Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-03-2011) 26-04-2011, n. 16380

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rini.
Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 3 novembre 2009, ha riformato la sentenza del Giudice di pace di Palermo del 6 febbraio 2009 e ha condannato P.A. e O.A. al risarcimento del danno per i delitti di lesioni personali, ingiuria, minacce e danneggiamento in danno della costituita parte civile C.V..

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi i condannati, a mezzo del loro difensore, lamentandone la mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine all’attendibilità della persona offesa, all’avvenuta produzione fotografica, alla certificazione medica e alla considerazione dell’esperita prova testimoniale.
Motivi della decisione

1. I ricorsi sono chiaramente inammissibili.

2. Giova premettere in diritto, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sui discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

3. In fatto, questa volta, si osserva come i motivi dei ricorsi risultino finalizzati a rileggere ulteriormente le risultanze probatorie che il Giudice del merito ha logicamente e correttamente valutato sia in relazione alle dichiarazioni della parte offesa che ai consequenziali riscontri, costituiti dalla documentazione fotografica e dalla certificazione medica (v. pagina 5 della motivazione) e ciò proprio in ossequio della giurisprudenza di legittimità citata dagli stessi ricorrenti (v. da ultimo Cass. Sez. 1^ 24 giugno 2010 n. 29372).

A ciò si aggiunga come il Giudice dell’appello abbia chiaramente affermato l’incongruità della motivazione del giudice di prime cure, basata esclusivamente sulla circostanza di una precedente condanna penale della parte offesa e tale da inficiare, di converso, l’oggettiva attendibilità del suo racconto (v. pagina 4 della motivazione).

4. I ricorsi vanno, in definitiva, dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati ciascuno al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *