a parte un breve e laconico inciso (p. 56), in cui dandosi atto del comune "appello" proposto dall’imputato insieme ai coimputati Bu.Eu. e Ma.Eu. (trattasi di appello incidentale, il C. M. essendo stato assolto, come detto, con ampia formula in fatto), si assevera la infondatezza della doglianza relativa alla configurabilità nei fatti della sola corruzione propria susseguente, che escludeva la responsabilità del corruttore secondo il testo degli artt. 319 e 321 c.p. anteriore alla novella introdotta con L. 26 aprile 1990, n. 86.

Non è revocabile in dubbio che, a fronte di una causa di improcedibilità (prescrizione del reato) dichiarata previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, cioè all’esito di un giudizio presupponente una valutazione del merito della regiudicanda, il giudice di appello avrebbe dovuto precisare i motivi di non condivisibilità delle diverse valutazioni enunciate dal Tribunale in punto di insussistenza della specifica condotta criminosa assegnata al C.M.. Al riguardo va subito chiarito che, vertendosi su profili del giudizio che sono radicati nella analisi di elementi di mero fatto integrati dallo specifico contegno assunto dall’imputato nel corso della vicenda corruttiva, è del tutto indifferente la qualificazione giuridica conferita alla vicenda e alle complessive condotte dei coimputati (corruzione propria o corruzione impropria).

La lettura della sentenza del Tribunale nella parte riguardante il ricorrente accredita l’assunto esposto nel ricorso.

Gli unici elementi a carico del C. sono desunti dalle dichiarazioni del coimputato (corruttore) Ba.An., secondo cui, una volta manifestatagli (dopo averne ricevuto il suggerimento dal G.) l’intenzione di contattare il politico B. per erogargli denaro destinato a favorire le esigenze dell’impresa per l’affidamento dei lavori dell’acquedotto del (OMISSIS), il C. M. gli ha fornito il numero di telefono dell’uomo politico, informandolo della sua affidabilità. Evenienze che lo stesso C. M. non ha avuto difficoltà a confermare. Sicchè coerentemente e con piena logica il Tribunale osserva (sentenza p. 127) che: "l’aver fornito il numero di telefono e l’aver confermato l’affidabilità del B. nel riceversi le tangenti non sono elementi di prova sufficienti per far sorgere a carico dell’imputato niente più che semplici sospetti".

Il vizio di motivazione della sentenza è, dunque, palese. Non può tuttavia disporsi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, poichè il rinvio del processo all’esame del giudice di merito di secondo grado dopo la pronuncia di annullamento diviene incompatibile con l’obbligo di immediata declaratoria di improcedibilità per intervenuta estinzione del reato, ormai prescritto anche in difetto della previa concessione delle attenuanti generiche, essendo stata contestata unicamente l’aggravante comune del numero dei concorrenti ai sensi dell’art. 112 c.p., n. 1 (cfr.: Cass. S.U., 21.10.1992 n. 1653, Marino, rv. 192471; Cass. Sez. 4, 19.3.2009 n. 14450, Stafissi, rv. 244001). La sentenza va dunque annullata senza rinvio limitatamente alla posizione di C.M.F. per non avere costui commesso il reato di cui al capo 33) della rubrica ascrittogli.

7.- Ricorso di B.A..

All’imputato sono stati contestati due reati. Il reato di cui al capo 33) della rubrica, di cui si è appena discusso (ricorso C. M.), e il reato di cui al capo 35) della rubrica, costituente in certo senso un corollario della medesima vicenda corruttiva afferente ai lavori per la risistemazione dell’acquedotto del (OMISSIS), essendo integrato dalla consegna da parte dell’imprenditore Pi.Ra. della somma di L. 150 milioni al B., destinata alla corrente politica dell’on. Sc., e della somma di L. 200 milioni a D.S.D., segretario generale del Commissariato straordinario regionale del Governo, al fine di far inserire – mediante il F. – la omonima società del Pi. nel consorzio di ditte aggiudicatario dei lavori del (OMISSIS).

Il Tribunale di Napoli ha dichiarato estinti per prescrizione entrambi i reati, ritenute le ipotesi di corruzione impropria. La sentenza di primo grado è stata appellata dal B. e, per il solo reato di cui al capo 33), dal p.m. La Corte di Appello, riqualificati i fatti come corruzione propria, ha parimenti dichiarato estinti i due reati per prescrizione, previa concessione all’imputato delle attenuanti generiche stimate equivalenti all’aggravante ex art. 112 c.p., n. 1.

Con il ricorso si enunciano tre motivi di impugnazione.

1. Violazione dell’art. 106 c.p.p.. Nel corso delle indagini preliminari si è verificata una palese causa di incompatibilità difensiva, poichè il coimputato Pi.Ra., accusatore del B., è stato interrogato in carcere con l’assistenza del medesimo difensore che poi, nelle stesse circostanze, ha assistito il B.. Gli atti così assunti debbono ritenersi nulli.

