T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-04-2011, n. 612 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M., proprietaria di un edificio sito in Desenzano del Garda alla via Bergamo 47 e localizzato sul terreno distinto al locale catasto al foglio 13 mappale 234, ha richiesto ed ottenuto il rilascio del permesso di costruire 27 agosto 2008 n°13687, corredato del’autorizzazione paesistica 10 luglio 2008 n°5815, per eseguirvi opere di recupero del sottotetto a fini abitativi (doc. ti 9 e 10 ricorrente, copia titolo edilizio e autorizzazione citati, ove i dati riportati).

In corso d’opera, a seguito di sopralluogo dei tecnici comunali il 28 gennaio 2009, ha però ricevuto dapprima l’ordinanza di sospensione lavori meglio indicata in epigrafe, motivata con riferimento ad una presunta totale difformità di quanto eseguito rispetto al titolo (doc. 1 ricorrente, copia ordinanza); ha poi ricevuto l’ordinanza di demolizione pure meglio indicata in epigrafe, che meglio descrive le asserite difformità, precisando quanto già contenuto nell’ordinanza di sospensione (doc. 2 ricorrente, copia ordinanza demolizione).

In particolare, l’ordinanza di demolizione così le descrive: "il sottotetto recuperato presenta un’altezza media a rustico di circa mt. 2,65; la realizzazione dei balconi sia sul fronte strada (via Bergamo) che sul retro presentano (testuale) una maggiore superficie rispetto a quanto autorizzato di mq 14,50; una porzione di muro perimetrale, sul lato nord, è stata arretrata di circa cm 40 con conseguente diminuzione di s.l.p.; è stata realizzata una copertura a due falde che ha generato un ulteriore piano sopra quello oggetto del recupero sottotetto, non compatibile sotto l’aspetto urbanistico per le seguenti motivazioni, già citate nella relazione del 28 gennaio 2009: a) rispetto ai dettami della l.r. 12/2005 e s.m.i., che non ammettono nella casistica prevista per il recupero del sottotetto la possibilità di realizzare un ulteriore nuovo piano oltre al piano oggetto del recupero sottotetto; b) rispetto alle previsioni normative delle N.T.A. vigenti dalle quali risulta che il nuovo piano ricavato nel sottotetto determina aumento di s.l.p. e conseguentemente una nuova volumetria aggiuntiva a quella esistente, che risulta non ammessa rispetto alle potenzialità del lotto in quanto dalle risultanze di rilievo i locali del nuovo sottotetto risultano con altezza in colmo sottotrave di mt. 3,30 circa (mt. 3,05 interni al rustico + circa cm 25 di soletta) ed altezza in gronda di mt. 1,17 circa (mt. 0,92 + circa 25 cm di soletta) superiori alle previsioni normative dell’art. 7 comma c (rectius: art. 7.07.01 lettera c) delle N.T.A. vigente (testuale) che prevedono per i nuovi sottotetti, affinché gli stessi non generino superficie lorda di pavimento, il rispetto delle seguenti condizioni: "… a. l’altezza all’intradosso della copertura (sottotrave) rispetto all’intradosso della soletta sottostante sia, al colmo, superiore a mt. 2,80; b. l’altezza all’intradosso della copertura (sottotrave) rispetto all’intradosso della soletta sottostante sia, in gronda, superiore, anche in un solo punto, a mt. 0,80; c. la pendenza esterna delle falde di copertura sia superiore, anche in una sola porzione, al 35%’; da quanto sopra indicato conseguono difformità anche rispetto all’altezza massima consentita nella zona, prevista dall’art. 44 delle N.T.A. del P.R.G. in mt. 10,00, in quanto la nuova copertura determina modifiche dell’altezza massima dell’edificio; le opere realizzate in difformità, sotto l’aspetto ambientale, determinano variazioni prospettiche per l’aggiunta di nuovi balconi e la modifica della copertura" (doc. 2 ricorrente, cit.; doc. 11 ricorrente, testo N.T.A. richiamate).

