T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 22-04-2011, n. 674 Contratti e convenzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. All’inizio del 2008 A.I. S.r.l. acquistò ad Arcole (Verona), un complesso immobiliare, costituito da una palazzina ad uso abitazione uffici ed esposizione, e da un capannone artigianale con area di pertinenza; compendio per il quale, ex art. 5 della l.r. 23/1999, vigeva, in variante al piano regolatore generale, un Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica, Edilizia ed Ambientale (P.I.R.U.E.A.).

1.2. Tale programma prevedeva la trasformazione dell’ambito d’intervento da industriale a residenziale e, così, la realizzazione di abitazioni di volume complessivo pari a m³ 14.232, con spazi interrati accessori di m³ 2.290, come espressamente indicato nell’art. 22 della relativa convenzione urbanistica.

1.3. Il piano era stato a suo tempo approvato con la d.g.r. 4 luglio 2006 n. 2128, mentre, con successiva deliberazione 18 giugno 2007, n. 85, il commissario straordinario del Comune aveva prorogato fino al 9 giugno 2008, in favore del precedente proprietario, il termine per la stipulazione della relativa convenzione d’attuazione che questi avrebbe dovuto osservare.

1.4. Acquistato l’immobile, A. ottenne (deliberazione 3 aprile 2008, n. 92, del nuovo commissario straordinario) un’ulteriore proroga dello stesso termine fino al 31 dicembre 2008, sia per proporre alcune modifiche al progetto, sia, comunque, per depositare la documentazione necessaria alla stipulazione della convenzione.

1.5. Nel maggio 2008 fu eletta la nuova amministrazione, la quale avviò i procedimenti per l’annullamento sia dei due provvedimenti di proroga, sia dello stesso P.I.R.U.E.A., e, nei mesi seguenti, si svolse tra il Comune ed AR.CO una trattativa per liberare le parti dai loro obblighi, peraltro senza esito.

Nel frattempo, infatti, il consiglio comunale fu nuovamente sciolto, e sostituito da un nuovo commissario straordinario, che A. convocò per il 29 dicembre 2008, per stipulare la convenzione davanti al notaio incaricato: ma il rappresentante dell’Ente non si presentò, per le ragioni comunicate lo stesso giorno dal responsabile dell’Ufficio tecnico comunale (v. ultra).

1.6. La A. sollecitò poi nuovamente il Comune a stipulare la convenzione, dapprima con lettera datata 27 gennaio 2009, e quindi con l’atto di diffida notificato il successivo 12 marzo, dove fissava per la stipulazione il 30 marzo: ma, anche questa volta, l’Amministrazione non intervenne (lettera 26 marzo 2009).

1.7. Nominata poi una nuova amministrazione, le trattative ripresero, senza che tuttavia si giungesse ad una proposta di variante al PIRUEA soddisfacente per entrambe le parti: anzi, con la comunicazione 6 marzo 2010, il Comune avviò nuovamente un procedimento finalizzato alla valutazione dell’interesse alla realizzazione del piano ed alla sua eventuale revoca.

1.8. A ciò è seguito il ricorso in esame, con il quale A. chiede sia accertato l’obbligo del Comune di sottoscrivere la convenzione attuativa, la conseguente illegittimità del rifiuto opposto e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno per equivalente.

Si è costituito in giudizio il Comune, concludendo per la reiezione di tutte le pretese fatte valere dall’interessata.

2. A fondamento della sua pretesa la ricorrente pone essenzialmente la violazione dell’art. 97 della Costituzione, dell’art. 1 della L. 241/90, e dei principi di buona fede e di correttezza.

2.1. Anzitutto, il principio di buona amministrazione sarebbe violato dal rifiuto comunale di dare attuazione ad un piano urbanistico attuativo già approvato e reso esecutivo dalla giunta regionale, previo accertamento della sussistenza del pubblico interesse alla sua realizzazione, come espressamente prevede l’art. 5, I comma, della l.r. 23/1999: interesse che, in specie, sarebbe assicurato dalla previsione di una consistente utilità per il Comune, costituita dal valore corrispondente al 55% dell’utile programmato dal soggetto attuatore, pari ad Euro 509.146,00.

Ora, il Comune, secondo parte ricorrente, non avrebbe completato il procedimento per l’esecuzione del p.u.a. già approvato "senza addurre alcuna fondata ragione di pubblico interesse, e rifiutando ogni proposta di collaborazione con la società interessata": in tal modo avrebbe però danneggiato sia quest’ultima che il proprio patrimonio, privandosi di utilità rilevanti.

2.2. Infine, il rifiuto opposto alla richiesta di stipulazione della convenzione violerebbe anche le regole di correttezza e di buona fede, ex art. 1175 c.c., cui l’azione amministrativa dovrebbe costantemente ispirarsi; sarebbe altresì contestualmente violata anche "la regola dell’affidamento sull’esito finale del procedimento al quale la società ricorrente era stata indotta dagli atti, comunali e regionali, di approvazione del PIRUEA".

3.1. Ciò posto, la ricorrente specifica il contenuto della domanda risarcitoria, procedendo dalla considerazione che il comportamento dell’Amministrazione comunale di Arcole sarebbe "lesivo dell’interesse legittimo pretensivo alla stipulazione della convenzione, in conseguenza del mancato esercizio di una facoltà" cioè, è da ritenere, quella di sottoscrivere la convenzione, resa tuttavia "obbligatoria dall’intervenuta approvazione di atti presupposti in precedenza adottati".

3.2. Per quanto concerne il danno emergente, questo sarebbe costituito "dalle spese sostenute dalla società ricorrente per gli oneri finanziari del mutuo ipotecario stipulato per l’acquisto del complesso immobiliare, esclusivamente in vista della successiva realizzazione del PIRUEA, e che ammonterebbero ad Euro 76.570,00, limitatamente al periodo 31 marzo – 31 dicembre 2009.

A tali importi andrebbero aggiunte le spese di progettazione fatturate (Euro 25.500,00), quelle, pari a Euro 48.593,00 per le proposte di variante elaborate e sottoposte alla valutazione del sindaco, quelle di assistenza legale nel corso delle trattative intercorse, per Euro 10.217,02, e quelle di assistenza fiscale (Euro 17.420,00), quelle notarili – Euro 1.500,00 – e quelle per il rilascio della fideiussione (Euro 4.150,00)

Complessivamente, dunque, la domanda risarcitoria per il danno emergente è quantificata in Euro 183.950,00.

3.3. Il lucro cessante, poi, viene individuato nel "mancato utile causato dall’impedita realizzazione del PIRUEA".

Tale utile, per vero, sarebbe già determinato negli atti di approvazione del piano, nel cui schema di convenzione si precisa che l’utile previsto a favore della società attuatrice è pari al 45% della somma di Euro 925.720,00, corrispondente ad Euro 416.574,00.

3.4. Nel complesso, il danno cagionato dal Comune di Arcole alla A. andrebbe complessivamente determinato in Euro 600.524,00, cui dovrebbero assommarsi gli interessi legali e l’ulteriore danno conseguente alla svalutazione della moneta.

4.1.1. La prima eccezione, sollevata dal Comune resistente, è di inammissibilità del ricorso per asserita violazione del principio del ne bis in idem, in quanto la ricorrente avrebbe già proposto un analogo giudizio innanzi a questo giudice, introdotto con il ricorso n. 994/09.

4.1.2. Orbene, non è controverso tra le parti che A. abbia già proposto un ricorso, ai sensi del previgente art. 21 bis della l. 1034/71, in cui ha chiesto l’accertamento dell’obbligo del Comune di Arsole di sottoscrivere la convenzione urbanistica per l’attuazione del P.I.R.U.E.A., la condanna del Comune alla stipulazione della convenzione, la nomina di un commissario ad acta perché provveda alla sottoscrizione della convenzione in sostituzione dell’Amministrazione, nonché il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata stipulazione della convenzione.

Il ricorso è stato peraltro poi rinunciato, sia pure informalmente, e la Sezione lo ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con la sentenza 3633/09.

4.2.1. Orbene, non è revocabile in dubbio che il principio del ne bis in idem sia applicabile anche al processo amministrativo (cfr. C.d.S., IV, 18 marzo 2008, n. 1153).

4.2.2. Questo tuttavia presuppone, oltre all’identità nei due giudizi, delle parti in causa e degli elementi identificativi dell’azione proposta, anche, ex art. 2909 c.c. ed art. 324 c.p.c., un accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato formale; e, dunque, una pronuncia sulle posizioni sostanziali dedotte in giudizio, il che non si è evidentemente verificato nella fattispecie, dove il giudice si è limitato a dare atto che è appunto venuta meno la volontà di ottenere una pronuncia sostanziale.

4.3.1. È stata inoltre eccepita anche l’irricevibilità, ovvero l’inammissibilità del ricorso, per la parte in cui si chiede di accertare l’illegittimità del rifiuto opposto alla stipulazione della convenzione urbanistica.

Tale domanda, tuttavia, secondo il Comune, avrebbe dovuto essere proposta nell’ordinario termine di decadenza, decorrente dalla conoscenza degli atti e delle comunicazioni, inviati alla ricorrente dal Comune, e nei quali l’Ente esprime il proprio rifiuto alla sottoscrizione e le relative giustificazioni

4.3.2. Rispetto a tali manifestazioni di volontà, invero, A. non farebbe valere un diritto soggettivo, quanto invece un interesse legittimo, inerente l’attività discrezionale dell’Amministrazione, la quale ha evidenziato una serie di circostanze, le quali avrebbero impedito la sottoscrizione della convenzione. Queste sarebbero in parte imputabili alla ricorrente, ed in parte riconducibili a valutazioni in ordine alle proroghe concesse, ai termini scaduti, ed all’opportunità di proporre nuovi termini: elementi, questi ultimi che rientrerebbero nelle valutazioni discrezionali dell’Amministrazione.

4.3.3. L’eccezione è infondata.

Invero, una volta approvato lo strumento attuativo, e, con questo, anche la relativa convenzione, si è evidentemente esaurita la fase pubblicistica della procedura, e il Comune non ha alcuna potestà discrezionale di sottoscrivere o meno la convenzione, ma è tenuta a farlo, purché siano presenti tutte le condizioni stabilite dagli stessi atti del piano approvato, salvo procedere – ove ne esistano i presupposti – al ritiro del provvedimento amministrativo di approvazione del piano medesimo, ciò che peraltro non s’è qui verificato.

4.3.4. La controversia, che appartiene alla giurisdizione esclusiva di questo giudice, concerne posizioni di diritto soggettivo: e le comunicazioni successivamente inviate dall’Amministrazione non hanno contenuto provvedimentale e non dovevano pertanto essere gravate nel termine decadenziale.

5.1. La precedente considerazione conduce a quello che è, nonostante l’estrema diffusione delle difese comunali, il thema decidendum della causa: se la ricorrente, quando convocò il Comune per la sottoscrizione, avesse interamente e tempestivamente adempiuto alle sue obbligazioni, quali previste dal piano, sì da far sorgere per l’Ente l’obbligo di sottoscrivere l’intesa.

5.2. È utile premettere come il piano di riqualificazione, come già accennato, fu definitivamente approvato con d.g.r. 4 luglio 2006, n. 2128.

5.2.1. Anzitutto, l’art. 1 dello schema di convenzione prevedeva che la convenzione fosse stipulata entro 10 mesi dall’intervenuta efficacia del PIRUEA, e quindi, in origine, entro il 9 giugno 2007.

5.2.2. Ancora, l’art. 3 disponeva che, in alternativa alla cessione dell’area minima necessaria per le opere di urbanizzazione secondaria, il proponente versasse, prima della stipula della convenzione, la somma di Euro 74.800,00.

5.2.3. L’art. 4, poi, pattuiva la realizzazione, a carico del proponente, d’una serie di opere di urbanizzazione primaria, per le quali il successivo art. 13 prevedeva la stipulazione di tre polizze fideiussorie, a garanzia degli obblighi assunti nei confronti del Comune, mentre l’art. 6 disponeva che lo stesso proponente si impegnasse ad iniziare le opere entro 12 mesi dalla data di efficacia del piano, ed a terminarle entro 12 mesi dalla data di inizio, salvo proroga che avrebbe dovuto essere concessa dal consiglio comunale per un periodo non superiore ad un anno (e che, in concreto non fu mai concessa).

5.2.4. Gli artt. 23 e 24, infine, definivano il beneficio pubblico per il Comune di Arcole, costituito dalla cessione di unità immobiliari a destinazione residenziale per una superficie pari a m² 200, la cessione della tensostruttura esisterne sull’area, nonché la corresponsione della somma di Euro 250.000,00 per realizzare un parco urbano.

5.3. Come già ricordato sub Par. 1, il termine per la stipulazione della convenzione fu consensualmente prorogato due volte, fino alla fine del 2008, anche se il Comune, con atto 14 luglio 2008, prot. u. 9245, aveva avviato un procedimento per la revoca di tali proroghe, rimasto comunque senza effetto, anche perché contemporaneamente veniva ricercato un accordo transattivo.

L’insuccesso di questo tentativo si palesò quando, il 19 dicembre, il notaio di fiducia della A. inviò al Comune una comunicazione, con la quale richiedeva l’inoltro di numerosi documenti per stipulare la convenzione urbanistica, fissando unilateralmente al seguente giorno 29 la data per la sottoscrizione.

5.4. L’Amministrazione fornì con la successiva comunicazione dirigenziale 29 dicembre 2008, n. 16730, le ragioni per le quali non si sarebbe presentata e cioè che:

a) veniva richiesto il deposito di una cospicua documentazione entro il 22 dicembre 2008, termine che, per la sua esiguità, non era stato possibile osservare;

b) nella propria comunicazione il notaio aveva espresso riserve, non meglio precisate, e comunque non giustificate, sull’art. 23 dello schema di convenzione, il quale prevedeva la retrocessione del beneficio economico in termini di realizzazione e cessione di superficie residenziale e di cessione di una tensostruttura prefabbricata;

c) alcuni termini stabiliti nello schema di convenzione, e mai prorogati, erano scaduti e cioè: la data di inizio e di ultimazione dei lavori indicata all’art. 6 (sopra sub 5.2.3.) quella di consegna della tensostruttura, di cui all’art. 23 della convenzione; il pagamento del 70% del beneficio economico per il Comune, previsto dall’art. 24, il quale doveva essere versato entro l’inizio dei lavori;

d) non era stato ancora versato l’importo di Euro 74.800, corrispondente agli oneri di urbanizzazione secondaria previsti dall’art. 3 dello schema di convenzione (sub 5.2.2.);

e) non risultavano ancora rilasciate le polizze fideiussorie previste dall’art. 13 della convenzione.

