Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2010) 26-04-2011, n. 16332 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nno insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con il ministero dei difensori o personalmente i quattordici imputati indicati in epigrafe impugnano per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Catania in data 18.3.2009 che ha interamente confermato – con minime varianti in peius, in accoglimento dell’appello del p.m., per B.A. (capo F bis) e per D.M.A. (capo C bis)- la sentenza, resa il 12.12.2006 all’esito di giudizio abbreviato non subordinato ad integrazioni probatorie, con cui il g.u.p. del Tribunale di Catania li ha dichiarati colpevoli dei reati di associazione per delinquere di natura mafiosa, di associazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti, di molti dei reati di detenzione e vendita continuate di quantitativi anche ingenti di sostanze droganti a ciascuno di essi rispettivamente ascritti.

Il solo B.A. è stato ritenuto responsabile anche di connessi reati di detenzione porto illegali di armi da sparo e relative munizioni (capi F quater e F quinquies della rubrica).

2.- Le articolate indagini preliminari sfociate nel rinvio a giudizio degli odierni ricorrenti e dei loro coimputati (p.p. contro A. M. + 32, altri coimputati definendo con separati giudizi le proprie posizioni) traggono origine, come si desume dalla congiunta lettura delle due sentenze di merito, dalla attività investigativa svolta nell’ambito di un separato procedimento penale nei confronti di aderenti al gruppo mafioso catanese c.d. Carateddu, guidato da Bo.Ig. storico alleato del sodalizio mafioso facente capo a Ca.Sa. e a Pi.Sa., denominato clan Cappello e si inscrivono nella serie di eventi successivi all’omicidio di Co.Sa. appartenente al concorrente clan catanese dei Mazzei, commesso per finalità personali da due affiliati del clan Cappello.

Dalle intercettazioni ambientali eseguite nel giugno 2003 a bordo dell’autovettura del pregiudicato Pu.Gi. sono venuti in luce i ruoli criminosi di altri personaggi, tra cui in particolare quello di Ca.An. (inteso R.), effettivo reggente del clan Cappello, mentre il capo Ca.Sa. si trova detenuto a Viterbo in regime di massima sorveglianza e col quale il Ca.An. si mantiene in contatto attraverso la moglie C. M.R., al momento dimorante a Napoli.

La progressiva considerevole estensione delle operazioni captative, ambientali e telefoniche, sviluppate dall’estate del 2003 fino alla primavera del 2004 ha fatto emergere l’intensa attività svolta dal Ca.An. e dalla C.M.R. nell’acquisto di partite di stupefacenti (in particolare cocaina) da rivendere nell’area di Catania allo scopo di garantire le risorse finanziarie alla cosca mafiosa per mantenere in vita il sodalizio, in difficoltà per lo stato di detenzione del capo e di altri suoi membri e i non sereni rapporti con altri gruppi criminali operanti nell’area etnea.

Alle captazioni foniche, la cui ritualità e utilizzabilità probatorie sono state a più riprese affermate nell’ambito delle varie procedure incidentali cautelari, si sono giustapposti plurimi servizi di osservazione, pedinamento e controllo visivo (accompagnati da servizi di videoripresa, anche fissi, e da istantanee fotografiche di situazioni rilevanti ai fini delle indagini) realizzati dalla polizia giudiziaria (Squadra Mobile della Questura di Catania) in dinamica sincronia con le vicende rese note dalle intercettazione.

Servizi che hanno dato luogo ad interventi diretti con arresti in flagranza di reati di illecita detenzione di stupefacente di imputati e altri personaggi a costoro univocamente legati ed a sequestri di sostanze stupefacenti.

La pluralità delle fonti probatorie, accresciuta dai contributi collaborativi resi dall’imputato Ni.Sa. e da altri due collaboratori di giustizia ha condotto alla configurazione accusatoria della congiunta operatività di gruppi criminali, talora intersecantisi nei rapporti personali tra i vari soggetti coinvolti, specificamente dediti a traffici anche internazionali di stupefacente del tipo cocaina (con acquisti compiuti in Spagna).

Accanto alla associazione criminosa L. STUP., ex art. 74 (capo C della rubrica), formata a supporto – quale struttura collaterale – del sodalizio mafioso del clan Cappello (capo A della rubrica), sono stati ritenuti attivi altri tre aggregati associativi L. Stup., ex art. 74.

Uno (capo D della rubrica) facente capo ad D.M.A., un altro (capo E della rubrica) diretto dal pregiudicato calabrese A.M. e dal catanese C.G., membro altresì del clan mafioso Cappello in stretto rapporto di collaborazione con il "reggente" Ca.An., un terzo (capo F della rubrica) coinvolgente Ni.Sa. e B. A..

