Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-03-2011) 26-04-2011, n. 16362 Bancarotta fraudolenta

della sentenza.
Svolgimento del processo

L’impugnazione attiene alla condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Torino a B.F. ritenuto colpevole di bancarotta propria, fraudolenta, patrimoniale e documentale, realizzata a seguito del fallimento, dichiarato il 22.6.2006, nella sua veste di imprenditore individuale.

La Corte torinese ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Novara del 21.10.2008 escludendo la ricorrenza dell’aggravante del danno di gravità patrimoniale ( L. Fall., art. 219, comma 1) e la recidiva, diminuendo la pena inflitta al prevenuto. Infatti, accertava che il disavanzo di gestione era sensibilmente inferiore a quanto opinato in primo grado (riducendosi all’importo di Euro 18.000, pari ai cespiti esitati dal B.) ed escludeva la recidiva (computata per un precedente assai risalente nel tempo e di ben diverso contenuto, tale da non consentire oggi di esprimere giudizio di pericolosità).

La difesa con due distinti motivi, ma pertinenti al medesimo tema, lamenta l’errore rilevabile dal capo d’imputazione, nell’avere ritenuto che l’ente fallito fosse una società e che i cespiti oggetto materiale di distrazione fossero indisponibili all’imputato, ed il reato ascrittogli.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Innanzitutto perchè le doglianze oggi avanzate non furono allegate al gravame di appello, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata che di esse non fa menzione alcuna.

Inoltre perchè esse sono manifestamente infondate alla luce della narrativa della decisione oggetto di ricorso, da cui si evince che i beni che sorreggono l’imputazione di distrazione fraudolenta, furono venduti "in nero", e nulla fu giustificato quanto al ricavo della loro vendita, onde l’ammanco, anche se caduto su bene disponibile all’imprenditore, non risulta pareggiato con l’impiego del ricavo di rivendita.

Non è neppure prospettabile questione di mutamento dell’originaria imputazione, avendo l’imputato – che è confesso – ben conosciuto la situazione probatoria a suo carico e messo, conseguentemente, in grado di esplicare i propri diritti difensivi nel processo.

Dalla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p., condanna al pagamento delle spese del procedimento ed anche al versamento della somma a favore della Cassa per le Ammende che si ritiene equo fissare in Euro 500,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.

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