T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-04-2011, n. 618 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La W.T. S.p.a., nota impresa titolare di licenza per il servizio radiomobile pubblico di comunicazione, comunemente detto di "telefonia cellulare", è proprietaria in Comune di Chiari di un impianto per telefonia mobile collocato sul lastrico solare di un palazzo sito alla locale via Cesare Battisti, civico 17/27, autorizzato dal Comune medesimo da ultimo con provvedimento 12 dicembre 2008 prot. n°26133 (doc. 4 ricorrente, copia di esso); per adeguarlo all’evoluzione della tecnologia relativa, presentava quindi, in data 7 settembre 2009, una istanza per essere autorizzata a modificarlo, sì da potere gestire anche il servizio UMTS, acronimo che come è notorio sta per Universal Mobile Telecommunications System, e indica una rete di telefonia cd. a banda larga, ovvero in grado di trasmettere un più ampio flusso di dati, compatibile ad esempio con la fruizione dal telefono cellulare di siti Internet.

A fronte di tale istanza, pur corredata di parere favorevole con prescrizioni dell’ARPAV (doc. 7 ricorrente, copia di esso), la W. ha ricevuto un diniego, con il provvedimento meglio indicato in epigrafe, il quale premette che l’istanza, in quanto relativa ad un aumento di potenza dell’impianto, che dovrebbe passare da una potenza totale al connettore di antenna di 160 W ad una di circa 210 W, va ad avviso dell’amministrazione considerata come domanda di autorizzazione per un impianto nuovo; osserva poi che l’impianto in parola insiste in zona nella quale, a norma dell’art. 10 del regolamento pure meglio indicato in epigrafe sono ammessi unicamente impianti con potenza totale non superiore a 7 W, e per tal motivo ritiene l’istanza stessa non accoglibile, anche per non esser stato l’impianto indicato nell’apposito piano di localizzazione e sviluppo a suo tempo presentato dalla interessata (doc. 2 ricorrente, copia provvedimento di diniego, ove anche la data di presentazione della domanda di cui sopra; doc. 3 ricorrente, copia regolamento impugnato).

Avverso tale diniego e avverso il regolamento che lo giustifica, la W. propone in questa sede impugnazione, con ricorso articolato in sei censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti quattro motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alla prima censura a p. 7 del ricorso, deduce violazione dell’art. 7 comma 9 della l.r. Lombardia 11 maggio 2001 n°11, nella parte in cui esso assoggetta "ad un nuovo procedimento autorizzativo" le modifiche di impianti esistenti. Ad avviso della ricorrente, il Comune avrebbe errato nel ritenere che, in base alla norma citata, il proprio progetto dovesse essere autorizzato ex novo; sempre ad avviso della ricorrente, infatti, la norma stessa andrebbe interpretata nel senso che per modificare un impianto esistente sarebbe effettivamente necessario un nuovo procedimento autorizzativo, ma che esso dovrebbe tener conto dell’esistente; in particolare, le modifiche della potenza installata per adeguarsi a nuovi standard di servizio si dovrebbero considerare come semplici opere di manutenzione ordinaria, non soggette ai limiti eventualmente vigenti per impianti nuovi;

– con il secondo motivo, corrispondente alle censure terza, quarta e quinta alle pp. 17 e ss. del ricorso, deduce violazione dell’art. 8 l. 22 febbraio 2001 n°36, nel senso che sopra citata, nel senso che il regolamento comunale di cui si è detto sarebbe in assoluto illegittimo, perché conterrebbe nella sostanza un non consentito divieto generalizzato di installare gli impianti di che trattasi su tutto il territorio comunale, tale da impedire il corretto svolgimento del servizio;

– con il terzo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 12 del ricorso, deduce ulteriore violazione dell’art. 8 l. 22 febbraio 2001 n°36 nonché dell’art. 4 della l.r. 11/2001, nel senso che il regolamento in parola sarebbe comunque illegittimo nel caso di specie, perché non potrebbe in particolare sottoporre a limitazioni di sorta, né tantomeno ad un sostanziale divieto, derivante dalla previsione del citato limite di 7 W di potenza per gli impianti consentiti, l’installazione di un impianto che, come quello di cui si ragiona, abbia potenza inferiore ai 300 W, per la quale la norma regionale richiamata esclude la necessità di specifica regolamentazione urbanistica;

– con il quarto motivo, corrispondente alla sesta censura a p. 31 del ricorso, deduce infine violazione del comma 11 dell’art. 4 della più volte citata l.r. 11/2001, nel senso che il piano di localizzazione non dovrebbe affatto indicare gli adeguamenti di una stazione preesistente.

