Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-04-2011) 26-04-2011, n. 16336

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.G. ricorre per cassazione a mezzo del difensore contro la sentenza indicata in epigrafe, che in parziale riforma di quella del Tribunale di Verbania in data 10/10/05, che lo aveva dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 570 c.p., 2, n. 2 e condannato alla pena di mesi 6 di reclusione e Euro 300,00 di multa oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, riduceva a mesi due di reclusione e Euro 100,00 di multa la pena inflitta e confermava nel resto.

Si contestava all’imputato di avere omesso di versare la somma mensile, stabilità dal Tribunale di Verbania nella sentenza di separazione tra i coniugi, a titolo di concorso nel mantenimento della figlia minore S., in tal modo facendole mancare i mezzi di sussistenza.

In motivazione la corte distrettuale riteneva non dimostrata la dedotta incapacità patrimoniale dell’imputato, osservando che, sebbene inabile al lavoro, il predetto godeva di un reddito, proveniente dall’alienazione del patrimonio immobiliare al fratello per una somma inferiore al valore reale, e perciò stesso sospetta, che unitamente ad altri beni di rilevante valore economico, gli avrebbe consentito di corrispondere alla moglie quanto dovuto.

Nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento dell’impugnata decisione, il difensore denuncia il vizio di motivazione in riferimento all’analisi del requisito della capacità patrimoniale dell’obbligato, che i giudici del merito avevano valutato, non dando il giusto peso non solo alla grave patologia sofferta, che lo aveva paralizzato su una sedie a rotelle e reso inabile a qualsiasi lavoro, ma anche al modesto reddito personale di agricoltore, coltivatore insieme con il fratello di terreni da erba da fieno e granoturco di modesta entità, che non gli avrebbe mai consentito di raggiungere la somma di Euro 900 mensili, statuita dal Tribunale. Il L., finchè aveva potuto indebitarsi, aveva continuato a versare alla moglie l’assegno mensile, fino a quando, sommerso dai debiti, conseguenti alla malattia e alle spese giudiziarie, fu costretto a cedere le sue quote dei terreni al fratello, unico possibile acquirente e dalla somma ricavata aveva versato oltre L. 43 milioni alla moglie, extracomunitaria, la quale, refrattaria a qualsiasi altra ipotesi di lavoro, nulla aveva fatto per sopperire almeno in parte con il suo lavoro saltuario di interprete alle esigenze dei figli minori. Mancava pertanto ad avviso della difesa quanto meno la prova dell’elemento psicologico del reato contestato.

Il ricorso è inammissibile, perchè le censure proposte esorbitano dal catalogo dei casi di ricorso, previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianze non consentite ai sensi del cit. art., comma 3, volte, come esse appaiono, a introdurre, sotto l’apparenza della violazione di legge e del difetto di motivazione, ad i come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa come tale in sede di scrutinio di legittimità.

Ed invero la corte territoriale ha dato conto con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui in precedenza si è fatto cenno, delle ragioni della conferma del giudizio di colpevolezza, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto, convergenti e rilevanti a tal fine.

Tale decisione si adegua alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia, a mente della quale la semplice indicazione dello stato di disoccupazione – o come nel caso in esame di inabilità al lavoro – non è sufficiente a fare venir meno l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza alla famiglia, quando non risulti provato che le difficoltà economiche si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza e nella impossibilità di adempiere sia pure in parte alla prestazione, dovendo l’imputato, ai fini della esclusione della propria responsabilità, allegare idonei e convincenti elementi indicativi della concreta e totale impossibilità di far fronte ai propri obblighi (ex multis Cass. Sez. 6, 25/6-2/2/00 n. 1283 Rv. 216826).

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo grado del giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese, che si liquidano nella somma di Euro 2.080,00 oltre accessori di legge in favore della parte civile S.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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