Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-03-2011) 26-04-2011, n. 16333

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il processo che ci occupa si articola in realtà in due parti nettamente distinte e tra loro sostanzialmente autonome.

1.1 A C.N., CA.FR., T.L. R., L.R.M. (rispettivamente direttore generale degli Ospedali riuniti di (OMISSIS), direttore dell’area patrimonio di tale ente, consigliere regionale e presidente di uno dei gruppi politici rappresentati in Regione, presidente della cooperativa di vigilanza La Centotrentatre) era contestato di avere, in concorso tra loro, turbato una gara relativa all’affidamento triennale del servizio di vigilanza e portierato presso l’ente, deliberata il 7.4.2004 dal C., per favorire la Cooperativa La Centotrentatre, con collusione e mezzi fraudolenti consistiti nell’impedire lo svolgimento della gara il giorno 26.11.2004 (mediante simulazione di un malore del CA., che doveva presiedere la relativa commissione) e nell’eliminare successivamente la clausola, inizialmente presente, relativa alla suddivisione dei due servizi (vigilanza e portierato) in due lotti, senza riaprire i termini di presentazione delle offerte. In proposito erano contestati i capi A ( art. 110 c.p., art. 353 c.p., comma 2, con consumazione "dal (OMISSIS)") ed A1 ( artt. 110 e 323 c.p., con consumazione il (OMISSIS)).

1.2 A V.M., P.R., A.R., LE.MI.RA., TU.VI. era contestato innanzitutto (capo B) il delitto associativo finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di turbative d’asta nelle gare di affidamento del servizio di vigilanza presso enti pubblici, mediante il mezzo fraudolento rappresentato dalla creazione preventiva di una rete occulta di imprese di vigilanza collegate tra loro e dalla successiva sistematica contemporanea partecipazione di tali imprese alle gare d’appalto, come entità aziendali apparentemente distinte ed autonome, con il duplice risultato di accordi preventivi sulle offerte e di aumento della probabilità di vittoria in caso di aggiudicazione mediante sorteggio; con l’attribuzione del ruolo di promotore al V., cui tutte tali imprese facevano effettivo capo. In secondo luogo erano ascritti a tali imputati, ad eccezione della P. e di A. e in composizione variabile, una serie di reati ex art. 353 c.p., relativamente alle gare d’appalto afferenti enti operanti nel territorio di Foggia: ACI (capo C), Università (capi D, gara del 24.1.2005; capo E, gara del febbraio 2002), Amministrazione provinciale (capo F, gara indetta il 15.12.2004, e capo G, gara indetta il 20.5.2003 e con consumazione indicata al (OMISSIS)), Inail (capo H, 9-19.2.2004), ATAF (capo I, 14.9.2000), Comune di S.Agata di Puglia (capo L, 19-22-12-2003).

1.3 Con sentenza del 27.2 – 3.4.2007 il Tribunale di Foggia affermava la responsabilità di tutti gli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti (assorbito l’abuso d’ufficio di cui al capo A1 nell’art. 353 c.p., comma 2 di cui al capo A), condannandoli alle pene principali ed accessorie di giustizia, e provvedendo sulle domande civili proposte nei confronti di V. e TU.. Il primo Giudice disponeva altresì la trasmissione degli atti al pubblico ministero in ordine alle posizioni di M.D. e A.R..

Con sentenza del 5.1 – 17.3.2009 la Corte d’appello di Bari assolveva tutti gli imputati, con la medesima formula di insussistenza del fatto.

1.4 Vi è ricorso del procuratore generale distrettuale avverso tutti gli imputati, con richiesta di annullamento della sentenza di secondo grado.

La sostanziale piena autonomia delle due vicende suggerisce la loro trattazione autonoma.

2.1 Quanto all’imputazione sub A (in essa assorbito il capo A1:

posizioni C., CA., T., L.), la parte pubblica deduce con il primo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione dell’art. 353 c.p., dell’art. 522 c.p.p., dell’art. 323 c.p. e del D.Lgs. n. 157 del 2005, art. 8.

