Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-04-2011) 26-04-2011, n. 16334 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.G. e I.T. ricorrono, a mezzo dei loro difensori, e il N., personalmente, avverso la sentenza 17 dicembre 2009 della Corte di appello di Milano, la quale, in parziale riforma della sentenza 26 marzo 2009 del G.U.P. del Tribunale di Monza ha assolto C.G. dalle imputazioni di cui ai capi A) ed N) e per l’ulteriore effetto ha rideterminato per lui la pena in anni 14 e mesi 6 di reclusione ed Euro 58.667,00 di multa confermando nel resto e condannando gli appellanti N. e Co. (quest’ultimo oggi non ricorrente) al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado, con riferimento a reati in tema di sostanze stupefacenti ed altro.
Motivi della decisione

1) Il ricorso di C.G. e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotto vizio di motivazione sotto il profilo della affermazione di responsabilità per i delitti dei capi sub E), F), G), H), I), M), O).

In particolare si contesta che la colpevolezza del C. sia stata ottenuta valorizzando "l’intervenuta acquiescenza dei correi" in ordine contenuto materiale (stupefacente) degli "scambi" intervenuti ed accertati tra l’accusato C. e le altre parti.

Con un secondo motivo si lamenta ulteriore vizio di motivazione in ordine alla responsabilità per i capi R) ed S) in tema di illecita detenzione e ricezione delle armi rinvenute nel corso della perquisizione nel box di (OMISSIS).

Sul punto si critica il valore attribuito alla conversazione tra C. e I. e si osserva che non vi sia prova che le pistole, di cui si parlava, fossero quelle poi rinvenute un mese dopo in un contesto comunicativo di difficile comprensione.

I primi due motivi sono per più profili inammissibili od infondati.

L’infondatezza colpisce la parte dell’impugnazione secondo cui il giudizio di responsabilità sarebbe stato ottenuto mediante l’enfatizzazione probatoria dell’acquiescenza dei correi: invero la lettura dell’intera motivazione mette conto di rilevare che tale circostanza è stata sì usata dal giudice della condanna, ma quale elemento ad colorandum di un quadro probatorio di per sè idoneo a fondare un giudizio di responsabilità.

La parte che resta dell’impugnazione, per come formulata, non supera la soglia dell’ammissibilità in quanto prospetta alla Corte di legittimità un giudizio – critico ed alternativo – sulle considerazioni e valutazioni probatorie, formulate dai giudici di merito, le quali risultano peraltro condotte ed ottenute nel rigoroso rispetto delle regole, stabilite in punto di formazione e peso del materiale probatorio d’accusa.

L’argomentazione risulta infatti sui punti lamentati priva di incoerenze o salti logici, "apprezzabili ed idonei ad invalidare il costrutto delle argomentazione di responsabilità", tali non potendosi considerare le diverse conclusioni e considerazioni, più volte profilate nel ricorso, le quali finiscono con delineare una diversa e più favorevole interpretazione dei dati probatori, tuttavia non praticabile in sede di legittimità e, tanto meno, con esiti di annullamento della pronuncia gravata.

In conclusione: considerato che l’argomentare (in fatto e in diritto) del provvedimento impugnato risulta privo di illogicità di sorta e si mantiene ragionevolmente contenuto entro i margini accettabili della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione, esso si sottrae a ogni sindacato in sede di scrutinio di legittimità, dal momento che i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dai ricorrenti, benchè formulati sotto la prospettazione di vizi della motivazione, si sviluppano tutti negli ambiti delle censure di merito, in tal modo integrando motivi, diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, da dichiararsi pertanto inammissibili a sensi dell’art. 606 c.p.p. comma 3 (cfr. ex plurimis:

Cass. pen sezione. 1, 46997/2007; Cass., Sez. 1, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, r.v. 105775; Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, rv 229369.

Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge in relazione all’omesso riconoscimento dell’attenuante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7 e comunque delle circostanze attenuanti generiche.

I motivi sono inammissibili.

Invero il giudizio sulla non riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche è fondato su di un solido ed incensurabile costrutto argomentativo dei giudici di merito che hanno fatto esplicito riferimento "al globale disvalore del traffico" illecito ed ai "numerosi predenti, anche specifici", circostanze entrambe più che idonee per negare la sussistenza della operatività dell’art. 62 bis c.p..

