T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 22-04-2011, n. 1039 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I ricorrenti, appartenenti ai ruoli periferici del Ministero delle Finanze, allegano di essere destinatari della normativa contrattuale di comparto di cui al D.P.R. 17.1.1990, n. 44 "regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo 26.9.1989".

Essi assumono di aver maturato le prescritte anzianità di servizio nel periodo di proroga (1.1.1993 – 31.12.1993) e invocano l’applicabilità dei benefici economici di cui all’art. 9, commi 4 e 5 del D.P.R. n. 44/90, prevedenti la corresponsione di specifiche maggiorazioni di retribuzione individuale di anzianità, sulla base di quanto disposto dall’art. 7, comma 1 del D.L. 19.9.1992 n. 384. Tale ultima norma, lungi dall’introdurre una nuova regolamentazione, si limiterebbe a prevedere una deroga, eccezionale e temporanea, all’ordinaria successione della disciplina derivante dagli accordi di comparto nel pubblico impiego, precisando che la previgente disciplina resti ferma "sino al 31.12.1993", con la conseguente entrata in vigore dei nuovi accordi al 1 gennaio 1994. Da tale interpretazione dell’art. 7, comma 1 del D.L. n. 384/92 deriverebbe il diritto alle maggiorazioni retributive per coloro che, come gli attuali ricorrenti, abbiano maturato i requisiti di anzianità nel periodo ricompreso tra il 1.1.1991 e il 31.12.1993.

Il ricorso non può essere accolto.

L’art. 9, comma 4 del D.P.R. n. 44/90 prevede che "al personale che, alla data del 1.1.1990, abbia acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio, o che maturi detto quinquennio nell’arco della vigenza contrattuale, compete alle date suddette una maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità". L’art. 1, comma 2 del citato D.P.R. stabiliva, poi, che "il presente regolamento si riferisce al periodo 1.1.199831.12.1990".

Per effetto dell’art. 7, comma 1 del D.L. 19.9.1992, n. 384 "resta ferma sino al 31.12.1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983 n. 93 e successive modifiche e integrazioni. I nuovi accordi avranno effetto dal 1 gennaio 1994".

L’art. 51, comma 3 della L. 23.12.2000, n. 388 ha stabilito che l’articolo 7, comma 1 del D.L. 19.9.1998 n. 384 "si interpreta nel senso che la proroga al 31.12.1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29.3.1983 n. 93, relativi al triennio 1.1.198831.12.1990, non modifica la data del 31.12.1990 già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità. E" fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge".

Alla luce di tale base normativa la giurisprudenza, anche precedentemente all’entrata in vigore della L. n. 388/2000, ha sottolineato la ratio dell’art. 7 del D.L. n. 384/1992, è di impedire aumenti delle retribuzioni nel pubblico impiego per l’anno 1993: il che significa che il beneficio di cui all’art. 8 del D.P.R. n. 44/90 opera solo nei confronti dei soggetti che abbiano maturato il requisito di anzianità entro il termine previsto dalla stessa norma (T.A.R. Emilia Romagna Sez. I 2.6.1997 n. 360).

L’inizio di efficacia dei nuovi accordi, rispetto a quelli relativi al periodo 19881990, è dunque spostato al 1.1.1994 (T.A.R. Marche 12.8.1997 n. 681).

Peraltro, successivamente all’entrata in vigore del citato art. 51, comma 3, si è ritenuto che "per effetto dell’art. 51 comma 3 della L. 23 dicembre 2000 n. 388, l’art. 7 comma 1, d.l. 19 settembre 1992, n. 384 deve interpretarsi nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla L. 29 marzo 1983 n. 93, relativi al triennio 1 gennaio 198831 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990 già stabilita per la maturazione dell’anzianità di servizio prescritta ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità, salva l’esecuzione dei giudicati intervenuti alla data della sua entrata in vigore (V. C.S. Sez. IV 13.5.2010 n. 2916, C.S. Sez. IV. 24.4.2009 n. 2634).

Per i ricorrenti, tuttavia, l’art. 51, comma 3 non costituirebbe norma di interpretazione autentica, dovendosi, quindi, escludere che possa avere effetto retroattivo, nel qual caso hanno chiesto di sollevare una questione di costituzionalità.

Il visto rilievo non ha peraltro alcun fondamento, poiché la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 263/2002, si è già pronunciata sul punto, dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3 della L. n. 388/2000. La Corte ha, infatti, ritenuto che la norma, sotto il profilo della ragionevolezza, è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di "cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata dal D.L. n. 384 del 1992 con modalità già giudicate non irrazionali ed arbitrarie.

In via ulteriormente subordinata i ricorrenti hanno prospettato una diversa questione di costituzionalità per violazione dell’art. 117 Cost. e dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Anche la detta questione è, tuttavia, manifestamente infondata, poiché la stessa sentenza della Corte Costituzionale invocata dai ricorrenti (Corte cost. n. 311/2009) ha escluso ogni contrasto delle norme interne con la CEDU.

La Corte ha, infatti, richiamato la giurisprudenza della Corte europea, là dove ha affermato che, mentre, in linea di principio, al Legislatore non è precluso intervenire in materia civile, con nuove disposizioni retroattive, su diritti sorti in base alle leggi vigenti, il principio dello Stato di diritto e la nozione di processo equo sancito dall’art. 6 della CEDU vietano ogni intervento legislativo in materia di giustizia destinata a influenzare l’esito della controversia, fatta peraltro eccezione che per motivi imperativi di interesse generale.

Nella richiamata sentenza della Corte n. 263/2002 è stato affermato che art. 51, comma 3 "non viola la funzione giurisdizionale, in quanto il legislatore ordinario non ha inciso sulla potestas iudicandi, ma si è mosso sul piano generale ed astratto delle fonti, costruendo il modello normativo, cui la decisione giudiziale deve riferirsi".

L’assenza di incompatibilità tra il predetto art. 51, comma 3 e l’art. 6 della CEDU è stata inoltre argomentata, richiamando ulteriori pronunce della Corte di Strasburgo (casi Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre 1994, e Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999) in cui la stessa ha censurato la prassi di interventi legislativi sopravvenuti, che modifichino retroattivamente in senso sfavorevole per gli interessati le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all’epoca della modifica.

La stessa Corte ha, invece, ritenuto legittimo l’intervento del Legislatore che, per porre rimedio ad un’imperfezione tecnica della legge interpretata, aveva inteso con la legge retroattiva ristabilire una sua lettura più aderente all’originaria volontà del Legislatore.

Il ricorso va conclusivamente respinto.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in considerazione delle difficoltà interpretative dalla normativa transitoria.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione I

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

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