3.- L’imponente compendio probatorio, costituito – come detto – da innumerevoli dialoghi captati tra gli imputati (di univoca riferibilità a traffici di droga, non elusi da un elementare linguaggio criptico talora usato dai conversanti) e dai peculiari riscontri che questi rinvengono (tra gli altri) nelle concomitanti operazioni di p.g. e nelle altrettanto cospicue acquisizioni investigative, anche di natura documentale, raccolte nel corso delle indagini preliminari, acquisizioni tutte utilizzabili essendosi proceduto al giudizio allo stato degli atti ex art. 438 c.p.p., il g.u.p. del Tribunale di Catania ha affermato la penale responsabilità di:

Ca.An. e C.G. per il reato di associazione mafiosa di cui al capo A) (clan Cappello diretto e organizzato dal Ca.An.);

Ca.An. e T.G. per il reato di associazione dedita al narcotraffico di cui al capo C) e il reato di detenzione e acquisto continuati per finalità di vendita di cocaina di cui al capo C bis), in esso assorbito il reato sub C ter) concernente una partita di un chilo di cocaina sequestrata il 23.10.2003 al corriere R.N.;

D.M.A. e Bo.Al. per il reato di associazione dedita al narcotraffico di cui al capo D) e il reato di detenzione e acquisto continuati per finalità commerciali di cocaina di cui al capo D bis);

D.M.A., D.S.M. e N.M. per il reato di acquisto e detenzione continuati di droga di cui al capo D quater), in esso assorbito il reato sub D quinquies) relativo ad una partita di kg. 1,100 di cocaina sequestrata nel novembre 2003 a D. S.L. e al corriere sudamericano giunto da Madrid (D. L.J.);

C.G. e A.M. (promotori e organizzatori), B.F., Ba.Le., B. G. e D.F.C. per il reato di associazione dedita al narcotraffico di cui al capo E) nonchè, con il concorso anche di B.A. e Ni.Sa., per il reato di detenzione e acquisto continuati per fini commerciali di cocaina di cui al capo E bis), in esso assorbiti gli ulteriori omologhi reati continuati loro contestati e in particolare i reati sub E nonies), relativo al sequestro di un chilo di cocaina (arresto di F. A.: Catania 30.11.2003), e sub E decies), relativo al sequestro di due chili di cocaina (arresto di Cr.Gi.:

Catania 6.12.2003);

A.M., inoltre, per il reato di cui all’art. 495 c.p. (capo E sedecies) per aver declinato false generalità agli ufficiali di p.g. procedenti alla sua identificazione;

B.A. e Ni.Gi. per il reato associativo L. Stup, ex art. 74 di cui al capo F) nonchè il solo Ni.Gi. del reato L. Stup., ex art. 73 di cui al capo F ter);

B.A., infine, per i reati di detenzione e porto illegali di più armi da sparo, comuni e da guerra (una mitraglietta Franchi cal. 9 e una pistola Beretta cal. 9), e del relativo munizionamento di cui ai capi F quater) ed F quinquies).

4.- Adita dalle impugnazioni degli imputati e del pubblico ministero, la Corte di Appello di Catania, condividendo l’impianto ricostruttivo e valutativo dei giudici di primo grado, ha valutato privi di fondamento i rilievi critici esposti dagli imputati avverso la sentenza del Tribunale e meritevole di accoglimento l’appello del p.m. limitatamente alla omessa pronuncia sui reati L. Stup., ex art. 73 cui ai capi F bis) e C bis) ascritti rispettivamente ad B.A. e ad D.M.A., che ha condannato per detti reati alla maggiore pena di due mesi di reclusione ciascuno rispetto a quella fissata, in regime di continuazione ex art. 81 c.p., comma 2, dal Tribunale.

La Corte territoriale al pari del Tribunale ha ritenuto raggiunti elementi probatori rappresentativi, al di là di ogni ragionevole dubbio, della penale rilevanza delle condotte individuali e concorsuali, associative e non, riferite a ciascun imputato.

Ciò sia con riguardo alla rilevata sussistenza delle componenti strutturali, organizzative e operative, del configurato sodalizio mafioso denominato clan Cappello e degli aggregati criminosi dediti al narcotraffico.

Sia con riguardo alla consumazione dei reati fine del sodalizio in tema di acquisizione, detenzione e vendita illecite di stupefacenti e dei reati riguardanti la disponibilità di armi da fuoco da parte di B.A..

Elementi di prova radicati soprattutto nelle innumerevoli intercettazioni telefoniche e ambientali e nei collaterali servizi di p.g. culminati nei sequestri di consistenti quantità di cocaina e nell’arresto dei rispettivi responsabili diretti (giudicati separatamente).