2. Violazione dell’art. 157 c.p., comma 7. Nel corso del giudizio di appello (udienza del 19.6.2008) l’imputato ha espressamente dichiarato di rinunciare alla prescrizione. Avrebbe dovuto, per ciò, essere giudicato sul merito dell’accusa.

3. Carenza o insufficienza della motivazione. La Corte di Appello si è limitata a richiamare alcune osservazione della sentenza di primo grado, omettendo di rivalutare il quadro probatorio anche alla luce dei motivi di appello esposti avverso la sentenza del Tribunale dall’imputato. La posizione del B. è stata oggetto di un esame superficiale e generico.

7.1.- Il ricorso non può trovare accoglimento per l’infondatezza dei descritti motivi di censura, che lambiscono l’inammissibilità per incongruenza ed aspecificità. 7.1.1.- La prima doglianza sul violato art. 106 c.p.p. p. è totalmente generica (trattandosi di acritica replica dell’omologo motivo di gravame, vagliato e disatteso correttamente dalla decisione di secondo grado) e manifestamente infondata. Puntualmente la Corte di Appello ha osservato che, come statuito dalle Sezioni Unite di questa S.C., l’inosservanza del disposto dell’art. 106 c.p.p., comma 4 bis in tema di incompatibilità dei difensori di imputati in conflitto di posizioni processuali non produce alcuna nullità o inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate dagli imputati o indagati, che debbono unicamente essere sottoposte ad una più accorta e meticolosa verifica sotto l’aspetto della loro intrinseca attendibilità (Cass. S.U, 22.2.2007 n. 21834, Dike, rv. 236373;

Cass. Sez. 6, 27.11.2008 n. 47079, Froncillo, rv. 242145). Occorre, d’altra parte, osservare -ad indiretta riprova della compiutezza dell’esame della posizione del ricorrente B. – che la sentenza impugnata espressamente richiama le valutazioni esposte dal Tribunale, in termini di ricostruzione del suo contegno fattuale, sul conto del B.. Valutazione in margine alle quali i giudici di primo grado rimarcano in via pregiudiziale che le dichiarazioni autoaccusatorie ed eteroaccusatorie dell’imputato Pi.Ra. sono state riconosciute utilizzabili soltanto nei confronti dello stesso Pi. e non di altri.

7.1.2.- La censura relativa alla sopravvenuta rinuncia (in appello) dell’imputato alla prescrizione è infondata.

La prescrizione dichiarata con sentenza non può essere, nei gradi successivi, oggetto di rinuncia, una dichiarazione in tal senso in sede di impugnazione potendo essere intesa soltanto come generica richiesta di assoluzione nel merito. Quando il giudice si sia già espresso sull’accusa contestata dichiarando l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, come accaduto nel giudizio di primo grado nei confronti del B., non può ritenersi consentito all’imputato manifestare nei successivi gradi di giudizio per la prima volta la propria rinuncia alla prescrizione, che – in presenza del principio di divieto di reformatio in peius – rischierebbe di alterare la pienezza della valutazione del giudice e la parità tra le parti processuali (cfr.: Cass. Sez. 3, 7.7.2009 n. 37583, Guido, rv. 244627; Cass. Sez. 1, 23.6.2009 n. 32623, rv. 244742: "E’ tardiva e inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata").

7.1.3.- Per quanto in parte anticipato, non è ravvisabile nella sentenza di appello alcuna discrasia o lacuna motivazionale che offra spazio alle critiche genericamente sollevate con il terzo motivo di ricorso. La sentenza della Corte di Appello ha preso in esame le ragioni di gravame dell’imputato (censuranti in termini anch’essi generici la sentenza di primo grado) e le ha giudicate infondate alla luce delle risultanze probatorie afferenti ad entrambi i reati contestati all’imputato, per la descrizione della cui condotta è stata congruamente richiamata la sentenza del Tribunale. Deve inferirsene, allora, che nella decisione impugnata non sono individuabili cesure od illogicità suscettibili di scrutinio nell’odierna sede di legittimità. 8.- Ricorsi di Bo.Ag. e P.M. F..

Ai due imputati, imprenditori edili titolari della impresa Ingg.

Borselli e Pisani SpA, è contestato il reato corruzione propria di cui al capo 28) della rubrica per avere corrisposte somme di denaro all’on. D.L. e al suo segretario M.G. perchè intervenissero su Br.Br., presidente del consorzio Ascosa divenuto aggiudicatario in regime di concessione dei lavori di realizzazione della Ferrovia Alifana, nonchè sul F. e altri funzionari del Commissariato Straordinario per far inserire nel consorzio assegnatario dei lavori anche l’impresa del Bo. e del P..

