Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-03-2011) 26-04-2011, n. 16295

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria, investito ex art. 309 cod. proc. pen. dalla richiesta di riesame dell’indagata G.T., ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari che in data 24.5.2010 aveva applicato alla ricorrente la custodia cautelare in carcere per associazione di stampo mafioso, estorsioni e, per quanto interessa segnatamente in questa sede, per il delitto di cui all’art. 371-ter cod. pen..

2. Ha proposto ricorso l’indagata a mezzo del difensore avvocato Vincenzo Minasi, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.

Va premesso che il ricorso prospetta motivi che solo in parte possono essere riferiti alla posizione di G.T., giacchè risulta (impropriamente) proposto con unico atto anche a nome di G. C. la cui posizione è stata però disgiuntamente decisa dal Tribunale del riesame e in relazione al quale, a seguito di decisione in altra udienza del ricorso separatamente proposto, l’avvocato Minasi ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse.

2.1. Relativi alla posizione di G.T. sono i primi tre motivi, che parrebbero prospettare questioni generali, denunziando l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sotto i profili:

2.1.1. della violazione degli artt. 191, 192 e 273 cod. proc. pen. e dei vizi della motivazione con riguardo alla giustificazione che sorregge "la valutazione delle intercettazioni e la loro apprensione"; si sostiene, in particolare, che la ripulitura dai rumori di sottofondo delle intercettazioni effettuate presso le sale colloqui dei carceri aveva alterato il contesto dei dialoghi e la valenza dei toni e dei modi espressivi; i dialoghi intercettati andavano inoltre considerati per lo più dichiarazioni indirette, giacchè i detenuti intercettati si trovavano in carcere dai primi anni 90 e riferivano quindi notizie o conoscenze acquisite tramite terze persone;

2.1.2. della violazione degli art. 270 e 191 cod. proc. pen. e dei vizi di motivazione, in relazione al fatto che l’attività di intercettazione era stata effettuata nei confronti degli indagati in quanto soggetti già imputati nell’ambito di altri procedimenti ed era stata illegittimamente acquisita al presente procedimento, la previsione dell’art. 270 c.p.p. non potendo che riferirsi ad intercettazioni avvenute "nell’ambito di procedimenti diversi e, ovviamente, tra soggetti diversi rispetto a quelli già indagati-; le intercettazioni così acquisite costituivano peraltro, sostanzialmente, la prosecuzione, effettuata in altro processo, delle intercettazioni disposte in questo nei confronti dei medesimi indagati e in relazione alle quali il giudice per le indagini preliminari aveva negato ulteriori proroghe; l’acquisizione ex art. 270, rappresentava insomma una sorta di elusione del rifiuto di proroga;

2.1.3. della violazione degli artt. 191 e 271 c.p.p., in relazione alla anomalia segnalata dallo stesso giudice per le indagini preliminari a pagina 47 dell’ordinanza di custodia cautelare, laddove rilevava che le operazioni di intercettazione con video ripresa non potevano che essere effettuate per mezzo di impianti allocati in ambienti limitrofi alle sale colloqui dei carceri; impropriamente (parrebbe di capire) il giudice avendo così ritenuto la "inesigibilità della richiesta" e la "superfluità della motivazione dei decreti afferenti le intercettazioni" anche per quelli relativi a conversazioni telefoniche che, per i detenuti, non potevano essere registrati se non previo rispetto della procedura prevista per le intercettazioni ovvero a seguito dell’autorizzazione del magistrato di sorveglianza; per altro verso, e comunque, perchè non aveva alcun fondamento il giudizio di non idoneità degli impianti installati presso la procura, vuoi perchè di tale inidoneità si sarebbe dovuto adeguatamente e motivatamente giustificare le ragioni, vuoi perchè il giudice non può sostituirsi al Pubblico ministero per colmare le lacune relative alla mancanza di specifici decreti o di motivazione adeguata con uno motivazione postuma che le sezioni unite hanno sempre ritenuto illegittima; infine perchè detta valutazione si fondava su cognizioni tecniche evidentemente inattuali e ampiamente superate dall’evoluzione tecnologica, nulla potendo impedire nelle situazioni considerate il collegamento degli impianti in loco con quelli presso la procura ed eventualmente la remotizzazione dei soli ascolti; infine, perchè le trascrizioni delle conversazioni mostravano una serie impressionante di vizi che rendevano assolutamente incerto e del tutto opinabile il loro significato complessivo.

