Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-03-2011) 26-04-2011, n. 16367

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto in data 24.3.2009, si dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.C., C.G. e C.M. in ordine all’imputazione dei reati di lesioni, ingiuria e minaccia, contestati come commessi in (OMISSIS) dall’ (OMISSIS) in danno di C.E. facendola percuotere e raggiungere da telefonate minacciose ad opera di soggetti ignoti, per essere detti reati estinti per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili della decisione di primo grado.

Le ricorrenti deducono:

1. mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata assoluzione delle imputate ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.;

2. mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla prova del danno ai fini della commisurazione della provvisionale.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla mancata assoluzione delle imputate ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., è infondato.

Le ricorrenti denunciano l’omessa valutazione, nella sentenza impugnata, della posizione antagonistica, rispetto alle C., della C. e del di lei compagno C.C., sulle cui dichiarazioni si fondava il giudizio, per la relazione intrattenuta dalla C. con il C., marito di C.M., e per il rapporto debitorio esistente fra il C. e C. C., delle contraddizioni fra le dichiarazioni della C. e quelle del C. su chi fra essi avesse ricevuto le telefonate pervenute dopo l’aggressione, delle risultanze dei tabulati sulla partenza delle telefonate minatorie annotate sul taccuino della C. da utenze diverse da quelle delle imputate e delle cabine telefoniche site nei pressi dell’abitazione di queste ultime e sulla mancata registrazione di telefonate in entrata sull’utenza della C. nella giornata del (OMISSIS), nella quale la predetta riferiva di aver ricevuto telefonate minatorie, e della mancanza di elementi dimostrativi del coinvolgimento nella vicenda di C. M.; nonchè l’illogicità dell’utilizzazione, ai fini della decisione, delle dichiarazioni dei testi C.A. e G. A. in merito a persone che le imputate avrebbero pagato per far aggredire la C., costituite da riferimenti vaghi che riportavano dicerie e tradivano malanimo verso le imputate, e provenienti da persone legate da rapporti di parentela con il C. e la C..

Le censure del ricorrente non scalfiscono tuttavia sostanzialmente la congruenza della motivazione della sentenza impugnata. Gli elementi indicati nella stessa come significativi a carico delle imputate, segnatamente individuati nella telefonata che raggiungeva la parte offesa dopo l’aggressione, in cui l’espressione "Hai visto? Così impari" veniva attribuita dal C. alla voce della cognata C.G., nell’ammissione da parte delle sorelle C. di aver effettuato le ulteriori telefonate ricevute dalla C. e nella cessazione dei contatti telefonici dal momento in cui il C. e la C. interrompevano la loro relazione, devono invero essere integrati con quelli già posti in rilievo nella richiamata decisione di primo grado con riferimento all’affermazione della C. di aver udito gli aggressori dire che "così imparava a lasciar stare i mariti delle altre" ed al riscontro proveniente dalla constatazione delle lesioni di cui al referto. Il quadro argomentativo che ne deriva risulta coerente e privo di manifesti vizi logici sia nel giudizio di precisione ed attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa che in quello di conferma delle stesse in dati di riscontro estrinseco; e consente di ritenere implicitamente disattese le contrarie deduzioni difensive, rispetto alle quali non si ravvisa pertanto alcuna rilevante lacuna motivazionale.

2. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, relativo alla prova del danno ai fini della commisurazione della provvisionale.

Le ricorrenti rilevano che i giudici di merito individuavano il danno accertato in un pregiudizio morale senza indicare gli elementi a sostegno di questa conclusione, e che la Corte d’Appello, pur riducendo l’ammontare della provvisionale rispetto a quanto disposto in primo grado, lo determinava nella misura di Euro 8.000, sproporzionata ed arbitraria a fronte dei consueti criteri di liquidazione.

Posto che la decisione di primo grado riferiva l’importo della provvisionale liquidata al pretium doloris relativo alla lesione di una valore inerente la persona, e che la determinazione della somma assegnata a titolo di provvisionale è riservata insindacabilmente al giudice di merito, il quale non ha obbligo di espressa motivazione laddove l’importo rientri nei limiti del danno prevedibile (Sez. 6, n. 49877 dell’11.11.2009, imp. Blancaflor, Rv. 245701), la provvisionale liquidata nel caso in esame non presenta manifesta sproporzione rispetto alle prospettabili conseguenze di natura morale delle lesioni, delle ingiurie e delle minacce contestate; la relativa motivazione in termini di corrispondenza rispetto al danno indicato non presenta pertanto carenze rilevabili in questa sede.

Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna delle ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese della parte civile relative al presente grado, che avuto riguardo all’impegno processuale si liquidano in Euro 2.400,00 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè solidalmente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.400 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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