Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-03-2011) 26-04-2011, n. 16370 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Benevento, con sentenza 18.9.2007, ha ritenuto G.A. responsabile del delitto di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 17, così mutando l’originaria accusa di omicidio colposo. Ha, invece assolto R.L. dai medesimi addebiti per non avere commesso il fatto.

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza 29.10.2009, ha parzialmente riformato la prima decisione, riconoscendo a favore del G. il beneficio della non menzione della condanna ex art. 175 c.p..

La presente vicenda riguarda la sfortunata prima gravidanza di P.T..

La donna a cui il Dr. R.L. (suo nuovo ginecologo dopo l’abbandono della D.ssa L.) diagnosticò – alla 35 settimana di gestazione – una sospetta malformazione del cordone ombelicale ed un conseguente ritardo nella crescita del feto, si sottopose a nuovi controlli ecografici che confermarono la diagnosi. Quindi ella si ricoverò presso l’Ospedale civile (OMISSIS), ove il Dr. G. effettuò, in data 16.9.2001, nuovo esame ecografia) e cardiotografico, eseguito dall’ostetrica A.A., i cui esiti furono commentati positivamente dal G. (‘va bene signora, io vedo che sta tutto tranquillò, Sent. pag. 3), mentre – secondo la lettura fornita dai giudici del merito – avrebbero dovuto intendersi come infausti.

Proprio questa indebita rassicurazione concorse – secondo i giudici del merito – ad indurre la donna nel rifiutare un ricovero ospedaliero.

Poichè, nei giorni successivi, la P. non avvertì alcun movimento del feto ed, al contempo, fu affetta da dolori lombo- sacrali, ella si recò a Roma presso il Centro diagnostico "Artemisia", ove fu accertata la morte dello stesso. Secondo gli accertamenti autoptici, la morte fu cagionata per asfissia intrauterina fetale sub-acuta.

Di qui l’addebito al G. di imperizia nell’avere omesso di appurare l’effettiva patologia in atto, nonostante che gli esiti degli esami palesassero uno stato di sofferenza fetale, per l’insufficiente ossigenazione riscontrata anche dal deficit di accrescimento, circostanza che avrebbe imposto di evitare incaute espressioni di ottimismo con la paziente ed avrebbero, invece, imposto la debita informazione sull’effettivo rischio che correva il feto. Sì che sarebbe stato necessario il consiglio per un ricovero finalizzato ad un eventuale parto cesareo, anzichè il programma di mere visite ginecologiche.

La P. sporse denuncia ed il processo penale di primo grado, cadenzato dall’esame di parecchi consulenti, pervenne all’assoluzione del R. ed alla condanna del G. che, secondo i primi giudici, pur a giorno dell’intera fase della gravidanza, ebbe a sottovalutare gli esiti degli esami ospedalieri che dimostravano una evidente sofferenza del feto, così non diagnosticò l’insorgenza dell’ipossia acuta nel feto ed omise di imporre alla donna il ricovero e tacque sui rischi dell’omesso monitoraggio continuo della sua gravidanza.

Il Tribunale, come si è detto, assolse il Dr. R. e la Corte d’Appello confermò, a fronte dell’appello della parte civile, la pronuncia liberatoria, segnalando la reiterazione di istanze archiviative ed il rinvio a giudizio, sol previa "imputazione coatta", sottolineando la raccomandazione di un costante monitoraggio avendo appreso della decisione della paziente di sottoporsi ad esame presso altro medico (Sent. pag. 7).

Avverso la decisione il G. allega a sostegno del ricorso presentato dalla sua difesa:

– carenza di motivazione che si fonda su un quadro istruttorio del tutto parziale ed infedele, essendo stati pretermessi i rilievi portati con l’appello e, segnatamente:

1) che la morte del feto sopraggiunse al massimo tre giorni dopo la visita all’ospedale di Benevento, dato mai accertato con sicurezza;

2) che ha individuato la causa della mancata ossigenazione dalla presenza di una sola; arteria ombelicale, circostanza esclusa dai primi giudici;

3) l’atto di appello accennava alla circostanza che la malformazione del cordone ombelicale non fu mai ipotizzata in Benevento, ma venne erroneamente diagnosticata da chi prese in cura precedentemente la paziente;

4) la circostanza per cui l’imputato ha dichiarato di ignorare la diagnosi effettuata dai medici che avevano avuto in cura la paziente;