Il Tribunale ha riqualificato i fatti in termini di illecito finanziamento ad un partito politico ai sensi della L. n. 195 del 1974, art. 7 e L. n. 659 del 1981, art. 4 ed ha dichiarato tale reato estinto per prescrizione. Accogliendo l’appello del p.m., i giudici di secondo grado hanno ritenuto i comportamenti dei due imputati integrativi del reato di corruzione propria antecedente in origine contestato e, in concorso di generiche circostanze attenuanti equivalenti alle aggravanti (ma nel caso di specie non è ravvisabile neppure la aggravante del numero superiore a cinque dei concorrenti nel reato), ha dichiarato parimenti prescritto questo reato.

Con unitario ricorso del comune difensore i due imputati enunciano una unica doglianza, variamente articolata, per erronea applicazione dell’art. 319 c.p. e difetto di motivazione.

Secondo l’accertamento svolto dal Tribunale nella vicenda che costituisce l’accusa non può ravvisarsi l’intervento anomalo o indebito di alcun pubblico ufficiale (il F., concorrente nel reato, è stato assolto dal Tribunale per non aver commesso il fatto). Ciò ha indotto a qualificare i fatti (oggettive erogazioni di denaro al D.L.) come occulto (illecito) finanziamento in favore dell’allora operante Partito Liberale italiano. In realtà gli unici attori della movimentazione del denaro messo a disposizione dal Bo. e dal P., interpostisi nei rapporti con gli esponenti politici, sono stati i titolari delle imprese originariamente consorziate che hanno cooptato al proprio interno la società dei due ricorrenti. L’approvazione o autorizzazione da parte del Commissariato Straordinario all’ingresso nel consorzio Ascone della Borselli-Pisani SpA (Decreto 24.1.1990 del nuovo Commissario regionale L.A.) è un semplice atto dovuto, del tutto legittimo. Nè vi è prova che il F. (nella sua originaria qualità commissariale) o i beneficiari delle erogazioni pecuniarie, l’on. D.L. e il suo segretario, siano intervenuti nei confronti dei funzionari del Commissariato D.S. e Ca. per caldeggiare e ottenere l’inserimento nel consorzio della ditta dei ricorrenti, che era particolarmente qualificata e legittimata a farne parte.

8.1.- I motivi che sorreggono i ricorsi del Bo. e del P. M. sono infondati sino a scivolare per più versi nella indeducibilità, laddove prospettano una rivisitazione o reinterpretazione meramente fattuale delle fonti di prova, che – a fronte della logicità descrittiva e valutativa delle due sentenze di merito (del Tribunale per quanto attiene alla disamina delle condotte materiali degli imputati) – rimangono estranee al giudizio di legittimità. Può solo osservarsi che, se l’inserimento della impresa nel consorzio destinato a portare a compimento la Ferrovia Alifana richiedeva certamente il preventivo assenso delle imprese già consorziate, fondamentale e decisiva ai fini operativi restava la approvazione dell’inserimento da parte del Commissariato Straordinario. Approvazione che, quand’anche formalmente legittima, si inserisce in un quadro di generale illiceità, trattandosi di inserire un’altra impresa "amica" in un gruppo di imprese "amiche" già formato in spregio di ogni criterio di concorrenza e di selezione, fatte aggregare in consorzio e diventate assegnatane di un lavoro che la normativa sulla ricostruzione impedisce di considerare funzionale agli interventi edilizi di recupero susseguenti al sisma.

Nè può seriamente sostenersi che la Corte di Appello non abbia offerto sufficiente motivazione sulla posizione di penale rilevanza dei due imputati, sol che si rifletta che la sentenza rinvia alla ricostruzione fattuale degli eventi e dei comportamenti storici operata dal Tribunale, sì che non vi è alcuna discrasia in relazione al diverso inquadramento giuridico di quegli stessi eventi e comportamenti sviluppato dalla decisione di secondo grado.

Merita aggiungere per completezza che, diversamente da quanto si adduce nel ricorso comune dei due imputati, non si profilano discrasie valutative nella successione definitoria delle condotte criminose fatta registrare dalle due sentenze di merito (corruzione propria contestata dall’accusa; illecito finanziamento dei partiti secondo il Tribunale; corruzione propria secondo la Corte di Appello). Per il semplice motivo che non vi è alcuna interferenza tra le due ipotesi criminose ritenute dai giudici di merito, giacchè non sussiste alcun rapporto di specialità tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito di un partito, essendo ben possibile il concorso formale tra le due fattispecie, che sono integrate da condotte non coincidenti e tutelanti beni giuridici diversi, costituiti dalla trasparenza e dal buon andamento della pubblica amministrazione nella corruzione e dal rispetto del metodo democratico nell’altro reato (Cass. Sez. 6, 24.10.1995 n. 11240, Ronchi, rv. 203180; Cass. Sez. 6, 16.10.1998 n. 3926, Moscano, rv.

212995).

9.- Ricorso di D.C.T..

Il ricorrente deduce violazione dell’art. 649 c.p.p. e difetto di motivazione.