5.5. Qualche mese dopo, il 17 marzo 2009, la AR.CO diffidò nuovamente il Comune a sottoscrivere la convenzione, questa volta per il 30 marzo.

Il nuovo conseguente rifiuto del Comune (26 marzo 2009) non ebbe un contenuto molto differente dal precedente, limitandosi a rimarcare che tutti i termini prescritti erano comunque scaduti al 31 dicembre 2008 e, così, quelli appena sopra indicati al punto c).

5.6. Fu così proposto il ricorso ex art. 21 bis l. 1034/71, cui si è sopra accennato, e che è stato definito da una pronuncia d’improcedibilità, dopo la sostanziale rinuncia della ricorrente, cui sono seguite nuove trattative, ancora una volta senza esito, anche per la presentazione del ricorso in esame.

6.1. Vi è dunque da stabilire se il Comune di Arcore, rifiutandosi di sottoscrivere la convenzione de qua, abbia violato specifiche obbligazioni su di esso gravanti, ovvero comunque il generale obbligo di correttezza e di buona fede ( artt. 1175 e 1375 c.c.).

6.2.1. Orbene, ritiene il Collegio che, in effetti, le giustificazioni addotte dall’Amministrazione per non stipulare il 29 dicembre 2008 la convenzione, e sopra compendiate sub 5.4. non si possano ritenere pretestuose: esse, viceversa, conseguono effettivamente ad un inadempimento delle obbligazioni gravanti sul proponente per effetto del piano approvato.

6.2.2. Né si può affermare che, nelle concrete circostanze, il rifiuto di sottoscrizione fosse contrario alla buona fede, giacché l’ampiezza e la varietà delle prestazioni inosservate esclude che queste possano qualificarsi come di scarsa importanza per l’interesse del Comune.

6.2.3. D’altra parte, non risulta che A. abbia dimostrato, anche in sede giudiziale, di aver fatto adeguata offerta di tali prestazioni in termine utile per la scadenza del 31 dicembre 2008, superata la quale è venuta meno la proroga prevista, conseguendone così, per entrambe le parti, la persistenza dell’obbligo di realizzare lo strumento attuativo, senza che sia peraltro possibile individuare un soggetto inadempiente e responsabile, tenuto pertanto ad un risarcimento per equivalente.

6.3.1. La vicenda si connota palesemente per dilazioni, ritardi e tentativi falliti di definizione bonaria che non possono essere imputati soltanto ad una parte.

6.3.2. Sebbene i reiterati scioglimenti anticipati del consiglio comunale, con la relativa surroga dei successivi commissari straordinari, abbia certamente sfavorito una celere soluzione della vertenza, si può egualmente desumere dalla documentazione in atti che la A., dopo essersi inizialmente avvantaggiata di questa stessa incerta situazione del Comune, per procrastinare l’attuazione dello strumento (forse più onerosa di quanto inizialmente ritenuto), ha poi operato per definire gli impegni assunti, se non con profitto, almeno recuperando quanto anticipato, senza aggravarne ulteriormente la misura.

Peraltro, così facendo, se ha certamente operato con giustificabile prudenza, ha però d’altra parte concorso a determinare una situazione, nella quale l’Ente ha trovato legittima giustificazione della sua condotta.

6.4.1.Il Comune di Arcole non può dunque ritenersi responsabile perché la convenzione non è stata sottoscritta il 31 dicembre 2008, mentre, per il periodo successivo, scaduta la seconda proroga, l’assenza di responsabilità è fuori discussione.

6.4.2. In realtà, sin dalla richiesta proroga (e certamente anche dopo la sua scadenza) la condotta di entrambe le parti è stata precipuamente improntata a superare il preesistente piano, e ciò non si concilia con la domanda risarcitoria qui proposta, la quale invece presupporrebbe che la A. avesse costantemente operato senza riserve per la piena ed integrale osservanza di tutte le previsioni del piano.

7. In conclusione le domande di accertamento e condanna vanno respinte.

Tuttavia, la controversia trova la sua indubbia causa oggettiva anche nella condotta incerta tenuta dall’Amministrazione comunale, la quale non si è adeguatamente attivata per dare soluzione certa in tempi celeri alla vertenza: sicché le spese di lite possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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