5) i rilievi svolti dall’appellante relativamente agli accertamenti del Pronto Soccorso di Benevento ed il commento ad essi da parte dell’appellante;

6) l’esatto peso rivestito dal rifiuto della P. di sottoporsi a nuova visita ginecologica, momento indispensabile per una precisa diagnosi, che fu impedita al medico, passaggio fondamentale su cui la sentenza tace;

– silenzio sulla ricorrenza del nesso di causalità tra l’omissione addebitata e l’evento, disamina che avrebbe imposto l’esatto accertamento della causa della morte del feto, essendo contestata quella individuata nell’ipossia, a cui sono pervenuti i consulenti del PM.;

– silenzio sulla impossibilità di qualsiasi diagnosi seria senza la conoscenza dei referti, delle diagnosi e degli esami strumentali disposti in precedenza;

– contraddittorietà della motivazione nel momento in cui la sentenza dichiara di condividere integralmente la prima decisione, ma si discosta dalle premesse della relativa conclusione, cioè che la causa del difetto di ossigenazione derivava dalla malformazione del cordone ombelicale, circostanza negata dai primi giudici; ed illogicità della motivazione poichè siffatta causa dalla malformazione in discorso, quando è dato certo (come dimostrato dalla prima decisione) che siffatta patologia fu ininfluente;

travisamento del fatto nell’avere indicato che la testimone A. non escluse la visione di pregressa documentazione, quando la testimonianza è -invece – recisa nel negare, così come travisamento si riscontra nel fissare in pochi giorni dopo la visita del G. la morte del feto, diversamente da quanto opinato dal CT del PM. – erronea applicazione della legge penale poichè la decisione di condanna deve essere assunta al di là di ogni ragionevole dubbio, ricorrendo, invece, nel caso in esame letture contraddittorie, con pareri contrastanti da parte dei consulenti avvicendatisi e non essendo certa la causa del decesso;

– mancata assunzione di prova decisiva rappresentata dalla CT. del PM., resa in altro procedimento (ma conosciuta dopo la conclusione del primo grado) sulle medesime premesse di fatto;

– inosservanza della norma processuale nel rigetto dell’eccezione di inammissibilità della costituzione di parte civile della P., avendo il procuratore speciale rinunciato alla difesa e, quindi, rinunciato alla rinuncia situazione che imponeva nuovo rilascio della procura per la rinnovazione della costituzione.

In data 25.2.2011 la difesa del G. ha depositato Memoria a sostegno del ricorso dell’imputato.

La parte civile (ricorrente avverso l’assoluzione della la posizione del R. e resistente nel resto, come è stato chiarito all’odierna udienza) eccepisce:

– l’erronea applicazione della legge penale e l’illogicità della motivazione poichè, dopo avere accertato che il nascituro era più piccolo della norma, si rendevano necessari ulteriori esami, essendo esatto quanto opinato dal CT. del PM., sicchè si profila omissiva la condotta del medico che non seguì l’approfondimento diagnostico necessario e consigliato alla paziente; aspetto che, erroneamente, è stato ritenuto dal Tribunale superato dai comportamenti successivi del G., poichè il comportamento colposo dell’affidante crea il presupposto per la responsabilità quanto all’evento dannoso e la giurisprudenza di legittimità è nel senso che l’errore colposo del medico che si succeda nella assistenza del paziente non interrompe nè esclude il nesso causale con l’evento;

– la carenza e contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova non risultando conforme alla deposizione resa al dibattimento dalla P. per cui il R., dopo aver saputo di un successivo esame da effettuarsi presso altro ospedale (flussimetria), si raccomandò che la paziente effettuasse un costante monitoraggio, quando le risultanze dell’esame effettuato imponevano l’immediato ricovero e la successiva indicazione del luogo del parto;

l’inosservanza della legge processuale per avere disposto la condanna della parte civile al pagamento delle spese processuali dell’imputato, mancandovi espressa richiesta dell’imputato.

In diritto.

Il reato è estinto per prescrizione: in tal senso si riscontra fondamento all’ultimo motivo di impugnazione dell’imputato.

Il decorso estintivo è maturato il 17.4.2010, ivi computate le cause di sospensione ex art. 159 c.p. (ed escluso – contrariamente all’opinione della decisione impugnata – l’effetto sospensivo per il periodo compreso nel termine indicato dal giudice di primo grado per il deposito della sentenza, cfr. al riguardo proprio la pronuncia segnalata dal provvedimento, Cass. Sez. 1,21 ottobre 2009, Vigna, CED Cass. 243351).