Il ricorrente richiama la ricostruzione della vicenda amministrativa operata dal primo Giudice: deliberazione del C. in data 7.4.2004, per una pubblica gara per l’affidamento triennale dei servizi di vigilanza e di portierato, allo stato entrambi gestiti, in regime di proroga contrattuale, da La 133, con la previsione dell’aggiudicazione, questa volta, di due lotti distinti per altrettanti gruppi di stabilimenti aziendali e, tra le altre, della clausola di non cumulabilità dei lotti; bando del 15 aprile 2004 con termine di presentazione delle offerte al 7 giugno e loro scrutinio al 10 giugno, con indicazione del CA. quale responsabile del procedimento e pubblicità sui siti internet e sulle Gazzette ufficiali nazionale ed Europea; delibera di CA. di nomina della commissione tecnica per la valutazione delle offerte, in data 7 giugno; comunicazioni di CA. in data 8 giugno di sospensione dell’apertura delle offerte, a seguito di coeva disposizione conforme del C., adottata in relazione al sub-procedimento originato da un’istanza a C. de La 133 in data 10 maggio, che evidenziava "l’incoerenza" della clausola di incumulabilità dei lotti, dedotta come vessatoria e giuridicamente infondata; delibera 30 giugno di proroga del contratto in essere con La 133 fino al 31.12.2004; istanza in data 4 novembre del legale della SOCIETA’ SOS di diffida a procedere all’apertura delle offerte; pareri di CA., in data 5 novembre, e dell’avv. M. (direttore dell’area legale degli OO.RR.) favorevoli alla legittimità della procedura seguita; invito di C. a CA. a stabilire nuovamente la data di apertura delle buste; comunicazione di CA. in data 19 novembre alle imprese dell’immediata ripresa dei lavori e rifissazione della seduta pubblica al 26 novembre; lettera del 24 novembre della soc. La 133 a C. ed all’ARES (Agenzia regionale Sanitaria per la Regione Puglia) di reiterazione delle osservazioni della precedente missiva del 10 maggio: la lettera era protocollata in arrivo il giorno 24 novembre presso la direzione generale degli OO.RR. e il giorno 25 presso l’area patrimonio diretta da CA., e risultava inviata con raccomandata anche all’ARES di Bari; il (OMISSIS) CA. accusava un malore e in pari data si informavano le imprese offerenti del rinvio a data da destinarsi della seduta del 26 per il relativo impedimento; il 10 dicembre il C. disponeva la sospensione delle operazioni di gara, l’eliminazione della clausola di incumulabilità, l’ulteriore proroga del rapporto contrattuale in corso, mandando al CA. perchè così provvedesse; il 21 dicembre, con arrivo il 27, la SOS diffidava nuovamente perchè si procedesse allo scrutinio delle offerte; il 29 dicembre l’avv. M. – ribadita la legittimità delle precedenti scelte – esprimeva parere favorevole all’eliminazione della clausola di divieto di cumulo dei lotti ed alla non riapertura dei termini (intenzione, questa, del C., secondo quanto manifestato dal CA. il 28 dicembre con la richiesta del parere a M.); lo stesso 29 dicembre C. deliberava conformemente al proprio provvedimento del 10 dicembre; rifissato un termine per la presentazione delle offerte, solo La 133 ne faceva pervenire una nuova; alla seduta dell’11 febbraio risultava che tale società aveva presentato l’offerta più bassa per entrambi i lotti ma l’entità di quella per il servizio di portierato – 0,20 Euro/ora – determinava la richiesta di chiarimenti e successivi contatti, che conducevano anche alla relazione tecnica di un professionista designato dall’Ordine dei commercialisti, che concludeva per la sostanziale giustificabilità delle offerte; il 21 luglio 2005 il direttore generale C. deliberava l’aggiudicazione definitiva del servizio alla coop. La Centotrentatre e il contratto veniva stipulato il 22 novembre. Con delibera del nuovo direttore generale Mo., la procedura era annullata il 2.3.2006 in sede di autotutela amministrativa – nel frattempo erano iniziate le indagini che condurranno a questo processo – con proroga ulteriore del precedente contratto.

Dato atto delle due contrapposte letture dei Giudici di merito (un’ipotesi di turbativa d’asta aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale dei concorrenti C. e CA., per il Tribunale di Foggia; un intervento in autotutela ispirato al ripristino della legalità per la Corte distrettuale), la parte pubblica evidenziava che il primo Giudice si era già espressamente confrontato con la tesi difensiva, poi riproposta ed accolta dalla Corte barese, disattendendola con argomentazioni – riportate nel testo del ricorso – con cui la Corte d’appello non si era tuttavia confrontata quando aveva invece ritenuto determinanti taluni aspetti della tesi difensiva, già appunto espressamente disattesi dal primo Giudice.

La Corte distrettuale avrebbe poi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, quando aveva argomentato la mancanza della prova di ogni "pressione minacciosa", laddove i primi Giudici e l’imputazione avevano invece fatto riferimento non a violenze e minacce ma a condotte, tutt’altro diverse, di collusione:

la motivazione d’appello sarebbe pertanto condizionata dal confronto con un reato – art. 336 c.p. – mai contestato e non con quello – art. 353 c.p. per collusione effettivamente ascritto e ritenuto dal Tribunale. Così la Corte d’appello avrebbe omesso la motivazione sul punto determinante che la coop. Centotrentatre, anzichè rivolgersi alla tutela giurisdizionale, aveva sollecitato l’intervento del politico di riferimento, affermando quindi l’illegittimità della clausola originaria, però ancora omettendo ogni confronto argomentativo con le ragioni contrarie affermate sul medesimo punto – con riferimento sia alle risultanze probatorie che agli aspetti logici incompatibili (pag. 37, 39) – dal Tribunale, e richiamate dal ricorrente nel ricorso, punto essenziale perchè presupposto e fondamento dell’intera giustificazione della decisione d’appello.

Ciò aveva fatto, basandosi sulle dichiarazioni del teste m., di ARES (allegate al ricorso nella loro completezza, in ossequio al principio di autosufficienza dell’atto di impugnazione), soggetto che, mai intervenuto formalmente nel procedimento amministrativo, avrebbe invece parlato non di procedura illegittima, ma di non convenienza (verb. manoscritto ud 21.10.2010 ali. B al ricorso PG).

Ancora, la Corte di Bari avrebbe travisato la prova costituita dalla deposizione della segretaria di gara R.T., come evidenziato dal Tribunale riscontrata nei suoi contenuti dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, esaminandone affermazioni estrapolate e secondarie, ignorando l’esito delle operazione captative su cui il Tribunale aveva ampiamente argomentato, in definitiva liquidando la prova orale con affermazioni solo apodittiche, perchè congetturali e prive di confronto con le specifiche valutazioni probatorie del primo Giudice. Così anche sul punto della modifica del bando senza riaprire i termini, dove il rilievo della Corte barese circa l’irrilevanza della condotta di C., ritenuta solo omissiva, costituirebbe violazione e falsa applicazione dell’art. 353 c.p. e vizio logico, trattandosi di condotta in realtà attiva, esplicitamente orientata a favorire una delle ditte partecipanti.

Quanto poi al delitto di abuso d’ufficio, argomentato come sussistente ma giudicato assorbito dal Tribunale, escluso invece dal Giudice d’appello, la Corte barese avrebbe omesso del tutto di motivare sull’essenzialità della modifica e la conseguente novità della gara, come ritenuta in primo grado, omettendo altresì di motivare sulla violazione del D.Lgs. n. 157 del 2005, art. 8, nonchè sulla consapevolezza della natura delittuosa della complessiva operazione procedimentale, non confrontandosi con la ricostruzione probatoria della fase finale della gara, argomentata in primo grado (richiamata alle pag. 52-55), così violando l’art. 323 c.p..

2.1.1 Nell’interesse dell’imputato C. è stata presentata memoria difensiva deducendosi, in via preliminare, che il ricorso proporrebbe doglianze di merito e, poi, svolgendo argomentazioni che richiamano specifici contenuti degli atti processuali a sostegno delle tesi giuridiche e delle conclusioni della sentenza d’appello.

2.2 Il ricorso sui capi A e A1 è, nei termini che seguono, infondato.

2.2.1 Preliminarmente, va ricordato che è certamente vero che quando la sentenza d’appello modifica radicalmente la sentenza di primo grado il giudice dell’impugnazione – pur avendo la stessa piena cognizione di merito, esattamente sovrapponibile, anche nei suoi contenuti di apprezzamento del fatto, a quella del primo giudice (ovviamente nei limiti del devoluto) – ha l’obbligo di confrontarsi specificamente anche con le ragioni per le quali il primo giudice era pervenuto ad un apprezzamento opposto, spiegando – con motivazione non apparente e immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà – perchè le disattende.

Ma l’adempimento dell’obbligo di specificità dei motivi di ricorso, ai sensi dell’art. 581 c.p.p., impone anche alla parte che deduca il vizio dell’omessa motivazione della sentenza d’appello per l’asserito mancato confronto argomentativo con le, diverse, ragioni del giudice "a quo", l’onere di svolgere un autonomo percorso di critica alla motivazione d’appello, in particolare non solo indicando i vari aspetti dei singoli punti della decisione "attaccati" perchè ritenuti argomentati senza il confronto con quanto motivato dal primo giudice, ma ponendo essa stessa a confronto le due motivazioni e spiegando perchè la seconda avrebbe ignorato uno o più passaggi argomentativi, determinanti ad imporre una diversa conclusione, individuandoli specificamente. In altri termini, essendo il ricorso per Cassazione caratterizzato da un "obbligo di specificità" "rafforzato", se non addirittura "duplice" – quella generale dell’art. 581 c.p.p. e quella peculiare che trova fonte nella tassatività dei vizi di motivazione rilevanti in Cassazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) -, quando i vizi dedotti come presenti nella sentenza d’appello trovano fonte dal confronto delle due motivazioni, le deduzioni della parte ricorrente debbono indicare specificamente i passaggi essenziali delle due motivazioni che fondano il vizio dedotto. Ciò, non solo quando la censura sia di motivazione omessa (anche nella forma dell’apparenza) su un punto determinante (e che come tale va spiegato) per la decisione, ma pure quando la censura sia di manifesta illogicità della ragione argomentata dal giudice d’appello per spiegare il diverso apprezzamento del singolo aspetto, ovvero di contraddittorietà tra più passaggi della sentenza d’appello rispetto alla ricostruzione/valutazione del primo grado, eventualmente con il travisamento di prova, purchè sempre evidenziando il requisito della rilevanza determinante ad imporre conclusione opposta a quella deliberata dal giudice d’appello.

Tale obbligo di specificità "rafforzata" del motivo di ricorso non è adempiuto quando la parte ricorrente si limiti a richiamare le argomentazioni del primo giudice, senza spiegare -contestualmente e con autonoma attività di selezione e specificazione – perchè rispetto ad esse l’argomentazione d’appello risulti omessa o manifestamente illogica o contraddittoria. E questo, anche – ed in un certo senso a maggior ragione – quando la parte ricorrente si limiti a riprodurre brani interi della sentenza disattesa.

Perchè, innanzitutto, la sola contrapposizione delle due motivazioni, dando per sè esclusivamente conto di due differenti soluzioni della causa, la scelta tra le quali di miglior adeguatezza al caso richiede inevitabilmente un confronto con il materiale probatorio, si risolve in censura di merito, preclusa in sede di legittimità. E, in secondo luogo, perchè quando la deduzione del vizio per omesso confronto su un determinato punto è sostenuta dal richiamo generale ad un’argomentazione articolata del primo giudice, il motivo si connota di genericità, perchè la selezione tra i diversi momenti e contenuti di tale argomentazione articolata, per individuare quello o quelli che più propriamente potrebbero effettivamente sorreggere la censura, viene di fatto rimessa allo stesso giudice di legittimità: il che, pure, non è consentito.

E’ infatti insegnamento costante che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essendo limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, anche quando possa apparire più adeguata una diversa valutazione delle risultanze processuali. La Corte di Cassazione non può infatti sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta da entrambi i giudici del merito o da quello di essi che ha deliberato il provvedimento impugnato, ma può, e deve, solo saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione, mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri e diversi modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, in particolare quelli dedotti dal ricorrente. In altri termini, nel momento del controllo della motivazione la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, Sent. 4842 del 2.12.2003 – 6.2.2004).

2.3 La premessa appena svolta si rende necessaria in ragione della modalità di redazione del ricorso della parte pubblica, che ha sostenuto taluni dei propri assunti di omessa motivazione con la trascrizione integrale, in nota, di intere pagine consecutive della sentenza di primo grado e, poi, svolto in via autonoma due censure:

il travisamento della prova orale del teste m. (esaminato per la prima volta in appello, perchè in primo grado era stata solo acquisita una sua dichiarazione scritta) e la non coerenza tra il fatto ritenuto e quello contestato, in relazione alle condotte di "minaccia" ritenute attribuite all’imputato T. ed escluse.

E’ infatti evidente che, a fronte di due motivazioni articolate (che tale è certamente anche quella d’appello) che risolvono in termini differenti i rilievi posti dalle difese (lo stesso ricorso da atto che il Tribunale già si era confrontato con tali deduzioni, ed anzi fonda su tale assunto la propria struttura formale), solo la rigorosa specificità dei motivi di ricorso consente di evitare il passaggio al merito, l’eventuale migliore adeguatezza dell’una delle due ricostruzione ai fatti quali risultanti dalle sentenze non avendo per sè rilievo in sede di legittimità. 2.3.1 Orbene, giudica questa Corte suprema che il ricorrente ha efficacemente individuato tre momenti rilevanti della motivazione d’appello che effettivamente si rilevano viziati, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E. Il primo, è l’affermazione della certa illegittimità della procedura seguita inizialmente nella gara d’appalto, in ragione dell’apposta clausola di non cumulabilità dei lotti, illegittimità posta a fondamento della lettura di interventi solo volti all’autotutela amministrativa. La Corte barese utilizza in proposito la locuzione "illegittimità sostanziale" che, nella sua intrinseca contraddittorietà (giacchè la procedura o è illegittima o è legittima, il riferimento alla categoria concettuale dell’"illegittimità sostanziale" richiamando necessariamente aspetti, di tutt’altra natura, afferenti inevitabilmente l’opportunità), costituisce significativa conferma della palese apoditticità di un tale assunto che, ancora significativamente, muove da un’apparente constatazione ("nessuno l’ha realmente dubitato") che non può non lasciare perplessi, a fronte della specifica motivazione in senso contrario del Tribunale, richiamata puntualmente in ricorso, e dell’assenza di indicazione alcuna, da parte della Corte distrettuale, di norma specifica che avrebbe potuto, altrimenti, fondare l’assunto "certo" e "non dubitabile".