L’imputato, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Napoli distaccato presso il Commissariato Straordinario regionale, è stato rinviato a giudizio per rispondere dei reati di corruzione propria di cui ai capi 6) e 7) della rubrica per aver ricevuto denaro dai titolari di imprese aggiudicatane di lavori sottoposti al suo controllo, per agevolare in seno al Commissariato le società e le pratiche che le riguardavano. L’impresa di Po.Ro., facente parte del consorzio EdinSud (dazione di L. 120 milioni: capo 6: opere di edilizia residenziale a Ponticelli), e l’impresa di T.B., facente parte del consorzio C.M.F. Sud (dazione di L. 80 milioni: capo 7: variante per l’edificazione della sede della USL di Ponticelli).

Nel corso del dibattimento di primo grado il p.m., dopo l’esame del coimputato nello stesso reato sub 7) T.B., ha contestato al D.C. in rapporto all’originaria condotta di corruzione propria anche il reato di concussione, divenuto oggetto del capo 7 bis) della rubrica, ferma restando la concomitante accusa di corruzione propria per la ricezione di L. 80 milioni mossa al D. C., venuto così a trovarsi accusato di due reati per la medesima condotta criminosa: capo 7) come corruzione, capo 7 bis) come concussione.

All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale con la sentenza del 2.5.2002 ha, da un lato, dichiarato improcedibile il reato di cui al capo 7), qualificato il fatto come corruzione impropria, perchè estinto per prescrizione (analoga soluzione adottando per l’altro reato di corruzione contestato al D.C. con il capo 6 della rubrica); da un altro lato ha assolto l’imputato dal concorrente reato di concussione di cui al capo 7 bis) perchè il fatto non sussiste.

Il pubblico ministero ha appellato la sentenza del Tribunale unicamente per il reato di cui al capo 7 bis) della rubrica, cioè per il fatto qualificato come concussione in pregiudizio di T. B.. La Corte di Appello, accogliendo la richiesta del concludente P.G. di udienza, ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui al capo 7 bis), qualificato previamente il fatto come corruzione propria.

Si è in tal modo prodotta una evidente anomalia con indebita duplicazione del giudizio riguardante il D.C. in ordine al medesimo fatto storico, costituito dalla ricezione della somma di L. 80 milioni corrispostagli dal T.. La Corte di Appello, che non offre alcuna peculiare motivazione in ordine alla posizione del D. C., non si è avveduta che, in difetto dell’appello del p.m., la decisione di primo grado sullo stesso fatto di reato (capo 7 della rubrica) definito come corruzione impropria era passata in giudicato, sì che il D.C. non avrebbe potuto essere giudicato una seconda volta per lo stesso fatto sebbene diversamente qualificato come concussione.

9.1.- Il ricorso è assistito da fondamento, palese prospettandosi l’elusione del disposto dell’art. 649 c.p.p., comma 1 in cui è incorsa la Corte di Appello sulla scia della erronea impugnazione da parte del p.m., ai fini della sostenibilità dell’accusa, del solo reato rubricato al capo 7 bis) e non anche quello di cui al capo 7).

Pur superandosi la virtuale anomalia di una contestazione alternativa prefiguratasi in dibattimento per una stessa condotta illecita, qualificata sia come corruzione (capo 7) che come concussione (capo 7 bis), in definitiva dotata di valenze garantistiche per lo stesso imputato, posto in grado di difendersi rispetto ad un più ampio spettro dei fatti addebitatigli, deve convenirsi che l’alternatività dell’accusa avrebbe dovuto essere risolta nel giudizio di merito attraverso un lineare percorso dinamico, divaricatosi dopo la sentenza del Tribunale, che almeno per il giudizio di primo grado, adottando una corretta e doverosa pronuncia contestuale sulla duplicata accusa per un medesimo fatto elevata contro il D.C., ha risolto l’opzione, escludendo la possibile configurazione nella condotta dell’imputato della ipotizzata concussione (insussistenza del fatto sub 7 bis) e riconducendo tale condotta alla sola fattispecie della corruzione, sebbene definita come impropria in luogo dell’originaria strutturazione come corruzione propria.

La Corte di Appello si è pronunciata sul reato di cui al capo 7 bis) (concussione), supponendo di poter operare una riqualificazione del fatto in termini di corruzione propria antecedente, reato attinto da prescrizione. Ma ciò è avvenuto in violazione del principio devolutivo che governa le impugnazioni. Il divieto del bis in idem stabilito dall’art. 649 c.p.p. postula una preclusione derivante dal giudicato formatosi per lo stesso fatto attribuito ad una stessa persona o anche dalla eventuale coesistenza di procedimenti iniziati per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona (anche se pendenti in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del p.m. (cfr.: Cass. S.U., 28.6.2005 n. 34655, P.G. in proc. Donati, rv. 231800; Cass. Sez. 5, 29.1.2007 n. 9180, Aloisio, rv. 236259). In assenza di un congiunto appello per il reato di corruzione di cui al capo 7), già oggetto di valutazione di una sentenza definitiva, la Corte di Appello avrebbe dovuto o dichiarare l’insussistenza del fatto di concussione (come a suo tempo deciso dal Tribunale) o, in modo più pertinente, dichiarare improcedibile (rectius improseguibile) il reato ai sensi dell’art. 649 c.p.p..