Avverso i predetti provvedimenti, di sospensione e di demolizione, la ricorrente ha proposto il ricorso principale, articolato in sei censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti sei motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alla prima censura a p. 6 dell’atto, deduce violazione dell’art. 36 del T.U. 6 giugno 2001 n°380 e dell’art. 167 T.U. 22 gennaio 2004 n°42. In proposito, premette in fatto da un lato che l’ordinanza di sospensione lavori le è stata notificata il 2 febbraio 2009 (doc. 1 ricorrente, cit.), e che quindi il termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 27 del T.U. 380/2001 scadeva il successivo 19 marzo. Premette ancora, da altro lato, di avere depositato lo stesso 10 marzo 2009, data di emissione dell’ordinanza demolitoria, un’istanza di sanatoria (doc. 3 ricorrente, copia di essa). Ciò premesso, afferma che il Comune, prima di emettere qualsiasi provvedimento di sanzione, avrebbe dovuto provvedere sulla domanda di sanatoria, essendovi oltretutto il tempo necessario;

– con il secondo motivo, corrispondente alle censure seconda e terza alle pp. 9 e 13 dell’atto, deduce violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001 e ancora dell’art. 167 T.U. 42/2004, affermando che tutti gli asseriti abusi da lei realizzati sarebbero in realtà "marginali" e "sanabili" (p. 9 diciassettesimo rigo), come precisato di seguito. In primo luogo, la contestazione per cui il sottotetto recuperato presenterebbe un’altezza media a rustico di circa mt. 2,65 non terrebbe conto intanto della necessità di sottrarre da tale altezza circa 30 cm di massetto e di intonaco, per cui si rientrerebbe nei 2,40 metri assentiti, poi della l.r. 20 aprile 1995 n°26, che consentirebbe di detrarre lo spessore dei tamponamenti utili al risparmio energetico. In secondo luogo, la maggiore superficie di balconi realizzata sarebbe sì superiore a quanto assentito, ma non al massimo autorizzabile, e sarebbe comunque sanabile ai sensi dell’art. 7.07.02 lettera a delle N.T.A., in quanto non costituirebbe s.l.p. In terzo luogo, l’arretramento del muro non costituirebbe difformità, perché modifica in diminuzione di s.l.p. In quarto luogo, anche l’ulteriore struttura realizzata al di sopra dell’originario sottotetto recuperato sarebbe, in realtà, consentita. A dire della ricorrente, nel recupero dei sottotetti gli artt. 63 e ss. della l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12 imporrebbero di rispettare soltanto l’altezza massima di zona, nella specie di mt. 10,00. Tale limite sarebbe in realtà rispettato, come risulterebbe applicando l’art. 7.10 delle N.T.A. ovvero tenendo conto dell’effettivo andamento della quota naturale del terreno (v. doc. 11 ricorrente, cit. e doc. ti 57, tavole della domanda di sanatoria, ove si evidenzia un andamento digradante di tale quota): ne risulterebbe un’altezza di mt. 10,05, da ritenere legittima tenendo conto dello spessore dell’intonaco isolante da eseguire (pp. 1819 atto). La stessa l.r. 12/2005 invece consentirebbe di realizzare al di sopra del sottotetto da recuperare un ulteriore volume, purché si tratti di volume tecnico: ciò sarebbe avvenuto nella specie, dato che quanto ulteriormente realizzato sarebbe una intercapedine non utilizzabile "né può farsi il processo alle future intenzioni della ricorrente" (p. 17 atto, diciottesimo rigo). Nel caso di specie, infine, sarebbero in realtà rispettate anche le condizioni imposte dall’art. 7.07.01 lettera c delle N.T.A. citato per escludere il vano realizzato dalla s.l.p. Nell’ordine: la contestata altezza al colmo di 3,30 metri sarebbe in realtà non superiore a 2,80 metri, essendo prevista la posa di controtravi interne, volte a creare un vano tecnico nel quale far passare i tubi di adduzione dell’acqua ai pannelli solari da installare; l’altezza in gronda sarebbe non superiore a cm. 56; la pendenza delle falde sarebbe sì lievemente superiore al 35%, ma ciò sarebbe giustificato "al fine di installare i pannelli fotovoltaici" (p. 17 primo rigo);