Sicchè coglie appunto nel segno il ricorrente, laddove, prima, richiama sul punto della ritenuta illegittimità originaria (già dedotto dalle difese in primo grado) il rilievo del Tribunale sul fatto che non si poteva ritenere che la convenienza economica fosse, e pur in assenza di norma apposita, il parametro decisivo e necessario per attribuire legittimità alla procedura, e tale addirittura da determinare altrimenti danno erariale, perchè il bando prevedeva contestualmente una ben penalizzante clausola di limitazione territoriale, con la previsione del possesso di licenza prefettizia già alla data di scadenza del bando stesso, invece che dell’aggiudicazione, il che, anche in relazione ai tempi previsti per la presentazione delle domande, di fatto limitava fortemente la possibilità di partecipazione delle imprese, nonostante il carattere "Europeo" della procedura in ragione del rilevante importo complessivo, negando clamorosamente l’assoluto e determinante rilievo attribuito in ipotesi al parametro di economicità. E, poi, evidenzia come su tale rilievo nulla abbia argomentato la Corte distrettuale, così pervenendo a motivazione anche intrinsecamente contraddittoria, perchè in definitiva da un lato valorizza in modo determinante, ai fini della legittimità o meno della procedura, il dato della convenienza economica e, dall’altro, non spiega come supera il rilievo del Tribunale, tutt’altro che manifestamente illogico, di una ricostruzione complessiva della ragione della clausola (anche in ragione della diversità dei servizi – significativa la procedura per il capo D, che interessa gli altri coimputati, pag. 113 sent. Trib.) in termini di non illegittimo equilibrio tra l’aspetto strettamente economico e l’intento di consentire una redistribuzione territoriale della spesa pubblica che si andava ad affrontare, coerentemente all’altra clausola del previo possesso della licenza prefettizia locale: quindi, una clausola la cui presenza o meno attiene alla tipica discrezionalità amministrativa gestionale e non alla legittimità dell’azione.

Il secondo momento è aver attribuito alle dichiarazioni del teste d’appello m. (come detto, esaminato solo in appello, in accoglimento della richiesta difensiva di parziale rinnovazione del dibattimento) il ruolo di fonte essenziale e al tempo stesso di conferma della valutazione di "illegittimità" della procedura, quando effettivamente la deduzione del ricorrente – secondo la quale nell’esame davanti alla Corte d’appello, quale contenuto nell’integrale verbale di udienza allegato al ricorso, il teste non si era mai espresso in termini di certezza sulla illegittimità della procedura seguita – trova potenziale riscontro nel verbale integrale allegato. Sul punto, va ricordato l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale per valutare la deduzione del vizio di travisamento della prova dichiarativa il giudice di legittimità deve verificare se il senso probatorio, attribuito dal ricorrente in contrasto con quello eletto nel provvedimento impugnato, presenti, alla luce dell’intero verbale, una verosimiglianza non immediatamente smentibile e non imponga invece, per il suo apprezzamento, ulteriori valutazioni in relazione al contenuto complessivo dell’esame del dichiarante (Sez. 6, sent. 18491 del 24.2 – 14.5.2010).

Questi due primi vizi della motivazione d’appello fanno venir meno, allo stato, l’adeguatezza del presupposto di certa riconducibilità della modifica del bando in corso di gara ad esigenze di autotutela, dato per scontato dalla Corte barese.

Il terzo è quello di aver ritenuto che il Tribunale avesse ricostruito il ruolo di T. in termini di condotte di minaccia, per poi escluderne la sussistenza, laddove dalla sentenza di primo grado risulta la specifica ricostruzione in termini di pressione: la minaccia essendo condotta in fatto ed in diritto potenzialmente del tutto differente da quella della pressione.

Condotta di pressione comunque tendenzialmente del tutto efficace e coerente alla lettura dell’intera vicenda nei termini di un turbamento della regolarità della gara, già aperta (attraverso l’intervento insistente su C. di T., sollecitato dal L. che non aveva ritenuto di adire il giudice amministrativo – soluzione congrua ad una ritenuta illegittimità – pur avendo avuto piena e tempestiva conoscenza dei termini del bando, ed in particolare della clausola di non cumulabilità, evidentemente confidando in altre vie informali per ottenere l’auspicata modifica del bando già formalizzato (che altrimenti l’inazione giurisdizionale non aveva spiegazione alcuna, a fronte del valore rilevante degli interessi economici in gioco)). Del resto, la ricostruzione del Tribunale – come ricordato anche dalla Corte d’appello – era stata nei termini di una pressione che acquisisce la successiva consapevole acquiescenza, in ciò realizzandosi il concorso, prima di C. e da ultimo anche del CA. (quando questi, consapevole di tutte le implicazioni della vicenda, "non resiste più"), così pervenendo alla finale collusione di tutti e quattro gli imputati, rispetto allo specifico evento.