Quanto all’omesso riconoscimento dell’attenuante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7, giustificato per la "mancata prova della utilità operativa" del contributo offerto dal ricorrente, trattasi di una valutazione di merito incensurabile in questa sede.

E’ infatti noto, per risalente giurisprudenza, che, ai fini della ravvisabilità dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 2, la quale si colloca in uno spazio più avanzato rispetto a quello della mera collaborazione informativa, l’operosità – di chi voglia avvalersi della detta circostanza – deve consentire la realizzazione di uno dei risultati concreti previsti dalla citata norma e cioè fare interrompere la catena delittuosa in atto e fare colpire i mezzi di produzione delle attività criminali, in coerenza con i più recenti interventi legislativi, che tendono ad incidere sul sistema patrimoniale e finanziario, provento e strumento, del crimine (cfr.: Cass. pen. sez. Sez. 4,7229/1996 Rv. 206805).

In ogni caso, occorrendo una collaborazione qualificata dalla proficuità, e connotata dall’esito pragmatico di un effettivo e funzionale aiuto dell’imputato – concreto ed efficace – è evidente che la gradazione dei vantaggi per la collettività, causalmente correlati al contributo dell’imputato, forma oggetto di una valutazione e di un giudizio di merito che, laddove privi di illogicità, come nella specie, non possono formare oggetto di censura in sede di legittimità.

Con un quarto motivo si evidenzia un errore nel calcolo della pena nel senso che, a fronte della assoluzione dell’imputato per i reati contestati ai capi A) ed N), la Corte di appello ha rideterminato la pena in anni 14 e mesi 6 di reclusione, senza considerare che la pena irrogata dal primo Giudice per il reato di cui al capo A) era di anni 1 di reclusione, e quella per capo N) di mesi 6 di reclusione.

L’esclusione di tali addebiti doveva comportare lo scomputo di anni 1 e mesi 6 dalla pena complessiva determinata dal Giudice di prime cure (pena base anni 23 di reclusione), da rideterminarsi, quindi, in anni 21 mesi 6 di reclusione, sulla quale operare poi la dovuta riduzione per il rito, così pervenendo alla pena finale di anni 14 mesi 4 di reclusione.

Il motivo è fondato e la gravata sentenza va quindi annullata senza rinvio sul punto, con conseguente rideterminazione della sanzione detentiva, da indicarsi in anni 14 e mesi quattro di reclusione nei termini proposti dallo stesso ricorrente, atteso l’evidente errore della corte distrettuale.

2) il ricorso di I.T. e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un unico motivo di impugnazione si lamenta testualmente "errata interpretazione ed applicazione della norma" in punto di richiesta di "revisione delle pene per i reati in continuazione, nel minimo edittale".

Con ulteriore sviluppo della stessa doglianza si chiede che per i reati dei capi H), M), ed O) il riconoscimento dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 4 e si chiede alla Corte di legittimità di "rideterminare le pene inflitte così da ridurre la pena al minimo edittale".

Il motivo è inammissibile sia per la genericità delle prospettazioni, sia per il tenore delle richieste non essendo compito della Corte di legittimità la diretta determinazione della sanzione in concreto da irrogare.

2) il ricorso di N.D. e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con ricorso personalmente proposto il N. lamenta difetto di motivazione in ordine agli aumenti inflitti in continuazione.

La doglianza segue la sorte di inammissibilità del ricorso del correo I., attesa la ricorrenza dei medesimi vizi di assenza di specificità, a fronte di una congrua e adeguata motivazione dei giudici di merito sul punto, ignorata nella impugnazione, la quale è stata redatta in modo disancorato dalla concreta argomentazione che è stata invece utilizzata dalla corte distrettuale e dal primo giudice.

I ricorsi di I.T. e N.D. vanno quindi dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C. G. limitatamente alla misura della pena detentiva, che determina in anni quattordici e mesi quattro di reclusione.

Rigetta il ricorso nel resto.

Dichiara inammissibili i ricorsi di I.T. e N. D. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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