Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-04-2011) 26-04-2011, n. 16350 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ini Mauro, che conclude per l’annullamento dell’impugnata ordinanza senza rinvio.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 15/7/10 la Corte di Appello di Milano, riformava parzialmente la decisione di condanna per vari reati, emessa dal giudice di primo grado nei confronti dell’imputato T.G., in stato di detenzione in carcere per l’unico reato ex art. 416 bis c.p., contestato al capo A), riconoscendo la continuazione tra tutti i reati ascritti al predetto, individuando il reato più grave in quello ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, contestato al capo A15) e rideterminando la pena come da dispositivo.

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la medesima Corte di Appello a seguito di istanza del P.G., dichiarava estinta per decorrenza del termine di cui all’art. 300 c.p.p., comma 4 l’unica misura cautelare della custodia in carcere, disposta nei confronti del predetto con ordinanza in data 20/6/09 dal Tribunale di Lecco per il reato di cui al capo A), e applicava nei confronti del predetto la medesima misura cautelare per il reato di cui al capo A15), osservando che in ordine a tale ultimo reato il T. non era mai stato sottoposto a misura cautelare, atteso che la richiesta a suo tempo avanzata dal P.M. era stata rigettata per insussistenza del requisito dei gravi indizi di colpevolezza, laddove tali indizi erano invece emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, che aveva condotto alla duplice conforme sentenza di condanna per quel reato.

Contro tale decisione ricorre per saltum l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento senza rinvio denuncia la violazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, e sostiene che il caso in esame era riconducibile nell’ambito della norma, che regola le c.d. contestazioni a catena, giacchè il reato sub A15 era stato commesso anteriormente all’emissione della precedente misura cautelare, e già noto all’epoca agli inquirenti, ed era connesso soggettivamente e oggettivamente agli altri reati ascritti all’imputato ai sensi dell’art. 12 c.p., e la mancata emissione dell’ordinanza cautelare era riconducibile ad inerzia del P.M. onde aveva errato il giudice a quo nel ritenere non applicabile la norma ex art. 297, comma 3 cit. per l’assenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al detto reato, dimenticando che tale norma non tiene in alcun conto la consistenza del materiale probatorio, ovvero l’evoluzione dello stesso, essendo la materia del computo dei termini di custodia cautelare obbligata ad una scelta di parametri certi e non suscettibili di valutazione opinabili. Inoltre ad avviso della difesa non si era tenuto conto della norma di cui all’art. 307 c.p.p., comma 2, che disciplina i casi di ripristino della custodia cautelare, essendosi la corte di merito limitata ad indicare sommariamente altri coefficienti di rischio cautelare diversi da quelli di cui alla lett. b).

Il ricorso è fondato.

Ed invero le Sezioni Unite, nella nota sentenza 10/12/06-10/4/07 n.14535 Librato Rv. 235911 hanno chiarito che nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze, che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, fegati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure ( art. 297 c.p.p., comma 3). Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento riguardino invece fatti tra i quali non sussiste connessione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive.

E’ evidente quindi che nel caso in esame si è verificata la prima delle due ipotesi esaminate dalle Sezioni Unite, giacchè è indubitabile che i fatti di cui al capo A15) sono stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza, così come è indubitabile, e lo si desume dalla stessa sentenza di condanna di secondo grado, che è stato riconosciuto il nesso della continuazione tra tutti i reati ascritti all’imputato.

Ne deriva che la corte di merito ben poteva emettere la seconda ordinanza cautelare, ma avrebbe dovuto retrodatarla all’epoca della prima ordinanza cautelare, previa verifica della decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., atteso che l’imputato si trovava in stato di custodia cautelare in carcere dalla data del 12/12/2006.

Nè è possibile, come sostiene il P.G. di udienza, richiamare il disposto di cui all’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b), che consente il ripristino della misura cautelare nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini, quando ricorre l’esigenza cautelare del pericolo di fuga ex art. 274 c.p.p., lett. b), pure esaminata dai giudici di merito, giacchè tale norma sarebbe applicabile in riferimento al titolo del reato per il quale è stata disposta la scarcerazione e non già per il nuovo titolo di reato.

L’impugnata ordinanza va dunque annullata relativamente alla parte de qua senza rinvio con conseguente liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone l’immediata liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p..

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