2.3.1 Questi vizi (pur rilevanti perchè, allo stato, minano appunto il primo dei presupposti essenziali della lettura alternativa apprezzata dalla Corte barese) non sono tuttavia sufficienti ad imporre l’annullamento della sentenza d’appello sul capo, perchè il ricorso ha omesso del tutto di confrontarsi e di censurare – per aspetti di legittimità e non di merito – il momento della motivazione d’appello che riguarda l’episodio del malore del CA.. Episodio determinante, per come si articola la concreta e specifica imputazione, che addebita ai quattro imputati una condotta di collusione e mezzi fraudolenti (e l’alternativa rende irrilevanti le deduzioni svolte nell’odierna discussione sull’eventuale mancanza dei secondi) che si articola su due fatti e momenti specifici:

l’accordo per la simulazione del malore di CA. il giorno (OMISSIS), quale scusa per rinviare la seduta di gara dell’indomani, e, successivamente, l’eliminazione della clausola, così innovando in modo essenziale il bando, senza riaprire i termini di presentazione delle offerte.

Su tale episodio la Corte d’appello ha motivato in modo articolato, mentre la censura del ricorso (pag. 41 ss.) è del tutto generica e di merito.

In particolare, la Corte di Bari alle pagine da 18 a 22 ha richiamato locuzioni usate da più testi, pertinenti e significative, e si è confrontata specificamente con l’espressione "ammalato tra virgolette", contenuta nella conversazione ambientale intercettata il 7.1.2005, osservando che la stessa doveva essere letta insieme con altre pronunciate nello stesso contesto e che deponevano per la protesta di serietà del malore stesso, spiegando poi che all’esito di tale complessivo apprezzamento doveva sussistere un dubbio radicale sul fatto che il malore fosse stato simulato piuttosto che realmente sorto pur in ragione della peculiare situazione di stress cui CA. era sottoposto per la vicenda.

Il ricorso, invece, da un lato riporta in nota (n. 8, pag. 42-43) la motivazione del Tribunale sul punto; dall’altra svolge censure di stretto merito (sull’assenza di evidenza specifica e sull’interpretazione alternativa dell’espressione "fra virgolette"), senza alcun confronto specifico con quanto ha specificamente argomentato la Corte territoriale.

Ma neppure tale richiamo da contenuto specifico e di legittimità alla censura, poichè la sentenza del Tribunale in realtà su tale punto presenta un salto logico evidente: a pag. 48, infatti, prima – terzo e quarto paragrafo – si da atto della non escludibilità in assoluto dell’effettività del malore; poi – quinto paragrafo – si afferma che "tuttavia, la fraudolenza del suo contegno risiede nel fatto che il malore è un pretesto appositamente concepito per aderire alla volontà del direttore generale"; con il che, però, quel che doveva essere oggetto della dimostrazione – il malore è simulato ed il contegno quindi fraudolento – diviene il presupposto scontato che consente di sciogliere l’alternativa tra simulazione ed effettività.

Ed allora: l’affermazione della Corte d’appello che il malore di CA. non fu simulato è apprezzamento di merito sorretto da motivazione nè apparente nè manifestamente illogica o contraddittoria con gli elementi di prova richiamati; il ricorso sul punto svolge deduzioni inammissibili perchè generiche e di merito;

è quindi venuto meno l’elemento del malore come momento di concordata fraudolenza e di tappa del disegno collusivo.

Il fatto che – anche in ragione dei vizi di motivazione prima evidenziati e quindi esclusa l’illegittimità originaria e certa della clausola di non cumulabilità – siano possibili altre letture dello specifico episodio ( CA., stressato per le pressioni di C., "salta" con un’oggettiva reazione corporea), esse pur compatibili con la diversa complessiva ricostruzione del fatto nel senso dell’inserimento dell’accadimento nel complessivo contesto di un’alterazione della gara per favorire la 133 – nel quale la simulazione o meno del malore in definitiva diviene elemento irrilevante perchè non determinante – è, in questa fase di legittimità, ultroneo e non rilevante, perchè introduce a prospettive di apprezzamenti di merito verso fatti pur di rilevanza penale ma eventualmente diversi da quello concretamente contestato.

Prospettive che esulano del tutto dai rigorosi limiti del giudizio di legittimità.

Da qui il rigetto del ricorso, in relazione alle posizioni C., CA., T., L..

3.1 Quanto ai capi da B ad L, con il secondo motivo di ricorso la parte pubblica deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 353 e 416 c.p., nonchè vizi di motivazione e travisamento della prova.

La Corte distrettuale in particolare avrebbe travisato la prova quando ha ricondotto il rapporto tra le società, tutte facenti capo al V., ad una mera ipotesi di collegamento sostanziale rilevante solo sul piano amministrativo, senza spiegare la ragione della giudicata irrilevanza penale di tale non discusso collegamento, in ragione della natura di mero pericolo del reato ex art. 353 c.p. e tenuto conto sia del rilievo della presenza di tariffe di legalità rispetto alla possibilità del sorteggio che della natura "clandestina" di tale collegamento. In particolare la Corte barese non avrebbe motivato sugli elementi fattuali indicati dal Tribunale – e riportati nel ricorso, pag. 58 – come prova dell’avvenuto effettivo preventivo accordo per la presentazione delle offerte, elementi espressamente considerati dal primo Giudice per disattendere specificamente le tesi difensive, solo riproposte in appello, dove sono state accolte. Nell’esame delle diverse fattispecie dei capi da C a L, la Corte di Bari avrebbe violato l’art. 353 c.p., considerando le fattispecie in termini di reato di evento e danno, invece che di pura condotta e pericolo, sì da ritenere non sussistente il fatto pur in presenza di offerte palesemente concordate, essendo invece irrilevanti le circostanze della mancata presenza di altri offerenti ovvero la concreta ininfluenza delle offerte presentate: in altri termini, l’errore della Corte territoriale sarebbe consistito nell’aver operato una verifica prognostica ex post anzichè ex ante, come specificamente argomentata dal Tribunale, e quindi incompatibile con la natura di reato di pericolo.

