T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-04-2011, n. 623 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gli odierni ricorrenti impugnano il permesso di costruire in sanatoria del 30. 8. 2010, il permesso di costruire ordinario del 9. 9. 2010, e l’autorizzazione alla demolizione 14. 7. 2010, rilasciati tutti dal Comune di Rovato alla controinteressata S. srl.

Era, in particolare, accaduto che con sentenza 1736/10 questo Tribunale aveva annullato il precedente permesso di costruire rilasciato alla S. perché lo stesso prevedeva la possibilità di edificare volumetria non disponibile nel fondo su cui si costruiva, in quanto tale volumetria era stata in passato ceduta con atto di asservimento risalente al 1977; la controinteressata aveva allora ritenuto – allo scopo di garantire comunque un titolo edilizio alle opere che aveva nel frattempo realizzato – di chiedere l’autorizzazione ad abbattere quella parte di volumetria che – a suo giudizio – poteva dirsi eccedente, e di chiedere la sanatoria del residuo (che a questo punto diventava in tesi urbanisticamente conforme in quanto ricondotto entro i limiti massimi di volumetria realizzabile), e di chiedere inoltre ulteriore permesso di costruire per realizzare lavori di completamento che si rendevano necessari per ultimare l’opera.

Contro questa congerie di provvedimenti, assentiti dal Comune, pur a fronte di perplessità iniziali che avevano indotto l’amministrazione comunale ad emettere un preavviso di diniego ex art. 10bis l. 241/90, insorgono i ricorrenti che deducono i seguenti motivi di ricorso:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per nullità ex art. 21septies l. 241/90 per violazione del giudicato della sentenza del T.a.r. 1736/2010;

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per difetto di istruttoria perché il permesso parte dalla constatazione che per ricondurre l’opera a legittimità sia sufficiente detrarre 320 mc. cosa che il Tribunale in realtà non aveva mai detto in quanto il Comune avrebbe dovuto accertare a quanto corrispondesse esattamente la volumetria da sottrarre all’opera della S.; inoltre mancherebbe la verifica della esistenza delle opere di urbanizzazione;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art 7 l. 241/90, perché i ricorrenti, controinteressati individuabili, avrebbero diritto alla comunicazione d’avvio del procedimento amministrativo, che nel caso di specie non vi è stata;

4. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 38 d.p.r. 380/01, norma che non sarebbe applicabile al caso in esame in quanto consente di regolarizzare soltanto vizi formali;

5. il provvedimento sarebbe illegittimo per travisamento in quanto in sede di sopralluogo del 11. 8. 2010 il Comune si sarebbe accorto che setti e pilastri sono dislocati in modo non conforme a quanto raffigurato nella istanza ed avrebbe chiesto integrazioni progettuali, il 30. 8. 2010 la S. deposita integrazione che però a giudizio dei ricorrenti sarebbero inconferenti perché non riguardanti le censure;

6. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 10bis l. 241/90 perché dopo il preavviso di diniego in cui erano formulate osservazioni negative, esse sono state disattese nel provvedimento finale.

Nel ricorso era formulata altresì istanza di risarcimento del danno subito individuato nella privazione di luce, aria e vista, nonché nella diminuzione del valore dei fondi, nonché il danno ex art. 2059 c.c. per la lesione del diritto alla serenità della vita domestica.

Si costituiva in giudizio la controinteressata S. srl, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nessuno si costituiva per il Comune di Rovato e per le altre parti convenute in giudizio.

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 28. 10. 2010, n. 759 il Tribunale accoglieva l’istanza.

Con ordinanza del 14. 12. 2010, n. 5747 il Consiglio di Stato respingeva l’appello cautelare.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 6. 4. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I. Si antepone una premessa, che sarà possibile comprendere solo a chi ha seguito la discussione orale svolta in udienza.

Questo giudizio, infatti, è il secondo contenzioso che si instaura tra le parti.