– con il terzo motivo, corrispondente alle censure quarta, quinta e sesta alle pp. 19 e ss. dell’atto, deduce infine ulteriore violazione degli artt. 31 del T.U. 380/2001 e 167 T.U. 42/2004, nel senso che quanto realizzato non sarebbe comunque passibile di demolizione. Afferma infatti che si verserebbe in un caso non già di difformità totale delle opere, sibbene di difformità parziale, passibile di semplice sanzione pecuniaria là dove, come avverrebbe nella specie, la demolizione appaia non rispettosa del principio di proporzionalità perché impossibile da eseguire senza pregiudizio per la parte conforme; afferma ancora chele opere realizzate sarebbero sanabili anche sotto il profilo paesaggistico, in quanto costituirebbero interventi di semplice manutenzione straordinaria, e comunque non creerebbero superfici o volumi utili.

Costituitosi il Comune con memoria formale del 22 aprile 2009, alla camera di consiglio del 30 aprile successivo, la ricorrente rinunciava alla domanda cautelare formulata con il ricorso principale, essendosi il difensore del Comune impegnato a non far eseguire l’ordinanza sino all’esito del procedimento di sanatoria (cfr. motivi aggiunti, p. 4 terzo rigo e ss.)

Nelle successive more del processo, la ricorrente riceveva peraltro, con l’atto pure meglio indicato in epigrafe, un diniego alla predetta propria domanda di rilascio di permesso di costruire in sanatoria. Tale provvedimento motiva anzitutto sotto il profilo paesaggistico, e osserva che in mancanza, come nella specie, di un qualsivoglia parere della Soprintendenza ai sensi dell’art. 167 del T.U. 42/2004 non può ritenersi il silenzio assenso, ma deve farsi capo al parere della Commissione comunale per il paesaggio, espresso in senso negativo come da verbale 30 novembre 2009 n°908, dato che l’opera consiste "nell’aggiunta di un sottotetto eccedente rispetto alle proporzioni in altezza degli edifici contermini" che "crea disomogeneità in contrasto con gli edifici circostanti" (doc. 12 ricorrente, copia diniego permesso in sanatoria; doc. 13 ricorrente, copia verbale citato). Il provvedimento prosegue poi ritenendo, sotto il profilo urbanistico, non soddisfatte le condizioni di cui al più volte citato art. 7.07.01 lettera c delle N.T.A. perché il nuovo sottotetto non formi s.l.p. dato che il tetto a falda appare non necessario a garantire l’impermeabilizzazione, il citato vano tecnico ricavato all’interno appare mero artificio per abbassare l’altezza e la pendenza delle falde di copertura è dichiaratamente mantenuta al 40%, ovvero al di sopra del 35% ammesso (doc. 12 ricorrente, cit.).

C.M. impugnava quindi tale diniego con atto di motivi aggiunti articolato in cinque censure, riconducibili secondo logica ai seguenti cinque motivi:

– con i primi tre di essi, corrispondenti alla prima censura senza numero d’ordine a p. 12 dell’atto, si ripropongono i motivi già dedotti col ricorso principale, censurando altrettanti vizi di illegittimità derivata dell’atto qui in questione;