Decisione che va adottata da questo giudice di legittimità con conseguente annullamento senza rinvio sul punto dell’impugnata sentenza della Corte di Appello.

10.- Ricorso di D.G.A..

All’imputato è ascritto il reato di concorso in corruzione di cui al capo 1) della rubrica per avere, nella sua qualità di titolare dell’omonima impresa inserita nel consorzio Quarto – Pozzuoli esecutore di 600 alloggi in tale comprensorio, corrisposto somme di denaro all’onorevole democristiano R.G. per indurre il F. ad assegnare al consorzio la realizzazione di più opere infrastrutturali connesse all’intervento di ricostruzione (collegamento viario (OMISSIS); copertura del canale di (OMISSIS); strada di collegamento tra (OMISSIS)). Reato di cui la Corte di Appello ha dichiarato l’estinzione per prescrizione, dopo aver riqualificato -in adesione all’appello del p.m.- il fatto in termini di corruzione propria, in luogo della corruzione impropria ritenuta in primo grado.

Con il ricorso si deduce violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 319 c.p.. L’imputato non ha avuto mai alcun contatto o rapporto con il pubblico ufficiale F., le sue erogazioni pecuniarie essendo frutto di un accordo politico-affaristico contratto dal titolare della società capofila del consorzio. In ogni caso l’aggiudicazione dei lavori in favore della ditta del ricorrente era già avvenuta quando vi è stata l’erogazione di denaro, sicchè -a tutto voler concedere- si è realizzata una corruzione impropria susseguente ai sensi dell’art. 318 c.p. per la quale il privato corruttore non era punibile secondo la normativa in vigore al momento dei fatti.

10.1.- Il ricorso va respinto per l’infondatezza della prefigurata censura.

La tesi dell’impugnante riprende, in termini generici e riduttivi, un tema proposto già da altri imputati, quello della natura impropria della corruzione, fatta risalire alla asserita legittimità degli atti riconducibili al F. o comunque al Commissariato Straordinario da lui diretto. Tesi sottoposta a verifica critica dalla Corte di Appello con argomenti logici e giuridicamente corretti, come si è già posto in luce nel corso della trattazione del ricorso di F.A., alla quale è d’uopo fare rinvio.

11.- Ricorso di S.N..

All’imputato, pubblico ufficiale all’epoca dei fatti perchè Vice Presidente della Regione Campania, è ascritto il concorso nella corruzione di cui al capo 26) della rubrica per aver ricevuto -quale esponente politico del P.S.I. facente capo in Campania al coimputato on. Co.Ca. – somme di denaro (L. 340 milioni) da Br.Br., imprenditore e presidente del consorzio Ascosa già affidatario di opere di edilizia residenziale nel comune di S. Antimo, allo scopo di indurre il F. ad assegnare al consorzio Ascosa più opere aggiuntive nel quadro del programma di ricostruzione regionale. La Corte di Appello ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di corruzione propria antecedente, così nuovamente qualificato il fatto reato, definito dal Tribunale come corruzione impropria.

Con il ricorso si formulano più ordini di rilievi inscritti in una complessiva unitaria censura di violazione della legge sostanziale ( art. 319 c.p.) e processuale ( art. 192 c.p.p.) e di insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

La Corte di Appello non ha approfondito gli argomenti difensivi enunciati nel gravame proposto anche dall’imputato contro la sentenza del Tribunale, affermando in via generale la sussistenza del reato di corruzione propria senza offrire adeguata spiegazione di tale assunto e, in via particolare, la sicura partecipazione criminosa dello S.. Assunto quest’ultimo tratto dalle dichiarazioni ammissive delle dazioni di denaro e latamente eteroaccusatorie dell’imprenditore Br. e soprattutto dalla ammissione dello stesso imputato di aver effettivamente ricevuto delle somme di denaro. Tali emergenze sono considerate da sole bastevoli per affermare la responsabilità concorrente dell’imputato. Si tratta di una palese forzatura delle regole di valutazione della prova. Lo stesso S. nel riconoscere lealmente di aver ricevuto contributi finanziari dal Br. (come da altri soggetti) ha del pari chiarito essersi trattato di elargizioni affatto spontanee e senza alcuna previa sollecitazione, avulse da qualsiasi sottostante finalità di corruzione. Finalità da lui mai perseguita e ritenuta, invece, dai giudici di merito (pur nella diversa qualificazione giuridica conferita ai fatti) nonostante la carenza di elementi probatori su una siffatta condotta dell’imputato diretta ad interferire sulle decisioni del Commissariato Straordinario. A tacere del fatto che egli, nella sua qualità di assessore regionale alla Sanità, non aveva alcun potere funzionale per intervenire e interferire sulle procedure e determinazioni della struttura commissariale ("…mai in alcun momento ha partecipato agli accordi programmati, tant’è che egli riceve il danaro elargito a lui non quale amministratore della cosa pubblica ma quale esponente di un partito politico").