Per l’effetto, all’esito del doppio giudizio di merito, le pene inflitte ai quattordici imputati sono le seguenti:

A.M.: sedici anni di reclusione (capi E, E bis, E sedecies);

B.F., con attenuanti generiche stimate prevalenti sulle aggravanti: sei anni di reclusione (capi E), E bis);

Ba.Le.: otto anni di reclusione (capi E, E bis);

Ba.Gi.: sette ani e sei mesi di reclusione (capi E, E bis);

B.A.: sedici anni e due mesi di reclusione (capi E bis, F, F bis, F quater, F quinquies);

Bo.Al.: otto anni di reclusione (capi D, D bis);

C.G.: sedici anni di reclusione (capi A, E, E bis);

Ca.An.: sedici anni di reclusione (capi A, C, C bis);

D.F.C., con attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti: sei ani di reclusione (capi E, E bis);

D.M.A.: nove anni e due mesi di reclusione (capi D, D bis, D quater, C bis);

D.S.M. e N.M., con attenuanti generiche per entrambi: tre anni ed Euro 12.000,00 di multa ciascuno (capo D quater);

Ni.Sa.: cinque anni di reclusione (capi E bis, F, F bis);

T.G.: otto anni di reclusione (capi C, C bis).

5.- La sentenza di secondo grado è stata impugnata per cassazione dagli odierni quattordici imputati con ricorsi che hanno denunciato, in forma cumulativa o non, plurimi vizi di legittimità della decisione, riconducibili alla duplice tipologia della violazione o inosservanza della legge processuale o sostanziale ovvero della carenza, contraddittorietà o illogicità manifesta della motivazione.

Evidenti ragioni di chiarezza e semplicità espositive – tenuto conto del numero dei ricorrenti e dell’estensione delle censure da ciascuno prospettate – suggeriscono di far seguire alla enunciazione dei motivi di ricorso di ogni singolo imputato o gruppo di imputati (per gli effetti cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1) le immediate valutazioni di questo giudice di legittimità.

Non senza anticipare che tutti i ricorsi debbono essere rigettati vuoi per la giuridica infondatezza dei motivi proposti, vuoi – in taluni casi – per loro intrinseca indeducibilità, in quanto generici (id est aspecifici), laddove reiterano immutati motivi di appello senza effettive notazioni critiche sul percorso decisorio della decisione di secondo grado, ovvero in quanto attinenti a tematiche di solo merito imperniate su una lettura alternativa delle emergenze processuali e delle fonti probatorie tesa ad una rivisitazione fattuale della regiudicanda certamente estranea alla presente sede di legittimità. 5.1. L’analisi critica esperibile da questo giudice di legittimità in ossequio al principio devolutivo dell’impugnazione, impone una rapida premessa metodologica in ordine ai referenti o parametri valutativi utilizzabili in questa sede.

Innanzitutto giova rammentare, al di là della specifica chiarezza e meticolosità dell’ampia motivazione della sentenza di appello e della stessa sentenza di primo grado, che questa Corte regolatrice ha chiarito come il giudice di legittimità, ai fini del vaglio di congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento – ove si tratti di una sentenza pronunciata in grado di appello – sia alla sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, che si integrano vicendevolmente in sinergica complementarietà, dando origine ad enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili.

Ed il dato, che struttura la dinamica del processo decisionale del giudice di merito, diviene ancor più significativo allorchè, come nel caso di cui agli odierni ricorsi, la sentenza di appello abbia integralmente confermato in punto di responsabilità le statuizioni del giudice di primo grado, aderendo all’analisi del compendio probatorio del Tribunale (cd. decisione doppia conforme).

5.2. In secondo luogo ulteriore precisazione è imposta, in via generale, dagli stessi contenuti espositivi di molti dei proposti motivi di ricorso concernenti addotti vizi di motivazione dell’impugnata sentenza della Corte territoriale, allorchè – attraverso una riproposizione del materiale probatorio cristallizzato dal dibattimento di primo grado – si prospettano esegetiche letture delle fonti di prova alternative o speculari (segnatamente per i contenuti dialogici delle conversazioni captate) rispetto a quelle operatene dai giudici di merito, fonti di cui si finisce per delineare (come anticipato) una surrettizia reinterpretazione in questa sede.

Ma il sindacato del giudice di legittimità sul percorso giustificativo del provvedimento impugnato è – per espressa disposizione legislativa – rigorosamente racchiuso nella verifica che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica ed esenti da vistose ed insormontabili incongruenze.

Il controllo di legittimità si appunta soltanto sulla coerenza strutturale interna della decisione, di cui accerta l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo.

Sono preclusi al giudice di legittimità, nell’ambito del controllo sulla motivazione, il riesame o la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti (o preferibili) rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa (cfr.: Cass. S.U., 31.5.2000 n. 12, Jakani, rv.

216260; Cass. S.U., 24.09.2003 n. 47289, Petrella, rv. 226074).

Conviene aggiungere che l’indicata area referenziale del controllo della motivazione non è funzionalmente alterata dalla recente novella apportata alla lett. e) dell’art. 606 c.p.p., comma 1 dall’art. 8, L. 20 febbraio 2006, n. 46, che non ha fatto venire meno il limite della "testualità" del vizio conoscibile dalla S.C., limite connaturato all’ambito di cognizione del giudice di legittimità, il cui controllo ed esame sono limitati alla motivazione e non alla decisione.