2.2. Con il quinto motivo, l’unico segnatamente riferibile alla ricorrente, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. e dell’art. 371-ter cod. pen..

Afferma che i giudici del merito avevano sostenuto che Sa.

G. si era prestato a rendere false dichiarazioni per favorire G.G. nel giudizio di revisione della condanna all’ergastolo, senza considerare: che la circostanza che G. G. mostrasse di conoscere ciò che i collaboratori di giustizia avrebbe dichiarato, trovava spiegazione legittima nel fatto che il condannato fin da quando era stato accusato e dopo la condanna non aveva mai cessato di protestare la sua innocenza e di parlare della sua vicenda ai compagni di detenzione, tra i quali vi erano certamente anche amici di C.F. che avevano conoscenza del fatto diretta o per sentito dire; che tra le persone con le quali più volte G. si era lamentato vi era anche S.S., con lui detenuto e che, per i rapporti diretti e indiretti tenuti con C.F., aveva appreso da questo che in effetti G. era innocente; che i S., amici dei C., ben sapevano dunque la verità.

Quanto alla frase di Gr.Sa. al fratello S., il riferimento a T. ben poteva intendersi alla moglie di V., fratello di Ga., o che il colloquio era per T. e non da T.; in ogni caso Ga. era collaboratore di giustizia sottoposto agli arresti domiciliari e si muoveva esclusivamente con la scorta, era perciò impossibile che potesse essersi recato altrove sfuggendo a controlli e senza ottenere alcuna autorizzazione, tanto più risultando che nei giorni 14 e 15 marzo egli si trovava sicuramente (OMISSIS) perchè doveva comparire davanti al Corte d’appello per rendere dichiarazioni.

Erano del pari giustificabili con il periodo di detenzione in comune le dichiarazioni che il collaboratore M.S. avrebbe dovuto rendere per la revisione del processo: anche con lui G. si era lamentato della sua innocenza ed egli aveva saputo dal fratello S. che ciò era vero perchè gliene aveva parlato personalmente C.F.. Divenuti collaboratori di giustizia i due, era perfettamente normale e G.G. con si fosse attivato tramite i suoi difensori per farne raccogliere le dichiarazioni sapendo che essi conoscevano la verità. Come era normale che, saputo che P. raccontava che i fratelli Me. li aveva ammazzati C.F., avesse chiesto ai suoi legali di raccogliere i nuovi elementi probatori.
Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che le censure articolate nei primi tre motivi in relazione alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sono inammissibili per plurime concorrenti ragioni:

– anzitutto sono per ogni verso generiche e spesso addirittura perplesse;

– non dicono nè fanno comprendere quali specifiche conversazioni utilizzate nei confronti di G.T. sarebbero frutto, in tesi, delle intercettazioni autorizzate con decreti irrituali nè risultano sottoposte al Tribunale del riesame in relazione alla posizione della ricorrente; di conseguenza, involgendo aspetti di merito che richiederebbero l’esame di atti, non possono essere sottoposte per la prima volta a questa Corte, tanto più in assenza della benchè minima documentazione che le renda autosufficienti;

– si basano, in ogni caso, sull’assunto manifestamente infondato che la nozione di altro processo ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen. presupponga la diversità di imputati, mentre è evidente che a rendere differente il procedimento ai fini della norma richiamata occorre che esso verta su una regiudicanda differente ed autonoma;

cosa che non ricorre nel procedimento in esame;

– assumono a fondamento dell’inutilizzabilità in diverso procedimento l’argomento, non pertinente e non dimostrato, del diniego delle proroghe nel procedimento in cui sono state riversate, trascurando invece di considerare che l’unico aspetto preclusivo, costituito dalla tipologia dei reati per cui si procede, non ricorreva nel caso in esame, nel quale erano contestati delitti ampiamente compresi nel catalogo richiamato dall’art. 270 cod. proc pen..