– con il quarto motivo, corrispondente alle censure rubricate come seconda, terza e quarta alle pp. 14 e ss. dell’atto, deduce poi ancora violazione degli artt. 31 del T.U. 380/2001 e 167 T.U. 42/2004, nel senso che quanto realizzato avrebbe invece dovuto ricevere la sanatoria. In dettaglio, per le contestazioni inerenti l’altezza media a rustico di circa mt. 2,65 del sottotetto recuperato, la maggiore superficie di balconi realizzata e l’arretramento del muro, ripete in sintesi le considerazioni già svolte al secondo motivo di ricorso principale, aggiungendo che nemmeno il Comune avrebbe in proposito individuato ragioni ostative alla sanatoria sotto il profilo urbanistico. Per le contestazioni inerenti invece la nuova struttura realizzata, la ricorrente fa presente sotto il profilo paesistico che si sarebbe dovuto guardare non agli edifici contermini, ma, più in generale, a quelli "circostanti" (p. 23 terzo rigo) e che quindi disomogeneità non vi sarebbe; sotto il profilo urbanistico, fa presente che la nuova struttura sarebbe mero volume accessorio con vano tecnico realizzato per apprezzabili esigenze, ovvero per la già ricordata esigenza di impermeabilizzazione e di passaggio delle tubazioni; deduce ancora che l’altezza, per le ragioni già ricordate, rientrerebbe nei limiti prescritti e che la maggiore inclinazione delle falde sarebbe consentita dalle norme sul risparmio energetico

– con il quinto motivo, corrispondente alla censura rubricata come prima a p. 12 dell’atto, si deduce infine violazione dell’art. 167 del T.U. 42/2004, nel senso che, in mancanza del parere espresso della Soprintendenza, si sarebbe dovuta invece convocare una conferenza di servizi.

Resiste il Comune, con memoria 24 maggio 2010, in cui chiede la reiezione del ricorso, difendendo le valutazioni già espresse.

Con ordinanza 15 luglio 2010 n°432, la Sezione ha accolto la domanda cautelare formulata nei predetti motivi aggiunti per i profili attinenti al periculum in mora

Le parti, con memoria 25 febbraio e replica 4 marzo 2011 per la ricorrente e con memoria 4 marzo 2011 per il Comune, hanno ribadito le reciproche posizioni.

Da ultimo, all’udienza del giorno 6 aprile 2011 la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
Motivi della decisione

Tanto il ricorso principale quanto quello per motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti, per le ragioni appresso precisate.

1. Incominciando la disamina dal ricorso principale, quello rivolto avverso l’ordinanza di demolizione, va detto che esso è comunque infondato, anche prescindendo dall’orientamento giurisprudenziale – condiviso fra le altre di recente da TAR Campania Napoli sez. VII 16 dicembre 2009 n°8819- per cui la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. 380/2001, anteriormente all’impugnazione dell’ordine di demolizione, come è avvenuto nella specie, dato che l’istanza è come detto in premesse del 10 marzo 2009 e il ricorso è notificato il 25 marzo successivo- produrrebbe l’effetto di rendere inammissibile l’impugnazione stessa nella sua totalità per carenza di interesse.

2. In dettaglio, va invece dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il solo primo motivo, dato che il Comune intimato ha rimediato all’omissione denunciata nel motivo stesso e provveduto sulla istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria presentata dalla ricorrente, appunto con il diniego impugnato con i motivi aggiunti. La ricorrente ha quindi già conseguito l’utilità che dall’accoglimento del motivo stesso le sarebbe potuta derivare: sul principio, per tutte, C.d.S. sez. V 6 luglio 2007 n°3853.

3. Il secondo motivo del ricorso principale va a sua volta respinto per una considerazione evidente: esso, pur rivolto come si è detto più volte contro l’ordinanza di demolizione di un presunto abuso, deduce non già ragioni per le quali l’abuso non sussisterebbe, ma ragioni per le quali l’abuso stesso sarebbe sanabile (v. in particolare il passo a p. 9 diciassettesimo rigo dell’atto, citato in narrativa). Il carattere sanabile o no dell’abuso stesso però non si riflette in alcun modo sulla legittimità dell’ordinanza che prescriva di rimuoverlo, posto che l’amministrazione, nell’esercizio dei suoi poteri repressivi in materia, non è in alcun modo tenuta a prendere in considerazione la possibilità che il privato, in base a propri calcoli di convenienza, ritenga di chiedere la sanatoria. Le deduzioni svolte in questa sede, pertanto, vanno propriamente valutate, in quanto pertinenti, nell’ambito dello scrutinio del ricorso per motivi aggiunti, rivolto avverso il diniego di sanatoria.