Il pur novellato art. 606 c.p.p., – lett. e) – non permette, infatti, a questa Corte una rilettura o reinterpretazione dei dati probatori, esulando dal giudizio di legittimità una verifica della correttezza della motivazione in relazione ai dati probatori.

Sicchè il richiamo della novella agli "altri atti del processo" sintomatici del vizio motivazionale deve interpretarsi con riguardo – nel rispetto del canone di autosufficienza del ricorso (Cass. Sez. 1^, 18.3.2008 n. 16706, Falcone, rv. 240123)- soltanto ad atti che siano espressivi di un obbligo di pronuncia del giudice di merito che si assume palesemente violato ovvero di enunciazioni frutto di chiara e ricostruibile distorsione (travisamento), nel senso che il significato e il valore delle prove debbono essere sempre definiti dal giudice del merito, non potendoli ricomporre il giudice di legittimità in base ad una non consentita lettura degli atti di causa autonoma ovvero suggerita dal ricorrente (cfr., tra le molte decisioni: Cass. Sez. 6^, 18.12.2006 n. 752, Romagnolo, rv. 235732;

Cass. Sez. 4^, 7.11.2006 n. 2618, Librino, rv. 235782; Cass. Sez. 2^, 11.1.2007 n. 7380, Messina, rv. 235716).

6.- Ricorso di A.M..

Nell’interesse dell’imputato sono stati presentati tre atti di impugnazione, due dei difensori ed uno a firma dello stesso ricorrente.

6.1.A.- Col primo ricorso (avv. Giuseppe Ragazzo) si formulano cinque censure.

1. Violazione del combinato disposto dell’art. 415 bis, comma 3 e art. 416, comma 1 e difetto di motivazione in ordine alla nullità della richiesta di rinvio a giudizio e di tutti gli atti conseguenti per omesso interrogatorio dell’imputato, che ne aveva fatto richiesta.

La Corte di Appello ha fatto proprie le considerazione con cui già il g.u.p. ha respinto l’eccepita causa di nullità degli atti sul presupposto che l’ A., detenuto in carcere quando ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini, non ha sottoscritto la richiesta di essere sentito dal giudice trasmessa dall’ufficio matricola della casa circondariale, nè ha fornito ulteriori precisazioni sulla natura della richiesta (se volta ad essere sottoposto a formale interrogatorio ovvero a rendere spontanee dichiarazioni).

Ma si tratta di risposta formale ed elusiva delle garanzie difensive dell’imputato, le eventuali lacune della richiesta dell’ A. essendo attribuibili unicamente alle carenti comunicazioni della casa circondariale e non già allo stesso A., la cui volontà di rendere interrogatorio era chiara.

2. Erronea applicazione della L. Stup., artt. 74 e 73 e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione dell’imputato ad una associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti ed in ordine alla quantità ingente della droga che sarebbe stata procurata e ceduta dall’ A. ai suoi presunti sodali catanesi.

Dalla sola asserita attività di cessione della droga non può farsi discendere, come sostiene la sentenza impugnata, l’ipotizzata partecipazione al reato associativo con ruolo apicale in seno al sodalizio criminoso.

La Corte di Appello non ha fornito adeguata risposta a tutti i rilievi enunciati con l’atto di appello e incongruamente ha respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria al fine di acquisire la documentazione processuale attinente alla separata assoluzione del padre e del fratello dell’ A. (giudicati con rito ordinario) dai reati di cui alla L. Stup., artt. 74 e 73 ad entrambi ascritti alla stregua degli stessi fatti sui quali è basata la confermata responsabilità dell’imputato. E analogamente assente è una idonea motivazione della Corte in ordine al reato di cui all’art. 495 c.p. pure attribuito all’ A. (capo E sedecies).

3. Erronea applicazione della L. Stup., art. 80, comma 2 e difetto di motivazione in merito alla contestazione di detenzione continuata per fini di vendita di più quantitativi di cocaina di cui al capo E bis), in cui sono state assorbite le collegate singole ed analoghe vicende criminose.

La Corte di Appello e così prima il Tribunale non ha dato contezza della ritenuta qualificazione come ingente della droga oggetto di reato, desumendo l’aggravante dal solo dato ponderale delle quantità di droga sottoposte ad alcuni sequestri.

Mancano ulteriori indispensabili elementi relativi alla natura qualitativa della sostanza sequestrata (principio attivo) e all’effettivo numero di dosi droganti da essa ricavabili onde vagliare la prefigurata aggravante della quantità ingente della droga.

4. Carenza e insufficienza della motivazione in riferimento alla erronea ritenuta sussistenza dell’aggravante del ruolo di promozione ed organizzazione del consorteria criminosa L. Stup., ex art. 74 attribuito all’ A..

Al riguardo i giudici di secondo grado hanno espresso valutazioni generiche e sommarie, trascurando dati asseveranti un ruolo tutt’altro che di vertice svolto dall’imputato nella gestione degli ipotizzati traffici di stupefacenti (ad esempio una conversazione captata il 27.12.2003 sull’autovettura in uso al coimputato C. dalla quale è possibile escludere il supposto ruolo apicale dell’ A.).

5. Violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p. in punto, in subordine, di non motivato diniego delle circostanze attenuanti generiche, di cui il ricorrente avrebbe potuto beneficiare in ragione della sua giovane età al momento dei fatti.

6.1.B.- Il secondo ricorso personale dell’imputato svolge quattro doglianze.

1. Violazione dell’art. 415 bis c.p.p. e illogicità della motivazione.

L’imputato ha espresso la propria richiesta di interrogatorio ed a nulla rileva la circostanza che egli non abbia sottoscritto il documento trasmesso dal carcere, nessun dubbio potendo nutrirsi sulla paternità dello stesso.

La susseguente richiesta di rinvio a giudizio del p.m. deve reputarsi nulla con conseguente nullità del decreto dispositivo del giudizio e degli atti successivi (le due sentenze di merito).

2. Erronea applicazione della L. Stup., art. 74, co. 2 e illogicità della motivazione.

Impropriamente i giudici di appello hanno confermato il ruolo direttivo e promozionale dell’associazione criminosa di cui al capo E) ascritto all’imputato. Ruolo sul quale difettano idonei elementi di prova, perchè il coinvolgimento dell’ A. investe un breve periodo di tempo (da ottobre a dicembre 2003) e perchè egli si è limitato a fornire la droga ai presunti consociati siciliani senza instaurare con costoro un rapporto che non sia unicamente di fornitura dello stupefacente, perchè – infine – le conversazioni intercettate non permettono di riconoscere siffatto ruolo di vertice del ricorrente.

Tant’è che quando viene sequestrata la partita di tre chili di cocaina l’ A. riceve un messaggio telefonico di C. che gli chiede "aiuto" e comprensione per l’accaduto (perdita del carico di droga). Messaggio cui egli non risponde, limitandosi nei giorni successivi a sollecitare il pagamento della cocaina ceduta.

3. Insufficiente motivazione in rapporto alle ipotesi di vendita di stupefacente L. Stup., ex art. 73 attribuite all’imputato, da ricondurre a due soli episodi, per i quali la sentenza impugnata non esplicita con la necessaria articolazione il percorso logico e deduttivo che ha condotto alla condanna dell’imputato.

4. La pena inflitta all’ A. deve, in subordine, giudicarsi certamente eccessiva in relazione agli effettivi contegni dell’imputato.

La quantificazione della pena non è sorretta da congrua motivazione quanto meno per quel che attiene alla individuazione degli incrementi sanzionatori applicati per la ritenuta continuazione ex art. 81 c.p., comma 2. 6.1.C- Il terzo ricorso (avv. Domenico Putrino) enuncia due motivi di censura.

1. Nullità di tutti gli atti per violazione dell’art. 415 bis c.p.p..

Ricevuto l’avviso di chiusura delle indagini preliminari, l’ A. ha chiesto attraverso la matricola della casa circondariale di Reggio Calabria di "essere sentito dal p.m. per rilasciare dichiarazioni in merito al procedimento penale in riferimento".

La richiesta di precisazioni sulla natura delle dichiarazioni che A. intendeva rendere avanzata dal procedente p.m. alla direzione del carcere è abnorme, poichè egli avrebbe comunque dovuto attivarsi per "sentire" l’imputato, che certo non è in grado di discernere le differenze tra interrogatorio, dichiarazioni spontanee o altre comunicazioni.

La Corte di Appello si è astenuta dal vagliare in modo approfondito, al fine di constatare l’univoca volontà del prevenuto di essere interrogato, la documentazione pur acquisita presso il carcere.

2. Carenza di motivazione sulla richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria per acquisire il verbale della testimonianza dibattimentale del funzionario di polizia De.Ge., utile per dimostrare l’inesistenza di una associazione criminosa L. Stup., ex art. 74 facente capo alla famiglia Ascone (nel separato procedimento celebrato con rito ordinario il padre e il fratello, coimputati del ricorrente, sono stati assolti).

Come deve desumersi da una sistematica lettura delle conversazioni intercettate, le indagini non dimostrano altro che l’esistenza di contatti tra l’ A. e il coimputato C., in base ai quali non possibile avvalorare l’ipotesi di una associazione operante nel settore del narcotraffico di cui abbia fatto parte A.M..

I giudici di appello non si sono confrontati con le risultanze processuali, dando per provata l’esistenza dell’associazione e il ruolo rilevante che in seno ad essa avrebbe esercitato il ricorrente.

6.2.1.- Il motivo di doglianza, comune ai tre ricorsi, afferente alla violazione degli artt. 415 bis e 416 c.p.p. è infondato.