Resiste il Comune di Chiari, con atto 8 febbraio 2010, nel quale chiede che il ricorso sia respinto, e in particolare eccepisce:

– in ordine al primo motivo, che da una corretta lettura della norma regionale si ricava proprio l’assoggettamento a nuova autorizzazione non già di qualsiasi modifica di impianto, ma di quella modifica che, come nella specie, ne aumenti la potenza;

– in ordine al secondo e al terzo motivo, afferma la correttezza e ragionevolezza del proprio regolamento, che non impedisce di fornire il servizio, ma consente, ove del caso, anche autorizzazioni in deroga;

– in ordine al quarto motivo, afferma che anche gli interventi come quello per cui è causa andrebbero compresi nel piano.

Con ordinanza 11 febbraio 2010 n°94, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare, prescrivendo un riesame della fattispecie; a fronte di ciò, depositando in data 23 febbraio 2011 la relativa documentazione, la W. rendeva noto di avere attivato l’impianto.

Con memorie 4 marzo 2011 per il Comune e 16 marzo 2011 per la ricorrente, la quale precisava (p. 4 in fine) di avere attivato l’impianto ritenendo dopo la notifica della suddetta ordinanza cautelare che si fosse formato un silenzio assenso, le parti ribadivano le rispettive tesi.

All’udienza del giorno 6 aprile 2011, fissata su istanza di prelievo presentata il 18 marzo 2010 dal Comune, la Sezione tratteneva il ricorso in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. Il primo motivo va respinto in base ad una corretta lettura dell’art. 7 comma 9 della l.r. Lombardia 11 maggio 2001 n°11, che testualmente dispone: "In caso di variazione delle caratteristiche tecniche o delle modalità d’impiego degli impianti, determinanti ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui al presente articolo, il titolare dà apposita comunicazione al sindaco ed all’ARPA. Il titolare deve contestualmente presentare valutazioni effettuate da un esperto avente i requisiti di cui al comma 4 dell’articolo 3, sulle conseguenze che le variazioni determinano in relazione all’esposizione ai campi elettromagnetici. Nel caso che, a causa delle modifiche da apportarsi, sia prevedibile un significativo aumento delle esposizioni o qualora si preveda l’aumento della potenza di emissione dell’impianto, rispetto a quanto previsto nel provvedimento di autorizzazione, l’impianto deve essere assoggettato ad un nuovo procedimento autorizzativo."

2. Come si nota, il "nuovo procedimento autorizzativo" è richiesto non, come afferma la parte ricorrente, per qualunque modifica degli impianti esistenti, al limite anche per quelle che comportino "una modifica al ribasso" (ricorso, p. 9 ottavo rigo), ma solo per quelle modifiche che si risolvano in un "aumento", quale che ne sia l’entità, della "potenza di emissione". Nel caso di specie, in cui appunto la potenza di emissione dell’impianto doveva passare da 160 a 210 W, il nuovo procedimento autorizzativo è stato quindi legittimamente esperito

3. E’ solo per completezza che si fa notare come la norma regionale non distingua in base alla misura dell’incremento di potenza di cui si ragiona, con valutazione che rientra senz’altro nell’ampia discrezionalità del legislatore, e che infatti non è stata nemmeno messa in discussione nella presente sede processuale. Non trova quindi appiglio testuale l’argomentazione della ricorrente secondo la quale la modifica di un impianto esistente dovrebbe in ogni caso, e quindi anche in quello dell’aumento di potenza, essere apprezzata come opera di manutenzione ordinaria, non soggetta ad autorizzazione alcuna (v. ricorso pp. 8 e 10).

4. In proposito, va anzi notato come la giurisprudenza invocata dalla ricorrente stessa a sostegno di tale ultima tesi appaia non esattamente pertinente al caso concreto, dato che riguarda o fattispecie in cui l’ostacolo giuridico all’installazione dell’impianto proveniva non già da una norma della l.r. 36/2001, ma dalle N.T.A. del Comune interessato – C.d.S. sez. VI 6 aprile 2007 n°1567 citata a p. 11 dell’atto e relativa al Comune bresciano di Lonigo- ovvero fattispecie cui la l.r. 36/2001 stessa non si applicava, per essere anteriori alla sua entrata in vigore – caso deciso da TAR Lombardia Milano 31 luglio 2002 n°3260 citata a p. 12 del ricorso- o per essere localizzate in altra Regione – caso deciso da TAR Toscana sez. I 18 novembre 2009 n°889 citata sempre a p. 12.

5. Il secondo motivo, incentrato sulla presunta complessiva illegittimità della normativa introdotta dal Comune intimato per limitare l’installazione sul proprio territorio degli impianti di telecomunicazione, è nella sua assolutezza pure infondato. In proposito, va anzitutto ricostruito il dato testuale.

6. Norma fondamentale in materia è quella dell’art. 8 comma 6 della legge quadro nazionale in materia di "protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici", l. 22 febbraio 2001 n°36, secondo la quale "I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici". La norma suddetta va poi coordinata con quanto dispone il d. lgs. 1 agosto 2003 n°259, recante "codice delle comunicazioni elettroniche", che in proposito reca una serie di norme di principio.

7. La prima di tali norme rilevante per il caso di specie è quella dell’art. 86, che è rubricato "Infrastrutture di comunicazione elettronica e diritti di passaggio", al primo comma dispone "Le autorità competenti alla gestione del suolo pubblico adottano senza indugio le occorrenti decisioni e rispettano procedure trasparenti, pubbliche e non discriminatorie… nell’esaminare le domande per la concessione del diritto di installare infrastrutture: a) su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse, ad un operatore autorizzato a fornire reti pubbliche di comunicazione…" e al terzo comma assimila "ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria" le "infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione", quali sono senza dubbio quelle installate dalla odierna ricorrente. Assumono poi indubbio valore generale le norme dei successivi articoli 90 comma primo, per cui "Gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti hanno carattere di pubblica utilità…", e 93 comma primo, per cui "Le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge"; è poi appena il caso di ricordare che manifestazione di un potere di imporre oneri stabilito per legge è proprio il potere regolamentare di cui alla legge quadro sopra citata.

8. Sempre per completezza, si fa infine notare che nel caso di specie si ragiona della legittimità del provvedimento 30 novembre 2009 prot. n°35697 di cui in epigrafe, legittimità che com’è noto, in ossequio alle regole della giurisdizione amministrativa generale, va apprezzata in rapporto alle circostanze di fatto e alle norme vigenti nel momento in cui essi vennero emanati (c.d. tempus regit actum). Non è quindi applicabile al caso di specie, in cui pur si ragiona di un impianto UMTS, la norma speciale dell’art. 87 bis, che prevede per la sua installazione la semplice denuncia, ovvero comunicazione certificata, di inizio attività, ma è stata introdotta solo dal comma 1 dell’art. 5bis del d.l. 25 marzo 2010 n°40 così come modificato dalla legge di conversione 22 maggio 2010 n°73, evidentemente posteriore ai fatti di causa.

9. In base al descritto quadro normativo, la giurisprudenza ha poi individuato i limiti ai quali il Comune può esercitare il potere regolamentare di cui si è detto, limiti sinteticamente espressi, da ultimo, in C.d.S. sez. VI 15 luglio 2010 n°4557, pronunciata proprio in un giudizio di cui era parte l’odierna ricorrente: la norma della legge quadro prevede "misure di minimizzazione", che quindi "non possono tradursi in "limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato" ovvero costituire "deroga generalizzata" a tali limiti, ma devono tradursi in "specifiche e diverse misure, la cui idoneità… emerga dallo svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico".

10. La stessa sentenza prosegue, richiamando precedenti conformi, e in particolare C. cost. 7 novembre 2003 n°331 e 7 ottobre 2003 n°307, affermando che dette misure non possono in particolare essere "incompatibili con la possibilità di realizzare una rete completa di infrastrutture per la telecomunicazione" e debbono tener conto "della nozione di "rete di telecomunicazione, che richiede una diffusione capillare sul territorio, in particolare per i casi di telefonia UMTS (c.d. "cellulare")" e "del fatto che l’assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, implica che le medesime non siano avulse dall’insediamento abitativo, ma debbano porsi al servizio dello stesso".