Il primo, contro l’originario permesso di costruire rilasciato alla S., atteneva alla esistenza e validità di un vincolo di asservimento sul fondo della controinteressata (ed è stato definito in senso affermativo con sentenza 1736/2010, di recente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza 1522/2011).

Questo secondo attiene alla quantificazione del vincolo (questione che era stata lasciata aperta dal Tribunale nella sentenza 1736/2010 in quanto ultronea ai fini del decidere).

Le parti hanno anticipato che ve ne potrebbe essere un terzo sulla quantificazione dell’esatta volumetria preesistente sul lotto, e quindi sull’esatta quantificazione di quanto edificabile su di esso, tema oggettivamente estraneo all’oggetto del presente giudizio che si svolge nei limiti della domanda introdotta dai ricorrenti che attiene – come detto – ad altro.

Per questo motivo la controinteressata ha chiesto con memoria conclusionale, e più vivacemente in udienza, che il Tribunale anche in obiter anticipi già la propria opinione sul punto, in modo da orientare il Comune che ormai sarebbe paralizzato e non disponibile ad assentire più nulla dopo la bocciatura in sede giurisdizionale del suo primo provvedimento (e, limitatamente alla fase cautelare, anche del secondo). I ricorrenti si sono opposti decisamente a che il Tribunale si pronunci sin da ora anche su questo punto.

In effetti, il Tribunale si limiterà all’esame della domanda introdotta dai ricorrenti senza pronunce in obiter nel rispetto dell’art. 112 c.p.c..

Altra premessa: nella memoria di replica la controinteressata torna sulla esistenza del vincolo chiedendo sia affrontatoa la questione da essa posta sulla possibilità invalidità del vincolo in quanto liberalità priva dei requisiti formali previsti dal codice civile. La questione si ritiene essere coperta dal giudicato, in quanto già sollevata nel primo giudizio e citata espressamente nella pronuncia del Consiglio di Stato 1522/2011 a pagina 10 della sentenza, non rilevando che la difesa della controinteressata apprezzi o meno l’adeguatezza della motivazione della sentenza del supremo consesso sul relativo punto.

II. Nel merito, il Tribunale ritiene che anche questo ricorso sia fondato.

III. Preliminarmente, si ritiene che anzitutto sia fondata la questione di tipo procedurale posta nel terzo motivo di ricorso: gli odierni ricorrenti avevano diritto di ricevere comunicazione di avvio del procedimento amministrativo volto al rilascio di questi ulteriori titoli edilizi alla S. srl.

L’art. 7, co. 1, primo periodo, l. 241/90, infatti, prescrive che la comunicazione d’avvio debba essere indirizzata, "ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi", ma il periodo successivo aggiunge che "ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento".

Nel caso in esame, siamo pertanto in presenza di un soggetto "individuato" che dal provvedimento avrebbe ricevuto un pregiudizio vedendosi regolarizzare a posteriori la costruzione di un manufatto la cui legittimità aveva già contestato in giudizio (primo provvedimento impugnato) e vedendoselo completare (secondo provvedimento impugnato), e che aveva dimostrato più volte il suo interesse alla vicenda presentando un ricorso al Tribunale amministrativo, oltre che note extragiudiziali all’amministrazione comunale.

Si tratta quindi di soggetti "facilmente individuabili" ai sensi dell’art. 7 l. 241/90, ed incisi dal provvedimento impugnato, che pertanto avevano normativamente diritto alla comunicazione d’avvio.

IV. In ogni caso, il ricorso è fondato anche sul piano sostanziale (in particolare, con riferimento al secondo motivo di ricorso, con assorbimento di tutti gli altri).