L’eccepita nullità del decreto dispositivo del giudizio nei confronti di A.M. è stata già esaminata dal g.u.p., che l’ha disattesa in base a corrette valutazioni giuridiche.

Riproposta davanti alla Corte di Appello, la sentenza di secondo grado ne argomenta in modo ancor più calzante e definitivo l’infondatezza (sentenza, pp. 15-16).

Il p.m. cui è pervenuta l’istanza, non sottoscritta, di essere "sentito" dell’ A. ha commendevolmente chiesto alla casa circondariale di accertare l’effettiva natura della audizione invocata dall’imputato (allora ancora indagato), ricevendo risposta di in termini di generiche "spontanee dichiarazioni", secondo l’intento manifestato dal detenuto. Evenienza che per certo non avrebbe potuto indurre il procedente p.m. a disporre il formale interrogatorio previsto dall’art. 415 bis c.p.p., comma 3, avuto riguardo alla oggettiva irritualità della richiesta avanzata dall’ A. (v. Cass. Sez. 6^, 3.3.2004 n. 17702, Bordi, rv.

228471), anche prescindendosi dall’altrettanto fondato rilievo della Corte territoriale, attinente alla fase processuale subito successiva, sulla natura "intermedia" della eventuale nullità derivante dal mancato avviso della chiusura delle indagini e dall’omesso invito dell’indagato per rendere "interrogatorio" ex art. 416 c.p.p., comma 1 (Cass. Sez. 1^, 10.10.2006 n. 35703, Sapere, rv.

234895).

Nullità di ordine generale a regime intermedio da ritenersi in ogni caso sanata, a norma dell’art. 183 c.p.p., per effetto della richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato (Cass. Sez. 6^, 1.10.2007 n. 44844, Arosio, rv. 238030).

6.2.2.- Le censure concernenti la sussistenza dell’associazione criminosa avente per oggetto traffici di droga (capo E) e l’adesione alla medesima con ruolo apicale del ricorrente (secondo motivo di ciascuno dei tre ricorsi e quarto motivo del ricorso dell’avv. Ragazzo) sono infondati, scivolando altresì nella indeducibilità (ricorso avv. Putrino) allorchè profilano una reinterpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate involgenti la persona dell’imputato improponibile nel giudizio di legittimità, tenuto conto – per altro – della univoca significanza probatoria dei contenuti di quei dialoghi e della loro agevole lettura compiutane dalle due conformi decisioni di merito.

L’esistenza dell’associazione di cui alla L. Stup., art. 74 è corroborata dall’analisi delle conversazioni captate ripercorse nella sentenza di primo grado e che danno contezza del profilarsi di una organizzazione, per quanto semplice, stabile e costante nell’opera comune di reperire sostanza stupefacente da rivendere al dettaglio nella zona di Catania e che si giova di mezzi attuativi e soprattutto finanziari non certo estemporanei, quando si osservi che nel quadro della operatività di tale sodalizio si inscrivono gli avvenuti sequestri di complessivi tre chili di cocaina con coevi arresti in flagranza dei trasportatori o corrieri seguiti e controllati dalla p.g. proprio grazie alle emergenze rivenienti dai dialoghi ascoltati tra i coimputati (capi E nonies ed E decies assorbiti nella generale contestazione del reato di cui al capo E bis).

Il consistente numero di conversazione in cui interviene, direttamente o indirettamente, l’ A. (sentenza del g.u.p., pp. 63-77) in stabile contatto con i correi non lascia dubbi sulla continuità del suo apporto all’organizzazione criminosa e, quanto alla contestata aggravante di cui alla L. Stup., art. 74, comma 2, al suo ruolo centrale nell’assicurare i rifornimenti di cocaina.

Correttamente la Corte di Appello ha osservato come, diversamente da quanto si sostiene nei ricorsi, il concorso associativo criminoso dell’ A. non possa considerarsi contraddetto da siffatta sua specifica funzione di fornitore, atteso che la diversità di funzioni ed anche di utilità che i singoli partecipi si prefiggono di ricavare dalle condotte criminose cui è finalizzata la consorteria non vanificano nè l’adesione nè la natura apicale del contributo che l’imputato offre alla sua operatività (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 6^, 18.3.2003 n. 15740, Madaffari, rv. 226813; Cass. Sez. 1^, 9.12.2008 n. 1849, Cucchiarelli, rv. 242726).

Ne discende la palese infondatezza delle doglianze in ordine al mancato accoglimento della richiesta di parziale rinnovazione dell’istruttoria avanzata dalla difesa dell’imputato al fine di far emergere l’intervenuta assoluzione dei prossimi congiunti dell’ A. nel separato giudizio celebrato nelle forme ordinarie, affatto diverse prospettandosi le posizioni processuali del padre e del fratello dell’ A. rispetto a quella dell’odierno ricorrente.

La Corte di Appello ha correttamente motivato il diniego della rinnovazione dell’istruttoria, pur non essendo tenuta a darne specifica giustificazione.