– paiono confondere tra provvedimento del pubblico ministero che dispone l’esecuzione delle operazioni, ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, e provvedimenti autorizzativi, ai sensi degli artt. 266 e 267 cod. proc. pen. e tra vizi e assenza di motivazione.

In relazione a tale ultimo aspetto (che è quello sul quale si diffonde in particolare il terzo motivo) è quindi sufficiente ricordare che sin da S.U., n. 17 del 21/6/2000, Primavera (nello stesso senso S.U. n. 45189 del 17.11.2004, Esposito e le successive) è principio consolidato che solo la mancanza – tale dovendosi intendere anche la mera apparenza o l’assoluta incongruità – della motivazione dei decreti che autorizzano o prorogano le operazioni di intercettazioni o che ne dispongono le modalità esecutive comporta l’inutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative. Mentre le eventuali mere carenze della motivazione – che si hanno allorchè questa presenta aspetti incompleti o non perfettamente adeguati, o sia affetta da vizi che non negano, nè compromettono la giustificazione, ma la rendono meno puntuale – è emendabile dal giudice cui la doglianza venga prospettata – ovverosia dal giudice del merito che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni o dal giudice dell’impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità – e, non costituendo diretta violazione del precetto dell’art. 15 Cost., non conduce all’inutilizzabilita patologica delle captazioni.

2. L’ultimo motivo di ricorso è riferito all’art. 371-ter cod. pen..

In relazione a tale reato, che è l’unico oggetto del ricorso, il Tribunale ha osservato che gli elementi acquisiti consentivano di affermare che nel (OMISSIS) G.G. curava un progetto di revisione del processo a seguito del quale era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dei fratelli Me., cercando l’aiuto di collaboratori e testimoni falsi; di tale iniziativa erano a conoscenza i familiari di G., come emergeva dalla conversazione intercettata sull’utenza in uso al figlio A. il (OMISSIS). Dalla conversazione avuta in carcere il (OMISSIS) con la sorella M.A. e il cognato risultava inoltre che G.G. intendeva avvalersi delle dichiarazioni dei collaboratori M. e S. e anticipava ai suoi familiari addirittura nel dettaglio quanto avrebbero raccontato i due ( S. avrebbe detto di avere ricevuto personalmente la confessione dell’omicidio da R.G., suicida in carcere che egli avrebbe confidato di averlo commesso assieme a C.F. per gelosìa nei confronti della moglie di questo; Mammoliti avrebbe detto che aveva appreso direttamente da C.F. della paternità dell’omicidio e che la condanna di G.G. serviva ad eliminarlo dal circuito criminale reggino) nonchè quanto avrebbe dichiarato, a conferma, M. C. (circa l’amicizia tra suo marito è M.). Nel corso dei colloqui intercettati G.G. aveva quindi parlato dell’apporto fornito al progetto dai suoi fratelli D. e T., che all’inizio si erano occupati di P.G. e quindi di Sa.Ga.; della "collaborazione" di quest’ultimo si era in particolare interessata T.. In relazione al ruolo di costei era infine significativo il colloquio in carcere del 23 marzo 2007 tra Sa.Gr. e S.S. R., nel corso del quale la prima aveva detto che il fratello Ga. il (OMISSIS) era andato a parlare "da T. … per T."; e a tale affermazione offriva riscontro la documentazione acquisita presso il servizio centrale di protezione, dalla quale risultava che effettivamente il (OMISSIS) il collaboratore era stato autorizzato a comparire dinanzi alla Corte di appello di Reggio Calabria e che aveva avuto perciò la possibilità di allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari.

A fronte della motivazione, ampia e certamente non implausibile del provvedimento impugnato, che ha già risposto alle osservazioni difensive in punto di possibilità di Ga. di muoversi senza scorta il (OMISSIS), le doglianze ripetono considerazioni di fatto, in parte persino ipotetiche e comunque improponibili in questa sede, nella quale non è ammessa una terza rilettura degli atti.

3. In conclusione, il ricorso è per ogni verso inammissibile.

All’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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