Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-03-2011) 26-04-2011, n. 16373 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è accusato di avere alterato la propria carta di identità cancellando la parola "non" apposta davanti alla dicitura "valida per l’espatrio". Il Tribunale di Casale M.to lo ha condannato con sentenza del 6.3.2006 e la Corte d’Appello di Torino, il 26.3.2010 ha confermato la prima decisione.

Interpone personalmente ricorso il B. sulla scorta dei seguenti motivi:

– erronea applicazione della legge penale, per avere i giudici di merito disatteso la natura di falso grossolano della cancellatura così rigettando l’ipotesi di condotta di reato impossibile;

– erronea applicazione della legge penale, per avere disatteso la richiesta di configurare il fatto ai sensi dell’art. 489 c.p.;

– eccessività della pena inflitta ed, ove possibile, conversione della pena detentiva in quella pecuniaria;
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Correttamente la Corte subalpina ha escluso la fattispecie invocata dal ricorrente, rammentando che il carabiniere, a cui il B. esibì il documento alterato, accertò la falsificazione mediante apposita indagine. Vero che egli si insospettì subito dell’apparenza documentale, ma tanto – secondo l’analitica motivazione della sentenza impugnata – più in ragione dei precedenti penali dell’imputato che per la risultanza del documento: ciò che conta, tuttavia, è che, pur essendo soggetto esperto, preferì asseverare l’impressione con un riscontro tranquillante.

Tanto esclude la natura grossolana ed innocua del mendacio, secondo la lettura costante di questa Corte, che richiede una percezione del falso da parte di quivis e populo (ovvero, ma non è questo il caso, la falsificazione non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico).

E’ generico e, quindi, inammissibile il secondo motivo, che non sviluppa alcuna argomentazione a sostegno della richiesta e della configurazione della censura mossa, a fronte di attenta motivazione sul punto della decisione impugnata.

E’, del pari, inammissibile l’ultimo motivo, che incide sulla sfera della discrezionalità del giudice avendo questi accompagnato la statuizione sanzionatoria da appropriata ed adeguata giustificazione.

Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna al pagamento delle spese del procedimento ed anche al versamento della somma a favore della Cassa per le Ammende che si ritiene equo fissare in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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