Mette conto ribadire, infatti, che la rinnovazione anche parziale della istruzione dibattimentale presenta carattere di eccezionalità e può disporsi solo nel caso in cui il giudice di appello ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza che, mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, dovendo il giudice giustificare l’esercizio del potere discrezionale connesso al maturato convincimento della non decidibilità della regiudicanda allo stato degli atti, nel caso di rigetto la relativa motivazione può essere implicita nella stessa struttura argomentativa della motivazione della decisione di appello, evidenziante la sussistenza di elementi sufficienti per una idonea valutazione in punto di responsabilità dell’imputato (cfr.: Cass. Sez. 6^, 21.5.2009 n. 40496, Messina, rv. 245009; Cass. Sez. 5^, 10.12.2009 n. 15320/10, Pacini, rv. 246859).

6.2.3.- I rilievi attinenti alla fattispecie di cui alla L. Stup., art. 73 (capo E bis) ascritta all’imputato (terzo motivo dei primi due ricorsi e secondo motivo del terzo ricorso) ed in special modo alla ravvisata aggravante della quantità ingente della droga oggetto degli episodi criminosi unificati sotto il vincolo della continuazione sono affetti da infondatezza manifesta.

Le conversazioni intercettate esaminate dalle due sentenze di merito conclamano la penale responsabilità concorrente dell’ A. e della aggravante di cui alla L. Stup., art. 80, comma 2.

Aggravante idoneamente motivata dalla sentenza di primo grado (p. 89), cui ha rinviato l’impugnata decisione di appello, fatta palese dagli avvenuti sequestri della cocaina fornita dall’ A. ai sodali siciliani.

6.2.4.- L’affermata responsabilità dell’ A. per il reato di cui all’art. 495 c.p., per aver reso alla p.g. le false generalità di Ca.Gi., di cui al capo E sedecies) della rubrica, responsabilità non resa oggetto di peculiari critiche con gli atti di gravame, è idoneamente affermata dalla sentenza del g.u.p. richiamata per relationem dalla Corte di Appello.

6.2.5.- I rilievi attinenti alla quantificazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche (quinto motivo del primo ricorso e quarto motivo del ricorso personale) non sono consentiti nella presente sede di legittimità.

Essi investono un profilo della regiudicanda, quello del trattamento sanzionatorio, che è riservato all’esclusivo apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insuscettibile di scrutinio di legittimità, quando – come deve constatarsi nel caso di specie – risulti scandito da coerente e non illogica motivazione nelle due sentenze di merito.

7.- Ricorso di B.F..

Con il ricorso del difensore dell’imputato si formulano tre censure.

1. Violazione della L. Stup., artt. 74 e 73 ed insufficienza e illogicità della motivazione.

I giudici di appello hanno confermato la penale responsabilità dell’imputato per il reato associativo e i reati di detenzione illecita di droga in continuazione (capi E, E bis) ascrittigli non enunciando compiutamente, in risposta agli interrogativi posti con l’appello contro la sentenza del g.u.p., gli elementi sui quali è fondata la partecipazione criminosa di B.F..

Le poche conversazioni intercettate riguardanti l’imputato, soggetto del tutto incensurato, rendono fragile ed evanescente la prova della sua adesione al sodalizio criminoso ed altresì del suo coinvolgimento in specifici reati fine.

Non sono emersi peculiari contatti del ricorrente con i suoi coimputati.

Premesso che dalla commissione dei reati fine non può semplicisticamente desumersi l’esistenza di una stabile associazione dedita al narcotraffico, come sembrano aver argomentato le due sentenze del g.u.p. e della Corte di Appello, il ruolo di B. F. viene in risalto unicamente perchè sollecitato a saldare un debito contratto dal coimputato fratello Ba.Le. per una fornitura di stupefacente.

Tale presunta consonanza di interessi con il fratello non basta per accreditare la responsabilità concorrente dell’imputato negli stessi fatti attribuiti al congiunto.

La doglianza è infondata, ai limiti della genericità (riproduce gli analoghi motivi di censura svolti avverso la sentenza di primo grado).

La realtà processuale è probatoria è di tutt’altro segno, delineando il coinvolgimento criminoso del ricorrente nel reato associativo e nei reati strumentali.

La sussistenza del comparto associativo L. Stup., ex art. 74 è stata già vagliata nel trattare il ricorso di A.M. (di cui il ricorso del B. replica il secondo motivo del primo atto di impugnazione).

Il corretto rinvio della sentenza di appello alla decisione di primo grado non lascia incertezza sul ruolo criminoso di B.F., interamente assimilabile a quello del fratello Ba.Le. per il quale si registra soltanto un maggior numero di conversazioni captate (sentenza g.u.p., p. 86: "L’inserimento stabile dei fratelli B. nel sodalizio si desume dalle conversazioni registrate, la cui lettura rende manifesta la non occasionalità del vincolo che li unisce agli altri sodali e il fattivo interessamento per la realizzazione degli scopi sociali.