La questione è la seguente:

– nel primo giudizio si è discussa la esistenza e validità di un vincolo di asservimento creato sul fondo della controinteressata dal suo dante causa nell’anno 1977 e che limitava le potenzialità edificatorie del lotto a favore di altri lotti tra cui quelli degli odierni ricorrenti; il giudizio è stato definito nel senso che il vincolo era valido ed esistente con sentenza 1736/2010, confermata dal Consiglio di Stato, le cui statuizioni quindi sono oggi passate in giudicato;

– la prima sentenza annullava, pertanto, il permesso di costruire rilasciato alla controinteressata, che aveva sfruttato pressoché per l’intero l’indice di edificabilità del lotto, perché non aveva preso in alcun modo preso in considerazione l’esistenza del vincolo di asservimento; la sentenza non decideva invece sulla quantificazione dello stesso perché ciò non era necessario per risolvere il contenzioso in essere;

– il passaggio della sentenza 1736/2010 sul punto è questo: "ai fini di questo giudizio non è invece necessario stabilire se il vincolo del 1977 abbia trasferito ai danti causa dei ricorrenti tutta la volumetria allora disponibile di 1 mc/mq (nel qual caso sul fondo dei controinteressati residuerebbe, dopo l’aumento degli indici avvenuto medio tempore, volumetria per 0.80 mc/mq) o solo la volumetria effettivamente utilizzata per i progetti edilizi all’epoca depositati (nel qual caso sul fondo della controinteressata residuerebbe una volumetria di 1.80 mc/mq meno 320 mc. già utilizzati) (in astratto sono possibili entrambe le opzioni, si tratta solo di interpretare il tenore letterale dell’atto di vincolo)";

– nell’attesa di conoscere la sorte dell’appello della sentenza 1736/2010 interposto al Consiglio di Stato, la controinteressata – per poter disporre di un titolo che le avrebbe consentito di terminare e di commercializzare l’immobile ormai quasi completamente realizzato – sceglieva tra le due opzioni lasciate aperte dal Tribunale quella a se stessa più favorevole (cioè quella che le sottraeva soltanto 320 mc.), chiedeva l’autorizzazione a demolire 320 mc., rendendo a quel punto (a suo giudizio) urbanisticamente conforme l’opera e chiedeva il permesso in sanatoria;

– il Comune, inizialmente perplesso ad avallare questa iniziativa unilaterale della controinteressata nella quantificazione concreta del vincolo (e di qui il preavviso di diniego), alla fine accedeva alla tesi della stessa e rilasciava i tre titoli necessari (demolizione parziale, sanatoria, e permesso per opere di completamento).

C’è da vedere a questo punto se sia stato corretto da parte del Comune (in realtà, da parte della controinteressata, con interpretazione che è stata avallata dal Comune rilasciando i titoli) interpretare il vincolo di asservimento stabilendone il quantum in 320 mc.

Il Tribunale ritiene che l’interpretazione data dal Comune al testo del vincolo non sia corretta.

Il testo letterale dell’atto di vincolo del 19. 3. 1977 di G. G. è il seguente: "G. G. vincola tutta l’area di proprietà in Rovato foglio 2 mappali 72 e 73 per modo che sulle aree suddette di proprietà dei signori G.G. e G.C. possano eseguirsi le progettate costruzioni".

Trattandosi di atto unilaterale, c’è da decidere se in questo modo il signor G. avesse voluto trasferire tutta la volumetria allora esistente sul fondo (1mc/mq detratto ciò che era già stato costruito) oppure soltanto la volumetria poi effettivamente utilizzata.

Non essendo decisivo in realtà quanto concretamente utilizzato (perché, creando l’asservimento una relazione di tipo reale tra i fondi che non ha limiti di tempo, il vincolo creato dall’asservimento può essere sfruttato anche in momenti successivi), per limitare il quantum del vincolo si potrebbe ritenere che fosse decisivo in realtà non proprio quanto poi utilizzato, ma quanto progettato nel 1977 sui fondi contigui, perché il signor G. sostiene di vincolare il suo fondo "per modo che sulle aree suddette di proprietà dei signori G.G. e G.C. possano eseguirsi le progettate costruzioni". Si potrebbe sostenere, quindi, che il quantum del vincolo sia stato determinato per relationem ai progetti presentati dai beneficiari G. e C..