Quanto al reato associativo, i vizi motivazionali e di violazione di legge che avrebbero condotto all’assoluzione da tutti i reati scopo non potrebbero che riverberarsi anche sulla motivazione per questo capo di imputazione, dove tra l’altro la Corte non avrebbe spiegato perchè il numero di otto casi tra la fine del 2003 e il 2005 sarebbe inidoneo a supportare la contestazione, tenuto conto del complesso apparato organizzativo predisposto per la realizzazione di serie indeterminata di turbative d’asta.

3.2 L’articolato motivo di ricorso è fondato, nei termini che seguono e limitatamente alle posizioni degli imputati V., A., LE. e TU..

Il ricorso coglie nel segno quando evidenzia che il Tribunale aveva argomentato espressamente, con richiami specifici al materiale probatorio acquisito, la sussistenza di prove di avvenuti effettivi preventivi accordi per la presentazione delle offerte, aspetto determinante che pare invece ignorato dalla motivazione d’appello. Ed in effetti la Corte distrettuale (pag. 43) sembra rapportarsi ai reati di turbativa d’asta come contestati in qualche modo amputando la specifica imputazione:

che non è quella – evidenziata e commentata dalla Corte di Bari – di una identificazione dell’impiego dei mezzi fraudolenti con la mera "partecipazione moltiplicativa", bensì quella di una concorrente partecipazione di più società facenti capo al V. come entità apparentemente autonome e distinte tra loro con – elemento, questo, caratterizzante la fattispecie concreta e del tutto ulteriore ed autonomo rispetto al dato sostanziale del mero collegamento – la presentazione di offerte dal contenuto consapevolmente concordato in precedenza.

Quando pertanto la Corte distrettuale argomenta dell’irrilevanza penale del mero collegamento tra società, in realtà non si confronta nè con l’effettiva imputazione nè con le specifiche argomentazioni del Tribunale in relazione al fatto che quel collegamento era stato strumento che aveva in concreto e comunque portato a presentare offerte coordinate, nei loro concreti contenuti, in modo da assicurare la vittoria della gara, o quantomeno aumentare le relative probabilità.

In altri termini, ciò che rileva non è il mero dato del collegamento – formale o sostanziale – in sè (soggetto ad interventi normativi di contenuto oscillante e contraddittorio nel tempo, da ultimo la L. n. 69 del 2009, art. 17). Esso, anche quando non consentito, rimane sempre solo un indice di irregolarità suscettibile di acquisire rilevanza penale quando si provi, avvalendosi ovviamente di tutti i possibili criteri di valutazione indicati dall’art. 192 c.p.p., che in concreto vi è poi stato un accordo sugli specifici contenuti delle singole e formalmente autonome offerte. Accordo preventivo, per sè idoneo ad influire sull’esito della gara rispetto ai beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, che sono quelli della libertà di partecipazione e della libertà dei singoli partecipanti di influenzarne l’esito secondo la regola di libera effettiva concorrenza, innanzitutto nell’interesse primario – come si desume con chiarezza anche dalla stessa collocazione sistematica della fattispecie tra quelle dei reati contro la pubblica amministrazione – della pubblica amministrazione alla regolarità delle gare, intesa come rispetto del principio di libera concorrenza, funzionale all’ottenimento del "giusto prezzo" rispetto ai vari parametri stabiliti dal singolo bando. E il "giusto prezzo" non può che essere quello cui si perviene attraverso l’effettiva libera concorrenza, con riferimento a quei parametri, tra i partecipanti: il che appunto esclude in radice, per insuperabile incompatibilità, ogni forma di "collusione", quindi di accordo preventivo.

In definitiva, la conoscibilità del collegamento tra partecipanti alla gara, formale (anche quando in ipotesi la contingenza normativa lo legittimi) o sostanziale, non si traduce nella liceità penale degli accordi preventivi intercorsi sui contenuti delle singole offerte presentate dai "collegati", volti ad influire sull’esito della gara. Perchè, rispetto a tali accordi, l’art. 353 c.p. ha sempre l’efficacia di autonoma fonte incriminatrice, vietandoli quale che sia il rapporto "a monte" tra i partecipanti.