Tanto impinge decisivamente nel vaglio della posizione dell’imputato e della memoria difensiva.

Infatti, la valutatone della condotta incriminata, in questa ottica, non può che ancorarsi al parametro dettato dall’art. 129 cpv. c.p.p..

Assunto che esclude possibile contrasto, processualmente rilevante, tra diverse vicenda giudiziali, come quella rappresentata dalla presente, con lo sviluppo del contenzioso civile instaurato da D.B.R. avverso l’Ospedale beneventano ove operò il medico G. e condizionato dagli esiti della CTU del Dr. A., prodotta con la memoria difensiva (che non può essere in alcun modo condivisa laddove trascura la rilevanza di tutte le cause connesse all’evento, senza fornire maggiore peso ad alcune di esse, onde appare inane la ricerca della causa efficiente). Invero, anche alla luce delle osservazioni rilevabili in quest’ultimo atto (cfr. le osservazioni a pag. 14 e 17 dell’elaborato, sull’insufficienza della indagine ecografica praticata dal prevenuto, per una tranquillante ed attendibile diagnosi, richiedendosi piuttosto – pag. 18 – la reiterazione dell’esame a distanza di qualche minuto) è dato scorgere la possibile violazione a norme di prudenza, incompatibili con l’evidenza della prova di innocenza, pretesa dalla norma processuale penale, anche se compatibili con l’esclusione, in sede civile, della responsabilità del medico.

Ma l’assunto dianzi esposto rileva anche per un’altra ragione.

I motivi avanzati per la posizione di G., sotto l’apparente giustificazione collegata ad un’asserita mancata considerazione di argomenti dedotti con il gravame di appello, in realtà si qualificano come aderenti al fatto (così come la memoria difensiva che in larga parte replica gli esiti peritali sviluppati in sede civile), l’accusa verso i giudici di seconde cure, di patologico silenzio argomentativo è chiaramente infondata: si vedano le argomentazioni di pag. 3 e ss., che compiutamente (anche se sinteticamente, ma vi è richiamo in funzione integrativa alla motivazione del primo grado) danno riscontro della conoscenza in capo al prevenuto degli esiti diagnostici pregressi (consegnati al G., come attestato dal marito della P.), obiettivamente non favorevoli ad una fausta prognosi e che censurano la superficialità della disamina, accompagnata da rassicurazione impropria fornita alla paziente.

Osservazioni che privano di decisivo rilievo il rifiuto della donna a sottoporsi a ricovero ospitaliere, diretta conseguenza della indebita rassicurazione del medico.

E’ pure infondata la doglianza che eccepisce l’inosservanza della norma processuale nel rigetto dell’eccezione di inammissibilità della costituzione di parte civile della P. (Ordinanza 29.3.2006) avendo il procuratore speciale rinunciato alla difesa e, quindi, "rinunciato alla rinuncia" situazione che imponeva nuovo rilascio della procura per la rinnovazione della costituzione.

Essa, invero, confonde l’istituto della costituzione della parte privata con quello della sua rappresentanza nel processo penale, anche per la caratteristica immanenza della parte nel processo penale. La decisione impugnata, d’altronde, rammenta che nel periodo in cui viene eccepita la carenza di assistenza della parte, il processo non annoverò alcun atto di rilievo, onde la pratica ininfluenza della eccepita irregolarità.

Per altra parte, il ricorso censura, nella sua maggiore estensione, vizi motivazionali.

Orbene, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha affermato che nel giudizio, condizionato dalla causa di estinzione del reato, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (Cass. Sez. Un. 28 maggio 2009, Tettamanti, CED 244273). Ma tanto – per quanto si dirà subito oltre – non influenza l’attuale ricorso, poichè l’impugnazione della parte civile non è ammissibile. Pertanto, il Collegio non è qui chiamato ad esprimersi sulla fondatezza delle pretese civilistiche della parte privata, salvo che per la condanna della parte civile al pagamento delle spese processuali dell’imputato, mancandovi espressa richiesta dell’imputato.

L’impugnazione dell’imputato è, dunque, rigettata con conseguente condanna del predetto al pagamento delle spese processuali.