4. Da ultimo, è infondato anche il terzo motivo del ricorso principale, secondo il quale l’abuso realizzato non sarebbe passibile della sanzione demolitoria. La sanzione medesima, per quanto qui rileva, è prevista fra l’altro dall’art. 33 comma 1 del T.U. 380/2001, secondo il quale "Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia… eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanisticoedilizi…". La nozione di "totale difformità" è poi data dal precedente art. 31 comma 1, per cui "Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".

5. Ciò posto, l’intervento effettivamente realizzato dalla odierna ricorrente costituisce senza dubbio costruzione in totale difformità ai sensi della prima parte del comma 1 del citato art. 31, e ciò è per implicito ammesso dalla stessa ricorrente. E’ sufficiente in proposito esaminare le tavole che la stessa ha prodotto al Comune, e nuovamente prodotto in questa sede, per chiedere la sanatoria: esse non contestano la tipologia dell’abuso realizzato, e rappresentano come realizzato un edificio con tetto di tegole a due falde e abbaini, completamente diverso da quello progettato, che avrebbe dovuto avere un tetto piano a terrazza e un’altezza inferiore (v. doc. ti ricorrente da 5 a 7, tavole della sanatoria citate).

6. E’ a sua volta infondato anche il ricorso per motivi aggiunti, rivolto come si è detto avverso il provvedimento comunale di diniego della sanatoria. I primi tre motivi di esso, che ripropongono come denuncia di vizi di illegittimità derivata i motivi del ricorso principale, sono anzitutto infondati per quanto detto a proposito di quest’ultimo.

7. In ordine al quarto motivo, va poi svolto un rilievo di carattere generale. Come stabilito in termini di principio da ultimo da T.A.R. Puglia Lecce sez. I 8 ottobre 2009 n° 228, infatti, l’accertamento di conformità previsto a suo tempo dall’art. 13 della l. 28 febbraio 1985 n°47 ed ora dall’art. 36 T.U. 380/2001, "nel fare riferimento al concetto di opera eseguita rinvia chiaramente ad una modificazione del mondo materiale prodotta da un manufatto completo"; ne segue quindi secondo logica che l’accertamento medesimo non può essere parziale, ovvero riferito ad alcune soltanto delle opere eseguite. Non hanno quindi pregio gli argomenti della ricorrente, secondo i quali (v. ricorso per motivi aggiunti, p. 20, settimo e ottavo rigo) si sarebbe dovuta comunque concedere una sanatoria parziale, per le opere eventualmente ritenute conformi. Va invece affermato che l’impossibilità di ritenere conforme alle previsioni urbanistiche l’opera anche per una soltanto delle sue caratteristiche comporta l’impossibilità pura e semplice di rilasciare la sanatoria richiesta.

8. Nel caso di specie, peraltro, le difformità insanabili di quanto realizzato rispetto al progettato sono più di una, come subito si dimostrerà. Ci si limita in proposito a quanto riguarda il nuovo sottotetto realizzato, perché il provvedimento impugnato le individua solo con riferimento a tale struttura (cfr. doc. 12 ricorrente, cit.).

9. Al riguardo, è in astratto vero quanto sostiene la ricorrente, ovvero che le norme regionali sul recupero dei sottotetti, artt. 63 e ss. della l.r. Lombardia 12/2005, di per sé non impediscono in assoluto di configurare in un certo modo la copertura sovrastante la parte recuperata, e quindi nemmeno di realizzarvi un nuovo sottotetto, perché sia rispettata l’altezza massima di zona. In tal senso, depone in via indiretta in particolare l’art. 64, per cui gli interventi in parola possono, a certe condizioni, "comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi", e quindi di conformare la copertura del nuovo vano, purché appunto "nei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico".