Deve pertanto essere affermato il principio di diritto che, nel prevedere anche la condotta della collusione, l’art. 353 c.p. incrimina tutti gli accordi preventivi tra partecipanti aventi ad oggetto gli specifici contenuti delle rispettive offerte, volti ad alterare la regola indefettibile della libera concorrenza tra i singoli soggetti giuridici che partecipano in via autonoma, regola che, posta innanzitutto a garanzia della pubblica amministrazione quale metodo che assicura il corretto ed efficace perseguimento del "giusto prezzo" secondo i parametri dello specifico bando, è indisponibile per i singoli partecipanti.

E’ pertanto fondato il ricorso della parte pubblica anche quando censura la rilevanza scriminante data dalla Corte distrettuale: alle condotte contingenti di alcuni commissari di gara, alla partecipazione di sole imprese facenti capo a V., all’essersi la "reale concorrenza" ristretta a tali imprese.

Alla luce del principio di diritto sopra indicato, l’autonoma rilevanza penale dell’accordo preventivo sui contenuti, tra soggetti giuridici diversi che partecipano in via formalmente autonoma, ancorchè collegati sostanzialmente o formalmente, rende manifestamente illogico dare rilievo al fatto della partecipazione di imprese del solo "gruppo" – posto che ciascuna di esse rimane appunto soggetto giuridico autonomo e singolo partecipante – o all’inesistenza di un onere di autoesclusione ovvero al comportamento di coloro cui compete la verifica della regolarità della gara. In particolare, e in definitiva, l’aver respinto nel singolo caso la richiesta di esclusione non legittimava affatto la modalità di partecipazione consistita nella presentazione di offerte concordate nei loro contenuti.

Trattandosi poi di "reato di pericolo, che si consuma nel momento in cui la gara è turbata, senza che occorra la produzione di un danno o il conseguimento di un profitto" (Sez. 2, sent. 13505 del 13- 31.3.2008), la consumazione avviene con la presentazione di offerte dai contenuti concordati.

La sentenza va pertanto annullata relativamente ai capi da C a L, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che dovrà verificare l’esistenza o meno, nei singoli casi, di accordi preventivi sui contenuti delle offerte tra i soggetti giuridici che hanno partecipato, per poi, ove necessario, attenersi al principio di diritto sopra enunciato.

Il ricorso è altresì fondato quanto al capo B. La motivazione della Corte d’appello da sul punto rilievo determinante alla ritenuta inconfigurabilità giuridica dei singoli reati di turbativa (pag.

56), sicchè il precedente annullamento rende indispensabile il nuovo giudizio anche su questo capo.

3.3 Quanto invece alla posizione della P., il ricorso è inammissibile per assoluta genericità.

Alla stessa era contestato il solo reato associativo.

Il Tribunale aveva argomentato la condanna della P. argomentando specificamente il suo ruolo determinante nel curare la predisposizione concordata delle offerte e nello svolgere una funzione di consapevole e necessario supporto per la gestione e il coordinamento dell’attività di V. e del gruppo (pag. 125 e 126). Il primo Giudice aveva fondato tale apprezzamento di fatto su materiale probatorio espressamente richiamato e commentato in termini congrui al proprio specifico assunto (pag. 126, 104, 105).

La Corte distrettuale (pag. 57), non confrontandosi con le condotte specifiche indicate dal Tribunale, ha affermato invece che non erano emerse prove di un’attività diversa dalla normale tenuta della contabilità e di un apporto alla determinazione delle offerte nelle singole gare, quindi concludendo per la mancanza di quello che ha ritenuto essere il presupposto logico della stessa partecipazione al reato associativo.

Ancorchè pure per la P. sia stata utilizzata la formula assolutoria dell’insussistenza del fatto, in realtà la motivazione della Corte d’appello è chiaramente articolata sulla sua preliminare estraneità al fatto materiale poi oggetto della contestazione associativa.

Poichè allora il ricorso della parte pubblica non ha "attaccato" il punto della decisione relativo alla specifica posizione di questa imputata, ed in particolare la distonia fattuale sottesa alle due motivazioni, ignorando del tutto la questione e risultando così del tutto generico rispetto alla motivazione d’appello, l’annullamento della sentenza in ordine al capo della decisione relativo al reato associativo non può coinvolgere la P..

3.4 Alcuni dei reati di cui ai capi da C a L risultano prescritti.

Ma, a fronte dell’affermazione di responsabilità contenuta nella sentenza di primo grado e della presenza nel processo di parti civili, compete al giudice d’appello il giudizio di merito in ordine alla sussistenza o meno dei singoli reati e, quindi, all’eventuale conferma delle corrispondenti statuizioni civili, ai sensi dell’art. 578 c.p.p..

Da qui l’annullamento con rinvio anche relativamente ai capi di imputazione afferenti reati ormai prescritti.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente alle posizioni degli imputati V., A., TU. e LE., e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Bari per nuovo giudizio sulle imputazioni loro contestate.

Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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