T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 26-04-2011, n. 3584 orario di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

bale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Che con ricorso in epigrafe, la dott.ssa F.E., Educatrice di Asilo Nido, chiede di condannare il Comune di Roma al risarcimento del danno derivante dal mancato tempestivo accoglimento della sua istanza di trasformazione del proprio rapporto di lavoro con l’Amministrazione da tempo pieno a tempo parziale, assumendo, a sostegno della domanda, che il mancato esercizio dell’attività libero professionale di psicologo avrebbe comportato una perdita patrimoniale pari ad E 23.733,53 (pari ad e 7.924,51 per ciascun anno di ritardo), oltre al danno

morale da liquidarsi in via equitativa;

2 – Che l’Amministrazione eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e decadenza dall’azione, ed argomenta inoltre la sua l’infondatezza alla stregua della vigente normativa e delle numerose circolari che l’hanno interpretata;

3 – Che, quanto alla questione di giurisdizione, ritiene la ricorrente che, essendo il lamentato danno subito diretta conseguenza di un atto di organizzazione, la giurisdizione al riguardo appartiene al Giudice Amministrativo.

Contrappone l’Amministrazione che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale è vicenda che attiene al (singolo) rapporto di lavoro, ancorché il relativo atto di gestione sia posto in essere dall’ Amministrazione in esecuzione di propri atti di organizzazione, così come confermato dalla lettura del disposto dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. 165/2001 che espressamente devolve tali controversie al giudice ordinario, "ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti". Pertanto, non può che essere ritenuta la giurisdizione del Giudice Ordinario anche sulla domanda risarcitoria. Laddove, peraltro, si volesse ancorare la giurisdizione ratione temporis non potrebbe che rilevarsi l’intempestività della proposizione del ricorso, sanzionata con la decadenza dall’azione dal comma 7 dell’art. 64 del medesimo decreto legislativo, non essendo stata la domanda risarcitoria proposta nel termine del 15 settembre 2000.

Replica la ricorrente che L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 9 febbraio 2006 conferma la sussistenza della giurisdizione del G.A. per l’azione di risarcimento dei danni proposta in via autonoma dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha conclamato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, nel senso che il venir meno, per annullamento giurisdizionale, di atti che sono espressione di una posizione di autorità, non rende rilevanti soltanto come "comportamenti" gli effetti "medio tempore" prodottisi in loro esecuzione, ma concentrano la cognizione dinanzi allo stesso Giudice amministrativo, che ha verificato l’illegittimo esercizio del potere da parte della P.A.., secondo la regola della concentrazione davanti al Giudice dell’impugnazione anche della cognizione della pretesa riparatoria. Peraltro, è dal passaggio in giudicato della decisione del G.A. che può avere inizio il decorso del periodo di prescrizione, nella specie dal passaggio in giudicato della sentenza n. 1711 pubblicata il 26.10.98, il cui termine breve di impugnazione è spirato dopo i 60 giorni dalla notifica avvenuta il 03.12.98, tenendo conto che la presente azione è stata introdotta con ricorso notificato il 09.09.2003.

Al riguardo, il Collegio prede atto di tali argomentazioni, osservando che le stesse risultano oggi sostanzialmente confermate dall’art. 30 c.p.a., secondo cui nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento, l’azione può essere proposta sino a 120 giorni dal pasaggio in giudicato delle relativa sentenza: l’eccezione deve quindi essere disattesa;

4 – Che, nel merito, la ricorrente argomenta l’illegittimità sotto plurimi profili del ritardo derivante dalle determinazioni dirigenziali già annullate da questo Tribunale, lamentando la grave ed evidente violazione degli artt. 3 e 7 della L.241/90, che le avrebbe impedito di partecipare al procedimento per far valere le proprie ragioni, ed inoltre osservando che le tesi prospettate dalla difesa capitolina poggiano sul reiterato richiamo alle Circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica, nonostante abbiano trovato rigetto, in termini di ultroneità ed inconferenza, nelle motivazioni delle sentenze di questo Tribunale nn. 1711/98 e n. 654/98, rispettivamente pronunciate nei ricorsi n. 6601/97 e 12605/97, che costituiscono il presupposto dell’azione risarcitoria in esame, unitamente all’Ordinanza cautelare n. 1411/97 resa da questo stesso Tribunale nella C.d.C. del 12.06.97 (ric. n. 6601/97), con la quale, nel disporre la sospensione incidentale del provvedimento di diniego del part time, ordinava all’Amministrazione di riesaminare il provvedimento impugnato "alla luce dei motivi di ricorso", ciò che comporerebbe la conferma della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 del cod. civ. in capo all’ Amministrazione, posto che l’evento generatore del danno è stato determinato da un comportamento antigiuridico, ed inoltre colpevole, degli Uffici in assenza di cause di giustificazione nei sensi rintracciabili nella sentenza n. 1711/98;

5 – Che, secondo la tesi difensiva del Comune intimato, il diniego alla trasformazione invocata era fondato sulla Circolare n. 87050 in data 5.10.1994, emanata dalla Ripartizione I del Personale, con la quale, tra i posti in organico a tempo pieno convertibili in parttime, erano espressamente esclusi quelli ricoperti dal personale del settore scolastico, essendo ritenuto prioritario e incompatibile il fine della continuità didattica, in linea con le prescrizioni dell’art. 39, comma 27, della legge n. 449/1997, con cui era stabilito che le disposizioni dell’art. 1, comma 58 e 59 della legge 662/96 si applicano al personale degli Enti Locali finché non diversamente stabilito da ciascun ente con proprio atto normativo, avendo la legge, nella fatti specie, carattere suppletivo. Inoltre, secondo il Comune, il predetto limite era confermato dal disposto dell’ art. 31, comma 41, della legge 448/1998, secondo il quale il singolo ente può individuare particolari modalità applicativa potendo prevedere una riduzione delle percentuali previste e l’esclusione di determinate figure o profili professionali.

Infatti, prosegue il Comune, mentre l’art. l della L.662/96, ai commi 57, 58 e 59, con lo stabilire che i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni "possono" svolgere un" altra attività lavorativa solo richiedendo la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, e che tale possibilità "può" riguardare tutte le qualifiche funzionali appartenenti ai vari profili professionali, non vieta all’Amministrazione Comunale l’esercizio del potere discrezionale nel valutare l’utilità di una prestazione parttime da parte di alcune categorie di personale nell’ ambito di specifici servizi, al fine di assicurare l’erogazione dei servizi ritenuti di preminente rilevanza sociale e di carattere speciale, come quelli relativi al comparto scuola. Tale prospettazione sarebbe altresì rafforzata anche da quanto ritenuto nella Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 3/97, che affermava essere invariata la preesistente disciplina di origine legislativa o contrattuale per le parti non espressamente o implicitamente abrogata.

Secondo l’Amministrazione, la specialità del comparto in esame trovava conferma anche nella Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 6 del 18 luglio 1997 che, al punto 1, comma 4, rinvia alla disciplina sul tempo parziale contenuta nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, nonché nella Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.8 del 21 ottobre 1997 che, pur riferita a diverso profilo ed in relazione alla necessità di contemperare il diritto alla trasformazione del rapporto con la "funzionalità del servizio", prescrive l’approfondita valutazione della proposta del dipendente in relazione alla situazione concreta, con ciò postulandone la possibilità di un suo rigetto.

Quanto alla lamentata violazione degli artt. 3 e 7 della L.241/90, l’Amministrazione evidenzia infine che il provvedimento impugnato nei precedenti giudizi conteneva tutti i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano determinato la decisione dell’ Amministrazione e che l’esigenza di emanare il provvedimento entro il termine di 60 giorni fissato nell’art. l, comma 58, della L.662/96, per evitare il concretizzarsi del silenzioassenso, aveva comportato la necessità di contrarre i tempi della sua predisposizione, e che, inoltre, attraverso i motivi e le argomentazioni poste alla base del primo ricorso e della conseguente ordinanza di sospensione, è stato dato ingresso alla partecipazione della dott.ssa F. al procedimento;

6 – Che, in disparte ogni considerazione sull’apprezzabilità in linea generale delle tesi dell’Amministrazione, nella specifica fattispecie in questione, la preesistenza delle predette sentenze di questo Tribunale ed il giudicato formatosi su di esse non possono, a giudizio del Collegio, far revocare in dubbio l’illegittimità degli atti adottati dall’Amministrazione ed annullati in tale sede, con la conseguente illegittimità del ritardo cui la ricorrente riconnette la produzione di un danno ingiusto;

7 – Che il Collegio deve quindi esaminare gli ulteriori elementi necessari ai fini del risarcimento del danno ingiusto, e che, a tal fine, assume rilievo decisivo la considerazione del Comune resistente, secondo cui, nella valutazione del preteso danno, la ricorrente, nel quantificare la propria pretesa non tiene in alcun conto la circostanza che, avendo prestato la propria attività lavorativa a tempo pieno, ha ricevuto una retribuzione di ammontare superiore correlata a tale prestazione, senza defalcare tale importo dal reddito che assume aver perso per la diminuita attività professionale, reddito che a propria volta viene calcolato in modo erratamente eccessivo, in quanto, pur lamentando un ritardo dell’Amministrazione di meno di due anni (dal 27.2.1997 al 1.1.1999), rapporta la propria pretesa ad un periodo di tre anni, senza in alcun modo giustificare o argomentare al riguardo;

8 – Che pertanto, a giudizio del Collegio, la ricorrente non allega alla propria pretesa un valido principio di prova circa l’esistenza di un apprezzabile effettivo danno patrimoniale, quantificato o quantificabile o comunque suscettibile di apprezzamento equitativo, in disparte la necessaria ponderazione anche del valore della precedente esperienza scolastica a tempo pieno ai fini del successivo successo professionale vantato dalla ricorrente;

9 – Che il ricorso in conclusione deve essere respinto, non risultando la domanda risarcitoria fondata, e che tuttavia la complessità delle questioni e delle connesse vicende giudiziarie consentono la compensazione delle spese di giudizio;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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