In realtà, si ritiene che questa ipotesi di lettura non sia corretta. Essa, infatti, finirebbe per dare vita ad un vincolo di natura reale tra fondi di portata incerta ed indeterminata, atteso che i progetti edilizi sono soggetti ad interpretazione anche sulla volumetria che esattamente impegnano (che dipende anche dall’applicazione delle definizioni degli strumenti di piano e che non è sempre oggettiva e di semplice determinazione); inoltre, i progetti possono essere modificati in corso d’opera; interpretato in tal modo il vincolo, infine, esso non direbbe nulla sul fondo cui spetta la volumetria che sull’intero comparto dovesse residuare dopo l’approvazione dei progetti. Una interpretazione di questo tipo genererebbe, pertanto, un eccesso di ambiguità sull’esatto contenuto del vincolo che induce a ritenere preferibile l’altra opzione interpretativa in astratto possibile.

Si ritiene, pertanto, che quando il signor G. ha scritto che vincola il suo fondo "per modo che sulle aree suddette di proprietà dei signori G.G. e G.C. possano eseguirsi le progettate costruzioni" ha inteso indicare quella che è la causa che lo ha determinato a rilasciare l’atto di vincolo, e non ha inteso indicarne i limiti per relationem ai progetti.

Ne consegue che mancando una indicazione esatta (anche per relationem) del quantum di volumetria ceduta, la formula che ha utilizzato il signor G. debba essere interpretata nel senso che essa abbia trasferito ai fondi beneficiari la intera volumetria all’epoca disponibile sul lotto (che era di 1 mc/mq, da cui andava detratto quanto già realizzato).

Ne consegue che va apprezzato anche il secondo motivo di ricorso nella parte in cui contesta di aver proceduto al rilascio del titolo "senza eseguire le attività istruttorie necessarie alla corretta individuazione e quantificazione del suddetto vincolo di inedificabilità" (pagina 14 del ricorso).

V. Quanto all’istanza di risarcimento del danno asseritamente patito, i ricorrenti chiedono sia loro riconosciuta l’esistenza di un danno che individuano nella privazione di luce, aria e vista, nonché nella diminuzione del valore della proprietà, nonché il danno ex art. 2059 c.c. per la lesione del diritto alla serenità della vita domestica.

Ma in realtà:

– diminuzione del valore delle proprietà e privazione di luce, aria e vista conseguirebbero dalla permanenza dell’immobile della S. sul territorio, permanenza che è elisa dalla circostanza che dall’annullamento dei provvedimenti impugnati consegue che l’immobile è interamente sine titulo e dovrà essere demolito; non è consentito coltivare entrambe le strade (ottenere la demolizione dell’immobile, e chiedere un danno per la diminuzione di valore della proprietà che non vi sarà abbattendo l’immobile); vi sarebbe, invece, un danno risarcibile se i ricorrenti avessero nelle more alienato la proprietà a prezzo forzosamente ridotto dalla attuale esistenza dell’immobile della S., ma non pare ciò sia accaduto;

– il danno per lesione alla serenità della vita domestica, che poi è una categoria del danno esistenziale, potrebbe essere riconosciuto per il periodo che va dalla data del provvedimento impugnato alla data della sentenza (perché comunque lesione temporanea della serenità della vita domestica, derivante dall’illegittimo aggravio dei carichi di cemento di fronte la propria casa, in astratto vi può essere stata), ma la sua esistenza nel caso di specie non è stata coltivata in alcun modo in ricorso, che si è limitato alla sua apodittica affermazione; le memorie depositate in giudizio non hanno ripreso più l’argomento; è vero che è possibile la valutazione equitativa di un danno di tal tipo, ma occorre una prova nell’an che nel caso di specie non vi è stata.

VI. La vicenda è complessa, si compensano le spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

RESPINGE l’istanza di risarcimento del danno.

COMPENSA tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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