Allorchè all’inizio del 1988 l’imprenditore Br. – seguendo a suo stesso dire le indicazioni di F. – gli porta il denaro, l’impresa personale del Br. e il consorzio di imprese da lui presieduto sono già da tempo (dal 1985) affidatari in regime di concessione di lavori di edilizia residenziale. L’eventuale opera di corruttela si era già materializzata in precedenza al di fuori di ogni coinvolgimento del ricorrente. Ma quand’anche lo S., rimasto estraneo ad ogni ipotizzato accordo preventivo tra politici e imprenditori, avesse avuto contezza del rapporto di corruttela "a monte" ("cioè avesse saputo o anche solo intuito che i gestori del denaro pubblico erano in combutta con gli imprenditori privati pronti a pagare per l’ottenimento di remunerativi lavori"), ciò non varrebbe a fondare un suo concorso criminoso, atteso che la semplice connivenza non integra partecipazione ad un reato altrui. Del resto le dichiarazioni del Br., cui la sentenza impugnata annette particolare peso dimostrativo dell’esistenza di un radicato sistema tangentizio incarnato da un gruppo di potere stanziato a Napoli ma in diretto e costante contatto con i vertici di partito romani, recano indicazione degli uomini politici che sarebbero stati partecipi del patto corruttivo genetico, cioè del preventivo accordo spartitorio.

Ma tra questi non è dato rinvenire la persona del ricorrente.

11.1.- I motivi di ricorso sono infondati e per più versi non deducibili, quando scivolano nella prospettazione di una mera rilettura e reinterpretazione degli elementi di fatto sui quali è imperniata la decisione di appello, rilettura non proponibile in sede di legittimità in difetto di concreti dati che accreditino patenti discrasie o illogicità della motivazione.

La critica di carenza di motivazione rivolta alla sentenza di appello è fuori luogo, dal momento che il richiamo all’ampia trattazione della vicenda integrata dal capo 26) dell’imputazione effettuata dalla decisione di primo grado, per quel che specificamente attiene alla descrizione delle risultanze processuali attinenti alla dinamica dei comportamenti dei vari protagonisti dei fatti corruttivi, è corretto ed è in ogni caso integrato da una diretta e autonoma riconsiderazione di tali risultanze, anche alla luce dei motivi di gravame dell’imputato (in buona parte riprodotti con poche varianti nel ricorso odierno), svolta dalla stessa Corte di Appello. In questa prospettiva rilevanti e decisive si mostrano le dichiarazioni confessorie rese dall’imprenditore corruttore Br.Br., che ha riferito dell’instaurazione di un accordo antecedente all’affidamento dei lavori integrativi alle società del consorzio Ascosa con il F., che gli chiede di inserire nel consorzio imprese "vicine" ai gruppi politici di maggioranza e di rendere questi destinatari di congrue tangenti al palese scopo di favorire la selezione delle imprese consortili e l’affidamento alle stesse delle importanti opere integrative e di variante dei programmi di ricostruzione edilizia.

E’ lo stesso Br. che, al di là delle poco verosimili professioni di estraneità dello S. ad ogni contesto tangentizio ( F. riferisce di essere stato sollecitato da Roma dall’allora segretario amministrativo del P.S.I. b. di far pervenire anche ai socialisti e in particolare alla corrente dell’on. Co., di cui S. era esponente, una congrua percentuale degli apporti finanziari provenienti dalle imprese inserite nei lavori della ricostruzione), collega senza incertezze le plurime erogazioni di denaro nelle mani dei politici alle esigenze di lavoro e di espansione delle commesse proprie delle varie ditte componenti il consorzio Ascosa.

I riferimenti alla propria personale qualità di assessore alla Sanità non in grado di influire in alcun modo sulle procedure riguardanti i lavori pubblici affidati al consorzio Ascosa sono a dir poco fuorvianti. Per il semplice motivo che le erogazioni pecuniarie pervengono pacificamente all’imputato in quanto uomo politico di un partito di governo e non già nella sua veste di pubblico ufficiale.

E’ la struttura commissariale, infatti, come si è ormai chiarito essere avvenuto in tutti i casi integranti l’imputazione, che si fa carico di assegnare i lavori alle ditte previamente selezionate in ragione della loro "vicinanza" a gruppi politici e loro rappresentanti, che proprio a tal fine le segnalano al F..