11. Alla luce dei suddetti principi, ritiene il Collegio che nel caso di specie il Comune di Chiari abbia fatto corretto uso del potere regolamentare attribuitogli. Il regolamento comunale di cui si ragiona è stato anzitutto adottato all’esito di una corretta e completa istruttoria, in base alle richieste "risultanze di carattere scientifico": ne fa fede anzitutto la premessa, ove si dà conto di una indagine conoscitiva preliminare, condotta per mezzo di una società specializzata e dell’ARPAV (doc. 2 ricorrente, cit., pp. 34). Inoltre, la disciplina relativa non può definirsi incompatibile con la possibilità di realizzare una rete completa ed efficiente, per tre distinte ragioni, che si ricavano dalla relazione 3 febbraio 2010 predisposta dalla società che già ebbe il ruolo di consulente del Comune nell’indagine istruttoria (doc. 8 Comune, copia di essa), relazione che la ricorrente ha contestato solo in modo generico, limitandosi ad asserire una "impossibilità di garantire una ottimale diffusione e copertura" attraverso il proprio segnale (ricorso, p. 14 nono rigo).

12. Come si ricava da detta relazione, allora, in primo luogo, il territorio di Chiari è interamente pianeggiante, e non presenta ostacoli alla propagazione del segnale, rendendo non necessaria una presenza particolarmente capillare delle stazioni; in secondo luogo, le zone nelle quali sono consentite di regola solo stazioni di potenza minima sono limitate a un 10% del territorio, e quindi non si può dire equivalgano ad una impossibilità generalizzata di installare gli impianti. Infine, e ciò appare decisivo, la funzionalità della rete è comunque garantita dalla clausola di salvaguardia di cui all’art. 10 del regolamento – che per inciso non risulta la ricorrente abbia invocato- secondo la quale a fronte di "valide motivazioni tecniche" è possibile comunque, presentando una motivata domanda a tal fine, ottenere autorizzazioni in deroga (doc. 2 ricorrente, pp. 89): non consta, né per vero è stato nemmeno allegato, che la norma sia ineffettiva o conosca prassi dilatorie od elusive.

13. E’ infondato e va respinto anche il terzo motivo, nel quale si sostiene in sintesi che il regolamento comunale, ancorché fosse conforme alla normativa nazionale, non rispetterebbe quella regionale nella parte in cui assoggetta ad una discipina limitativa gli impianti di potenza inferiore ai 300 W. Anche nel caso presente, è bastevole far riferimento alla lettera dell’art. 4 comma 7 della l.r. 11/2001, per cui "Viste le caratteristiche tecniche delle reti per la telefonia mobile e la natura di pubblico servizio dell’attività svolta, che motivano una diffusione capillare delle stazioni impiegate a tale scopo, gli impianti radiobase per la telefonia mobile di potenza totale ai connettori di antenna non superiore a 300 W non richiedono una specifica regolamentazione urbanistica".

14. Come è evidente anche in base alla comune logica, infatti, la norma citata afferma che nei casi come quello di specie una regolamentazione urbanistica è non necessaria, ma non intende certo proibirla, e fa quindi salvo l’esercizio, beninteso nei limiti di cui si è detto, da parte dei Comuni delle competenze loro proprie, esercizio che nel caso concreto vi è stato anche per gli impianti di potenza inferiore ai 300 W.

15. E’ infine non fondato anche il quarto ed ultimo motivo, dato che ancora una volta la lettera della norma, l’art. 4 comma 11 prima parte della citata l.r. 11/2001, è sufficientemente chiara. La norma in questione prevede infatti che "I gestori di reti di telecomunicazione sono tenuti a presentare ai comuni ed all’ARPA, entro il 30 novembre di ogni anno, un piano di localizzazione, articolato per zone di decentramento comunale ove istituite, che, nel rispetto delle indicazioni di cui al presente articolo, descriva lo sviluppo o la modificazione dei sistemi da loro gestiti, in riferimento, in particolare, alle aree di ricerca per la collocazione di nuove stazioni ed alla ottimizzazione dei sistemi al fine del contenimento delle esposizioni". Avere considerato in modo distinto lo "sviluppo" e la "modificazione" dei sistemi gestiti significa infatti secondo logica che il piano deve tener conto non solo dei nuovi impianti che vadano a estendere la rete, ma anche delle innovazioni -appunto le "modificazioni"- apportate all’esistente, come un aumento di potenza del tipo di quello per cui è causa.

16. La particolarità delle questioni decise è giusto motivo per compensare le spese; peraltro, a carico della ricorrente, che è soccombente perché le sue domande non sono state accolte, va posto in via definitiva, come per legge, l’importo del contributo unificato.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa per intero fra le parti le spese del giudizio e pone il contributo unificato a carico definitivo della ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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