T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 26-04-2011, n. 3583 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Che a seguito di avviso pubblico in data 3 giugno 2004 il Comune di Viterbo si rendeva acquirente del terreno agricolo sito in località Fracassa, al confine del territorio del Comune di Viterbo con quelli di Bagnoregio e Celleno e ricadente nel perimetro dell’ Azienda Faunistico- Venatoria "Carbonara", ed in data 16 dicembre 2004 il Consiglio Comunale approvava il progetto preliminare dell’erigendo canile e contestualmente la variante urbanistica con la quale il terreno acquistato, "zonizzato" come E4 (zona agricola), veniva trasformato in F3 (servizi e attrezzature tecnologici e specializzati);

2 – Che, avendo avuto notizia di tali vicende, facevano pervenire osservazioni in opposizione al Comune, in tempi diversi, l’ing. T., la Signora M.T.C.C. (proprietaria di un’azienda agricola limitrofa alla zona in questione), il Comune di Bagnoregio, e alcuni cittadini (circa sessanta) residenti in prossimità del luogo;

3 – Che con la deliberazione oggetto dell’impugnativa, il Comune di Viterbo deliberava di respingere tali osservazioni, e contestualmente accoglieva altre proposte di miglioria, da inserire negli elaborati progettuali definitivi ed esecutivi, avanzate dalla IX circoscrizione nel proprio parere;

4 – Che la predetta deliberazione veniva impugnata da alcuni dei proponenti le predette osservazioni (ed in particolare da un Comune limitrofo e dal titolare di un’azienda venatoria), che con il ricorso in epigrafe deducevano i seguenti motivi di ricorso:

1) erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione dell’art. 2, comma 2 bis, della legge regionale 21 ottobre 1997, n. 34. così come modificata dalla Legge Regionale 11 settembre 2003. n.29.

I ricorrenti premettono che fra la deliberazione 16 dicembre 2004 (di approvazione del progetto preliminare) e quella impugnata esiste un’immotivata discrasia in quanto nella prima si prevede la variante urbanistica in "F3", mentre nella seconda non c’è traccia di sorta di tale "zonizzazione", e si parla senz’altro di variante in "F1" (servizi e attrezzature pubblici territoriali). Ed argomentano che ciò violerebbe la legge regionale21 ottobre 1997, n. 34, che nel prescrivere che "i comuni con popolazione superiore ai ventimila abitanti devono prevedere nei propri strumenti urbanistici, nelle aree (già) destinate a servizi, la realizzazione di canili rifugio" ha evidentemente inteso, fra le altre finalità, salvaguardare da inquinamenti (igienici, acustici, olfattivi, ecc.) le aree aventi destinazione diversa dalla "F1 ", ed inoltre, riguardando solo una piccolissima area, inserita come un corpo estraneo in un vastissimo territorio avente tutt’altra destinazione (territorio fra l’altro di particolare

pregio agricolo, paesaggistico e faunistico), contrasterebbe l’univoca giurisprudenza secondo cui la programmazione urbanistica ha di mira la cura integrale del territorio comunale, individuando un complesso di determinazioni per la sistemazione omogenea del territorio, in modo tale da dare luogo ad uno sviluppo ordinato ed armonico del territorio stesso.

La deliberazione, inoltre, appare contraddittoria e lacunosa, poiché dà atto delle preesistenza di altro canile, peraltro "fatiscente", senza indicare per quale motivo non è ripristinabile ed adattabile alle prescrizioni delle leggi vigenti, ed inoltre è iniqua, in quanto pur disponendo il Comune Capoluogo di un vasto territorio in cui la zonizzazione "F 1" è presente, collocando il canile in zona agricola proprio "a filo" dei propri confini costringe i cittadini di altri comuni a sopportarne i derivanti disagi;

2) Istruttoria viziata, erronea e lacunosa: conseguente erronea valutazione dei presupposti di fatto, in quanto si legge nelle "controdeduzioni assunte e fatte proprie" dalla deliberazione impugnata che "l’insediamento previsto per il canile (…) è posto ad una distanza di circa l km da un insediamento abitativo di poche case (…) ed a distanza di circa 300400 m. da alcuni insediamenti rurali", dipingendo una realtà non conforme ala mutata situazione edilizia un" inesatta percezione che avrebbbe impedito di tenere nel debito conto la considerazione di tutti gli interessi coinvolti;

3) violazione, sotto ulteriore profilo, della Legge Regionale 21 ottobre 1997, n.34. Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, in relazione al previsto inserimento di un impianto di incenerimento adatto anche alla cremazione di animali grandi (200 kg), l’intenzione (o quanto meno la possibilità) di utilizzare l’impianto per scopi del tutto estranei a quelli della legge in questione, con ancora più gravi conseguenze ambientali dal punto di vista dell’inquinamento;

4) violazione dell’art.4 della Legge Regionale 24 ottobre 1997 e difetto di motivazione, poiché la norma impone, per il risanamento dei canili pubblici esistenti e la costruzione di nuove strutture,

ai criteri di una razionale distribuzione dei canili commisurata al numero degli abitanti e alla stima

dei cani e dei gatti esistenti nell’ambito del territorio di propria competenza, nonché alla valutazione della situazione epidemiologica riguardante le principali zoonosi dei cani e dei gatti ed al rispetto delle norme igienicosanitarie volte a garantire buone condizioni di vita per i cani e i gatti e delle norme urbanisticopaesaggistiche, mentre le controdeduzioni impugnate non considerano l’incompatibilità, sotto i predetti profili, della collocazione del canile all’ interno di un’azienda faunisticovenatoria, sia per la possibilità di trasmissione di malattie agli animali che la popolano, sia soprattutto per l’assai elevata possibilità di contagi per i cani che ivi esercitano l’attività venatoria;

5) violazione dell’aro 16 della L. 157/1992 e dell’art. 32 Legge Regionale 17/1995. Motivazione erronea e viziata, in quanto la deliberazione impugnata avrebbe trascurato la piena assimilazione, fatta dalla legge, delle aziende faunisticovenatorie alle oasi di protezione dal punto di vista della tutela ambientale;

5 – Che il Comune di Viterbo, costituitosi in giudizio, eccepisce l’inammissibilità del ricorso in ragione della natura dell’atto impugnato ed argomenta l’infondatezza delle singole censure dedotte;

6 – Che entrambe le parti hanno successivamente articolato le proprie difese mediante un ampio scambio di memorie e di memorie di risposta;

7 – Che l’eccezione opposta dal Comune intimato, in particolare, argomenta che con l’avverso ricorso viene impugnata una deliberazione del Consiglio Comunale di controdeduzioni alle osservazioni presentate, ciò che determinerebbe l’inammissibilità del proposto gravame alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa. Infatti, osserva il Collegio, la deliberazione con la quale il Consiglio Comunale, presa visione delle osservazioni dei privati, esprime le proprie controdeduzioni, è un mero atto interno al procedimento di adozione dello strumento urbanistico o del progetto d’insediamento, privo di effetti immediati in quanto spetta all’Autorità regionale, in sede di approvazione, pronunciarsi conclusivamente sulle osservazioni, ed a tal fine non sono vincolanti le controdeduzioni del Comune;

8 – Che, pertanto, conclude il Collegio, secondo la costante giurisprudenza amministrativa la delibera di controdeduzioni alle osservazioni presentate dai privati non è autonomamente impugnabile poiché priva di contenuto provvedi mentale, ed il ricorso nei suoi confronti è inammissibile;

9 – Che, tuttavia, ogni ulteriore approfondimento sull’eccezione in esame appare superfluo, considerato che il ricorso palesa comunque la propria non fondatezza nel merito;

10- Che, in particolare, quanto ai singoli motivi di ricorso:

1) l’ubicazione del canile è compatibile con la destinazione d’uso a zona agricola e non rende necessaria alcuna variante dello strumento urbanistico generale, e ciò fa perdere ogni rilievo alle censure sub 1;

2) dagli atti depositati in giudizio risulta lo svolgimento di un’adeguata istruttoria, che ha in particolare consentito di escludere la presenza di "insediamenti abitativi" in prossimità, senza con ciò escludere, ed anzi dando atto della presenza, di alcune abitazioni rurali, che risultano (restando del tutto irrilevanti eventuali fenomeni di edilizia "spontanea" o abusiva) del tutto compatibili con il canile, sulla premessa della sua compatibilità (riconosciuta dalla costante giurisprudenza) con la destinazione agricola della zona, facendo ciò cadere le censure sub 2;

3) la presenza di un inceneritore di portata maggiore rispetto alla taglia media di un cane viene adeguatamente motivata, nel progetto, con ragioni di economia di gestione, e da sola non lascia ipotizzare alcuno sviamento, come invece sostenuto nella censura sub 3;

4) le censure sub 4, comunque estranee allo osservazioni ed alla conseguenti controdeduzioni della delibera impugnata, non si sostanziano in alcuna specifica evidenziazione di illegittimità, e comunque appaiono contraddette dalle norme che sottopongono il canile municipale ad un’adeguata sorveglianza sanitaria e veterinaria, sempre necessaria, indipendentemente dal fatto che i possibili bersagli delle temute infezioni siano animali selvatici o domestici diversi da quelli dell’azienda venatoria in questione e dai cani da caccia dei relativi clienti;

5) quanto infine alla contestata violazione della normativa ambientale ed alla affermata mancata ponderazione dei valori ambientali, di cui l’azienda venatoria ricorrente sarebbe portatrice, osserva il Collegio che sia il canile che l’azienda venatoria sono compatibili con la destinazione agricola dell’area e che non è pacificamente necessaria la DIA per il canile, così come per l’azienda venatoria. Pertanto, non venendo neppure allegata alcuna censura relativa a specifiche presunte violazioni ambientali in danno dell’azienda (ed essendo, in ogni caso, gli "ospiti" del canile ristretti in un’area sorvegliata e ben confinata), la dedotta censura si palesa priva di consistenza;

11 – Che il ricorso, in disparte ogni considerazione circa la sua inammissibilità, palesa quindi la propria non fondatezza e deve pertanto essere respinto;

12 – Che le spese devono seguire la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del Comune resistente delle spese di giudizio, liquidate in Euro duemila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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