Pertinenti e corrette si mostrano, infine, le osservazioni della Corte di Appello nel ribadire (precisazione svolta in margine alla posizione del coimputato Co.Ca., ma ovviamente valevole anche per lo S., che della circostanza ha fatto un motivo di censura della sentenza di secondo grado) come la sussistenza della corruzione propria antecedente che scandisce – per l’esistenza di accordo corruttivo previo, cioè funzionale alla "scelta" delle ditte cui affidare lavori di ricostruzione e poi lavori integrativi (le opere infrastrutturali) – gli episodi corruttivi che compongono il processo non venga meno per il solo fatto che le erogazioni pecuniarie siano in taluni casi effettuate in epoca successiva agli illegittimi vantaggi conseguiti dagli imprenditori "favoriti". Dal momento che siffatte erogazioni si coniugano oggettivamente agli accordi e alle garanzie promissorie raggiunti in funzione del simmetrico speculare obiettivo illecito perseguito dai politici, che intervengono sul Commissariato Straordinario, e dagli imprenditori, che lucrano redditizie commesse di lavoro.

12.- Ricorso di Sc.Vi..

All’imputato sono stati attribuiti i reati di corruzione di cui: al capo 33), concernente le opere di trasformazione dell’acquedotto del (OMISSIS) affidati al consorzio di imprese di Ba.An. e c.l., scandite da somme di denaro fatte pervenire ad esponenti politici tra cui l’on. Sc. che le avrebbe ricevute per il proprio gruppo (corrente) attraverso il coimputato B. A., vice-segretario provinciale della D.C. napoletana e coordinatore della segreteria politica dello Sc.; al capo 35), concernente ancora i lavori dell’acquedotto del (OMISSIS), per i quali l’imprenditore Pi.Ra. – al fine di ottenere l’inserimento della propria azienda nel consorzio affidatario dei lavori esecutivi – versa somme di denaro a funzionari del Commissariato e somme di denaro al B. (L. 150 milioni) da destinare alla corrente dell’on. Sc..

Il Tribunale ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui al capo 35), qualificato come corruzione impropria, ed ha mandato assolto l’imputato, al pari del coimputato C.M., dal reato di cui al capo 33) per non aver commesso il fatto. Il p.m. ha proposto appello soltanto per quest’ultimo fatto reato sub 33). La Corte di Appello, qualificate le condotte come manifestazione di corruzione propria, ha dichiarato estinto il reato per prescrizione, ferma rimanendo la decisione del Tribunale per il reato di cui al capo 35) (estinzione per prescrizione come corruzione impropria).

Con il ricorso sono sollevate due censure attinenti ciascuna ai due predetti reati.

1. Erronea applicazione dell’art. 319 c.p. e difetto di motivazione in riferimento alla posizione dell’imputato per il reato di cui al capo 33). La Corte di Appello, facendo pedissequamente proprie le deduzioni dell’appellante p.m., si è astenuta dal verificare gli argomenti e i rilievi in base ai quali il Tribunale, a prescindere dalla qualificazione da conferire ai fatti criminosi (corruzione propria o corruzione impropria), ha rilevato l’estraneità dello Sc. in punto di fatto alla dinamica dell’episodio corruttivo e la sua riferibilità al solo coimputato B.. A tacere del fatto che, in riferimento agli eventi di cui al capo 33), lo stesso F. ha asserito il disinteresse dell’on. Sc. per vicende di natura tangentizia collegate alle opere di ricostruzione seguite al terremoto.

2. Violazione degli artt. 178, 179, 429 e 587 c.p.p. e difetto di motivazione in riferimento ai fatti di cui al capo 35) dell’imputazione. Inopinatamente l’imputato è stato tratto a giudizio per rispondere di tale reato, benchè la contestazione dell’accusa non rechi traccia della percezione da parte dello Sc., diretta o indiretta, di somme di denaro erogate per fini corruttivi dall’imprenditore Pi.Ra., onde veder inserita la propria impresa nel consorzio affidatario dei lavori di trasformazione dell’acquedotto del (OMISSIS). Le stesse dichiarazioni latamente eteroaccusatorie del Pi., comunque non direttamente incidenti sulla posizione del ricorrente, sono state dichiarate dal Tribunale utilizzabili solo nei confronti del medesimo Pi. e non anche di altri imputati. La Corte di Appello, non prestando attenzione alle memorie difensive dell’imputato prodotte nel corso del giudizio di secondo grado, con le quali si eccepiva la nullità della contestazione sub 35), neppure si è fatta carico di prendere in esame la richiesta dello Sc. di estensione – ex art. 587 c.p.p. – dei motivi di appello proposti dai coimputati F. e B. in relazione al medesimo reato di cui al capo 35) e deducenti assoluta carenza di prova proprio in ragione della menzionata inutilizzabilità delle dichiarazioni del Pi. erga alios.

12.1.- Il ricorso è fondato limitatamente al reato di cui al capo 33) della rubrica.

12.1.1.- Le censure attinenti all’imputazione di corruzione sub 35) sono infondate ed indeducibili. Giammai la Corte di Appello avrebbe potuto pronunciarsi sulla posizione dello Sc. quale imputato di tale reato, per il semplice motivo che lo stesso non è stato oggetto dell’impugnazione del p.m. nè dell’impugnazione del medesimo Sc.. Di tal che su di esso si è formato il giudicato in rapporto alla declaratoria di estinzione per prescrizione deliberata dalla sentenza del Tribunale del 2.5.2002 (sia pure per il diverso ritenuto reato di corruzione impropria). Nè la Corte territoriale avrebbe potuto applicare il principio dell’effetto estensivo dell’impugnazione dei coimputati F. e B. previsto dall’art. 587 c.p.p.. Effetto che sarebbe invocabile soltanto nel caso in cui le impugnazioni dei due coimputati fossero state accolte.

