T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 22-04-2011, n. 1036 Mansioni e funzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il ricorrente presta servizio presso il Comune di Milano in qualità di agente di Polizia Locale.

In data 4 febbraio 1998, il Sindaco del predetto Comune inoltrava alla Prefettura della Provincia di Milano istanza volta ad ottenere il riconoscimento, in favore del ricorrente, della qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza. La richiesta veniva respinta con provvedimento del 28 maggio 1998.

Il diniego è stato motivato in ragione del carattere ostativo di una pregressa condanna, a pena patteggiata, pronunciata dal Pretore di Milano a carico dell’interessato per il reato di lesioni personali previsto e punito dall’art. 582 c.p.

Il ricorrente, dopo aver osservato che il mancato riconoscimento della qualifica di P.S. comporta negative ripercussioni sulla retribuzione e sullo sviluppo della propria carriera, censura il decreto impugnato deducendo che la sentenza a pena patteggiata non ha natura di sentenza di condanna non presuppone l’accertamento della colpevolezza e non potrebbe pertanto impedire la concessione della qualifica di agente di P.S., né costituire valido supporto motivazionale del relativo diniego di riconoscimento.

Il Ministero intimato si è costituito in giudizio per eccepire la tardività e l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza n. 247 del 15 febbraio 2007 è stata respinta la domanda cautelare.

All’udienza il ricorso è stato trattenuto in decisione dal Collegio.

2) E" infondata l’eccezione di tardività del ricorso. Essa si basa sulla deduzione che l’impugnazione concerne un provvedimento adottato in data risalente (28 maggio 1998), rispetto alla notifica del ricorso.

In proposito va tuttavia osservato che il decreto impugnato non è stato notificato, né comunicato al ricorrente.

Ciò posto, secondo un preciso e consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, ai fini della verifica della fondatezza dell’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, la parte che la eccepisce deve fornire rigorosi riscontri in ordine alla conoscenza dell’atto gravato in tempi antecedenti al termine decadenziale di impugnazione, dovendo, in particolare, dare prova della tardività dell’impugnazione sub specie di una piena conoscenza dell’atto gravato secondo il dato normativo recato dall’art. 21 della legge n. 1043 del 1971 e, ora, dall’art. 41 c.p.a. Nella specie, non può dirsi che a un siffatto onere probatorio sia stato dato adeguato adempimento, tenuto conto che non vengono offerte circostanze di tempo e di luogo tali da evidenziare l’avvenuta conoscenza in capo al ricorrente in tempi antecedenti al periodo utile per l’impugnazione.

3) Nel merito il ricorso è comunque infondato per le seguenti considerazioni.

I requisiti necessari per il riconoscimento della qualifica di agente di pubblica sicurezza in favore degli appartenenti alla Polizia Locale sono stabiliti nell’art. 5, comma 2, della legge 7 marzo 1986 n. 65, laddove, alla lettera b), è fra l’altro previsto il "non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo…".

Al riguardo, quindi, ai sensi del suddetto articolo 5, comma 1, legge n. 65 del 1986, l’attribuzione delle funzioni di pubblica sicurezza al personale addetto alla polizia municipale è subordinata al mero accertamento dei requisiti tassativamente indicati dalla legge, tra i quali, per quanto qui rileva, quello di "non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo". In presenza di siffatta condanna il Prefetto è tenuto a negare il riconoscimento della qualifica, giacché i requisiti previsti dalla suindicata norma hanno carattere indefettibile (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27 luglio 1998 n. 1100).

Di conseguenza il conferimento da parte dell’autorità prefettizia della relativa qualità di agente di p.s., così come la perdita di detta qualità, costituiscono atti di natura vincolata privi di qualsiasi margine di discrezionalità (Consiglio Stato, sez. VI, 31 gennaio 2006, n. 309; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 21 dicembre 2005, n. 8869; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 26 febbraio 1998, n. 70; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 17 luglio 1995, n. 264).

Ciò premesso, occorre adesso verificare se una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti possa essere ricondotta alla nozione di sentenza di condanna, richiamata dalla norma citata e sia, pertanto, idonea a integrare la previsione ostativa alla attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza.

Come sopra ricordato, la fattispecie si caratterizza per l’assenza di qualsivoglia contenuto autonomamente valutativo. Ne deriva che all’atto rimanga pertanto estraneo il presupposto della responsabilità o della colpevolezza dell’interessato, consentendo che l’equiparazione fra sentenza di "patteggiamento" e ordinaria pronuncia di condanna, enunciata dall’art. 445 c.p.p., possa trovare attuazione senza pregiudizio dei contrari principi richiamati dal ricorrente (cfr. TAR Liguria, sez. II, 9 gennaio 2007 n. 5).

In altri termini, anche a voler ammettere che all’applicazione della pena su richiesta non possa attribuirsi rilievo sotto il profilo dell’accertamento di responsabilità (ossia anche a prescindere dal rilievo che essa comunque conclude una fase processuale in cui l’accertamento del fatto deriva dalla contestazione del reato collegata alla volontà dell’imputato che, lungi dal contrastare tale contestazione, ne accetta le conseguenze sul piano penale), non per questo essa cessa di costituire elemento ostativo al possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, il cui presupposto non è l’accertamento di una condotta penalmente rilevante sottesa alla condanna, ma la condanna in sé. In tale prospettiva, che non vede implicati giudizi di valore, non si giustifica infatti un trattamento differenziato della condanna "patteggiata" e di quella dibattimentale, nell’uno e nell’altro caso realizzandosi quel medesimo momento sanzionatorio al quale, in definitiva, il legislatore annette automatica valenza impeditiva all’acquisto della qualifica in questione, a prescindere dal concreto accertamento dei fatti, che rimane confinato in un ambito pregresso, e comunque a prescindere dal contegno generalmente tenuto dall’interessato nell’assolvimento del servizio. Né le considerazioni appena svolte contrastano con l’affermazione, pure contenuta nell’art. 445 c.p.p., secondo cui la sentenza di "patteggiamento" non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi, posto che, nel presente giudizio, la condanna riportata dal ricorrente non fa stato circa la responsabilità dell’interessato, ma assurge a mero presupposto storico del provvedimento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 1999, n. 1052).

Il ricorrente è stato condannato dal Pretore di Milano alla pena di quaranta giorni di reclusione quale autore del reato previsto e punito dall’articolo 582 c.p. Tale circostanza, con tutta evidenza, comporta la perdita dei requisiti soggettivi previsti dalla disposizione sopra richiamata.

In proposito, va poi considerato che, nella vicenda in esame, il ricorrente ha incentrato le proprie argomentazioni difensive sulla pretesa non assimilabilità tra la sentenza "patteggiata" e quella di condanna, ma non ha in alcun modo offerto elementi tali da escludere o rendere dubbia la propria responsabilità in ordine al reato per il quale ha prestato consenso al patteggiamento.

4) Sulla base delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando,

respinge il ricorso, come in epigrafe proposto,

compensa le spese tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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