Il ricorso della Parte civile è, certamente, fondato nel motivo che censura la condanna del TRIBUNALE DEI DIRITTI DEL MALATO alla rifusione delle spese in favore del R., poichè, come si evince dalla norma, è sempre necessaria un’apposita istanza espressa dell’interessato al proposito.

La sentenza viene annullata sul punto e la statuizione è eliminata, mancando al riguardo ogni richiesta dell’imputato.

Nel resto l’impugnazione è inammissibile.

Innanzitutto perchè integralmente versato in fatto: essa si articola sulla consulenza tecnica redatta nella causa civile che vede contrapposti il D.B. e l’Ospedale "(OMISSIS). Un testo che invoca risultanze e valutazioni strettamente attinenti al merito delle considerazioni peritali.

Dunque, pretende una diversa lettura delle risultanze istruttorie, istanza improponibile al giudice di legittimità.

Ma l’inammissibilità dell’impugnazione si coglie, in secondo luogo, anche nell’assenza di effettiva istanza risarcitoria: il ricorso, infatti, infatti, non contiene alcun espresso e diretto riferimento agli effetti civili che vuoi conseguire, non potendosi ritenere tale riferimento implicito nella mera richiesta di verifica della responsabilità dell’imputato.

L’art. 576 c.p.p., comma 1, dispone poi che "la parte civile può proporre impugnazione … ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio". Orbene, l’impugnazione avverso una sentenza di proscioglimento, a cui la parte civile è legittimata ai sensi dell’art. 576 c.p.p., postula riferimenti specifici agli effetti (segnatamente risarcitoli) di natura civile il ricorrente intende perseguire con detto rimedio.

L’impugnazione, invero, che alluda alla mera prospettazione d’accusa, senza indicare i temi dell’istanza civile introdotta nel giudizio penale è inammissibile per carenza di specificità e per l’impropria strumentalizzazione di uno strumento a fini ad esso estranei: la modifica della statuizione penale è, infatti, riservata nel nostro ordinamento all’impugnazione della pubblica accusa.

Poichè l’azione è circoscritta al medesimo oggetto e presenta gli stessi limiti dell’azione civile che la parte privata è abilitata a compiere nel processo penale, essa può investire le sole disposizioni della decisione che attengono ai propri interessi civili.

Non sfugge al Collegio che esistono letture in parte difformi (cfr.

Cass., Sez. 5, 23 settembre 2009, Longo, CED Cass. 245392; Cass., Sez. 5, 2 luglio 2009, Ruberia, CED Cass., 244499; Cass., Sez. 5, 22 febbraio 1999, Bavetta, CED Cass. 212934, ecc), le quali invitano a desumere l’implicita istanza dal testo complessivo dell’impugnazione (ivi compresi anche il tenore dei motivi).

Ma la radicalità del caso in esame, ove – come si è detto – non è dato scorgere alcuna espressa ed effettiva istanza di soddisfazione patrimoniale, è tale da escludere effettivo contrasto, non potendosi intravvedere espressa richiesta di ordine patrimoniale sicchè è consentita la dichiarazione dell’inammissibilità della presente impugnazione, soprattutto tenendo conto non soltanto dell’inequivoca lettera dell’art. 576 c.p.p., comma 1 (ai soli effetti della responsabilità civile), della natura derogatoria sul punto della cognizione del giudice penale e del delicato equilibrio creato dal legislatore del codice di rito, in tema di (assai più ridotta che in passato) accessorietà dell’azione civile a quella penale.

Quella qui avanzata concreta, senza dubbio alcuno, una impropria richiesta di delibazione su effetti penali estranei alle facoltà conferite dalla legge alla parte civile (cfr. in questo senso: Cass. Sez. 5, 30.11.2005 n. 9374/06, Princiotta, rv. 233888; Cass. Sez. 3, 23.5.2007 n. 35224, P.C. in proc. Guerini, rv. 237399; Cass. Sez. 2, 20.5.2008 n. 25525, Gattuso, rv. 240646, ecc.)
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per G.A. perchè il reato è estinto per prescrizione;

rigetta il ricorso del G. agli effetti civili e lo condanna a rifondere le spese sostenute dalla parte civile P., che liquida in 2.000,00, oltre ad accessori come per legge; annulla la sentenza impugnata limitatamente alla condanna della parte civile TRIBUNALE DEI DIRITTI DEL MALATO alla rifusione delle spese in favore di R.L., disposizione che elimina; dichiara nel resto inammissibile il ricorso di detta parte civile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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