10. Nel caso di specie, peraltro, si ragiona non soltanto del rispetto delle norme regionali, ma soprattutto di quanto prevede il già citato art. 7 comma 7 paragrafo 01 delle NTA comunali vigenti, che all’operazione di recupero del sottotetto pongono limiti ulteriori, nel senso di voler consentire eventuali nuovi sottotetti realizzati a seguito del recupero di quello originario solo a date condizioni. La legittimità della norma in parola nella specie non risulta contestata; va però detto per completezza che essa si fonda, oltre che sul generale potere regolamentare in materia edilizia riconosciuto al Comune, anche sull’art. 65 della citata l.r. 12/2005: in base al principio logico, prima che giuridico, per cui il più contiene il meno, se al Comune è riconosciuto il potere di escludere il recupero dei sottotetti, deve essergli riconosciuto anche quello di sottoporlo a prescrizioni.

11. In proposito, si impone anche una precisazione ulteriore. E’evidente che scopo della norma tecnica in esame è evitare che il recupero di un sottotetto divenga occasione per crearne uno nuovo con caratteristiche tali da potere, in un secondo tempo, essere a sua volta recuperato, così operandosi l’aggiunta di un piano ulteriore all’edificio, con operazione suscettibile di essere ripetuta in potenza all’infinito, sino al raggiungimento dell’altezza massima di zona; tale finalità, peraltro, appare mossa dall’esigenza di assicurare il rispetto delle regole di corretto governo del territorio stabilite dal Comune in via generale e astratta, chiunque sia proprietario dell’edificio, non certo da un intento, ipotizzato nei ricorsi (p. 17 ricorso principale, diciottesimo rigo; p. 36 ricorso per motivi aggiunti, sedicesimo rigo), di fare il "processo alle intenzioni" della ricorrente, la quale, a prescindere da esse, per inciso ben potrebbe, in futuro, anche cedere l’immobile ad altri.

12. Ciò posto, come indicato nel provvedimento di diniego di sanatoria, le previsioni dell’art. 7 comma 7 paragrafo 01 sono violate nella specie per due profili, là dove la norma, nei termini ricordati in premesse, considera una sola violazione come rilevante al fine di includere la s.l.p. realizzata in quella che si computa per verificare il rispetto del valore massimo ammesso per il singolo lotto. Sotto il primo profilo, anzitutto la ricorrente non contesta che la pendenza delle falde del tetto sia del 40%, superiore quindi al massimo ammesso del 35%; né ciò può essere giustificato in base a generiche esigenze di risparmio energetico, dato che in materia la l.r. 20 aprile 1995 n°26 invocata dalla ricorrente riguarda soltanto lo spessore delle murature di tamponamento, ovvero all’evidenza un parametro del tutto diverso. Va poi condiviso anche quanto afferma il Comune sul carattere artificioso del vano tecnico ricavato per abbattere l’altezza interna del manufatto, dato che alle motivate deduzioni della p.a. sul punto, ovvero al rilievo per cui le tubazioni dell’impianto solare si potrebbero ben realizzare anche al di sotto della copertura, la ricorrente non ha replicato alcunché di specifico in termini tecnici.

13. Quanto sopra dimostra la legittimità dell’impugnato diniego sotto il profilo edilizio, ovvero rispetto ad uno dei due profili considerati dal provvedimento. E’ quindi inammissibile per difetto di interesse il quinto motivo di ricorso, incentrato sul secondo profilo, quello paesaggistico. Vale infatti il principio, ribadito da costante insegnamento giurisprudenziale (da ultimo C.d.S. parere su ricorso straordinario sez. I 30 novembre 2009 n°3426), secondo il quale "per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie è sufficiente che sia fondata anche una sola di esse".

14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi principale e per motivi aggiunti come in epigrafe proposti, li respinge. Condanna C.M. a rifondere al Comune di Desenzano le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 4.000 (quattromila/00) oltre accessori di legge, ove dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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