Ciò che non è avvenuto, poichè la Corte di Appello ha rigettato le impugnazioni del B. e del F. (dispositivo della sentenza di secondo grado: "Conferma nel resto") inerenti al reato di cui al capo 35) della rubrica. L’art. 587 c.p.p., comma 1, consentendo al coimputato non impugnante o che abbia proposto una impugnazione inammissibile di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest’ultimo, non conferisce all’imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione in caso di mancato accoglimento del gravame del coimputato ritualmente appellante. Ciò perchè la finalità del canone dell’effetto estensivo dell’impugnazione è rappresentata unicamente dall’esigenza di garantire la par condicio degli imputati che si trovino in situazioni identiche, senza per questo dare luogo ad una surrettizia riammissione nei termini prescritti per l’impugnazione non proposta da uno dei coimputati (cfr.: Cass. Sez. 6, 2.5.1994 n. 9272, Vastola, rv. 199515; Cass. Sez. 5,19.10.2000 n. 191/01, Mattioli, rv. 218068; Cass. Sez. 5, 8.11.2005 n. 9007, Marrone, rv. 233763).

12.1.2.- Le doglianze attinenti al capo 33) dell’imputazione sono fondate per le medesime ragioni già espresse in rapporto alla identica situazione processuale del coimputato nello stesso reato e ricorrente C.M.F..

Anche in questo caso la sentenza impugnata non contiene se non generici riferimenti alla posizione processuale dello Sc.. La sentenza si limita ad osservare (p. 73) che il reato di cui al capo 33), da qualificarsi come integrativo di corruzione propria, per il quale non sono contestate circostanze aggravanti, è ampiamente prescritto. Non vi è dubbio che anche in questo caso il giudice di appello avrebbe dovuto precisare i motivi di non condivisibilità delle diverse valutazioni enunciate dal Tribunale in punto di insussistenza della specifica condotta criminosa attribuita all’on. Sc.. Si è già precisato, nel trattare l’omologa posizione del coimputato C.M., come, vertendosi su profili del giudizio radicati nell’analisi di elementi di mero fatto integrati dallo specifico contegno assunto dall’imputato nell’ambito della vicenda corruttiva, è del tutto indifferente la qualificazione giuridica conferita alla vicenda e alle complessive condotte dei coimputati (corruzione propria o corruzione impropria).

La lettura della sentenza del Tribunale nella parte riguardante il ricorrente avvalora la fondatezza dell’assunto esposto nel ricorso.

Gli unici elementi a carico dello Sc. sono desunti dalle dichiarazioni del coimputato (corruttore) Ba.An., secondo cui il denaro versato al B. sarebbe stato destinato all’on. Sc.. Ipotesi che, quanto a consapevole adesione criminosa dello Sc., è contraddetta dal B., il quale ammettendo di aver ricevuto le erogazioni pecuniarie dell’imprenditore, sostiene di aver utilizzato il denaro per le spese di segreteria della corrente politica dell’on. Sc., senza mai informare quest’ultimo, se non in termini vaghi e sommari, della provenienza del denaro e soprattutto delle cause dell’erogazione. Di guisa che in termini logici e coerenti il Tribunale deduce (sentenza p. 127) che: "tali risultanze non appaiono sufficienti neanche ai limitati scopi di pronunziare una sentenza di estinzione del reato per prescrizione…le prove a carico dell’imputato ( Sc.) si dovrebbero dedurre dall’iniziale accordo spartitorio, non dimostrato, con una evidente inversione dell’onere della prova".

Il vizio di motivazione della sentenza è, dunque, manifesto. Per le ragioni indicate nell’esame della posizione del ricorrente C. M. la sentenza di appello va annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo 33) ascritto allo Sc., perchè questi non ha commesso il fatto contestatogli.

Al rigetto delle impugnazioni degli imputati B.A., Bo.Ag., D.G.A., P.M. F. e S.N. segue per legge la condanna di ognuno di detti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione:

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F. A. in relazione al reato di cui al capo 31) dell’imputazione, perchè estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Rigetta nel resto il ricorso di F..

Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di C. M.D.S.F. e di Sc.Vi. con riferimento al reato di cui al capo 33) per non aver commesso il fatto.

Rigetta nel resto il ricorso di Sc..

Annulla senza rinvio la sentenza nei confronti di D.C.T. con riferimento al reato di cui al capo 7 bis) perchè l’azione penale non poteva essere proseguita ai sensi dell’art. 649 c.p.p..

Rigetta i ricorsi di B.A., Bo.Ag., D. G.A., P.M.F. e S. N., che condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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