I B. appaiono strettamente legati sia al C. che all’ A.; si recano varie volte a Rosarno residenza di A. e si occupano degli aspetti logistici della permanenza dell’ A. a Catania in occasione degli incontri finalizzati alla programmazione delle attività illecite…trafficano poi sia come componenti del sodalizio che in proprio, ma sempre approvvigionandosi dall’ A…. B.F. collabora di regola con il fratello, ma ha un rapporto diretto con l’ A., tanto che per il calabrese è sostanzialmente indifferente trattare con l’uno o con l’altro").

2. Violazione della L. Stup., art. 80, comma 2 e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della quantità ingente della droga oggetto del reato continuato di cui alla L. Stup., art. 73, desunta dal solo dato ponderale dei compendi di cocaina sottoposti a taluni sequestri.

Mancano ulteriori essenziali elementi su natura qualitativa della sostanza in sequestro (principio attivo) e su numero di dosi droganti ricavabili.

Il motivo di ricorso è manifestamente infondato per le ragioni già esposte in relazione al ricorso di A.M. (antea 6.2.3), le cui ragioni di censura sono interamente trasfuse nell’analogo motivo di impugnazione del B..

3. Eccessiva gravosità della pena, che avrebbe potuto essere calcolata partendo da una meno alta pena base per il più grave reato associativo e applicando nella loro massima estensione le riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.

Il rilievo non è consentito nella odierna sede, investendo il tema sanzionatorio motivatamente trattato dai giudici di appello con valutazioni non sindacabili da parte del giudice di legittimità. 8.- Ricorso di Ba.Le..

Per Ba.Le., la cui posizione è stata incidentalmente vagliata nell’esame della posizione del fratello B.F., il difensore ricorrente prospetta tre motivi di ricorso.

1. Erronea applicazione della L. Stup., art. 74 e motivazione insufficiente e illogica in punto di confermata esistenza di una effettiva associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti e dell’adesione alla stessa di Ba.Le..

I giudici di merito hanno creduto di valorizzare, incongruamente, i rapporti diretti instaurati dal Ba.Le. con C. G. e con A.M., considerati i due vertici del sodalizio criminoso, ma non hanno chiarito gli specifici elementi che darebbero conto della sicura partecipazione delittuosa dell’imputato, quando si osservi che i rapporti personali e di "familiarità" intessuti dall’imputato con l’ A. nascono da un periodo di loro comune detenzione carceraria dopo la quale sono rimasti in contatto.

Il che spiega l’ospitalità e la sollecitudine mostrata dal Ba.

L. quando A. giunge a Catania per incontrarsi con C. e altri sodali.

Del resto in occasione di questi incontri e in particolare di quello svoltosi nel bar (OMISSIS) l’imputato si limita ad accompagnarvi l’ A., rimanendo tuttavia all’esterno del locale senza partecipare alla riunione.

Se non è revocabile in dubbio che Ba.Le. ha contratto un debito verso l’ A. per una fornitura di cocaina, è poco ragionevole che egli saldi tale debito con un proprio assegno di 400,00 Euro, perchè se davvero fosse stato partecipe del gruppo criminoso, dotato di una cassa comune, il debito avrebbe dovuto essere riferibile a tutti i consociati.

Non è dunque dimostrata, quanto meno per la parte che riguarda il Ba.Le., l’affectio societatis che deve necessariamente coniugarsi ad una associazione criminosa.

L’esteso motivo di ricorso, che sconta il prezzo una motivazione della sentenza impugnata, che pur esauriente e logica, è in forza del principio devolutivo dell’impugnazione corrispondente alla genericità dei motivi di appello, ripresi e approfonditi con il presente ricorso, non è fondato, poichè risulta avulso da una effettiva lettura critica della motivazione elaborata dai giudici di appello e, per quanto appena detto, dalla sentenza di primo grado.

Unitariamente lette, le due sentenze ripercorrono, attraverso la disamina dei dialoghi intercettati e dei servizi di controllo di p.g.

(sorretti dalla relativa documentazione visiva) interessanti la persona di Ba.Le., gli elementi di prova che radicano la corresponsabilità dell’imputato per i fatti di reato a lui contestati.

Nè in questa sede è possibile accedere alla rivisitazione dei dialoghi intercettati prefigurata con il ricorso (v. sentenza di appello, pp. 37-39; sentenza del g.u.p., pp. 72,82 ss.).

2. Erronea applicazione della L. Stup., art. 80, comma 2 per il reato continuato su E bis), non sorretta da adeguata motivazione.

La censura, che – conviene chiarire – è comune pressochè a tutti i ricorrenti, anche inseriti nelle altre associazioni criminose l.

Stup., ex art. 74, ai quali l’aggravante della quantità ingente della sostanza stupefacente sia stata contestata per i reati fine L. Stup., ex art. 73, è manifestamente infondata per la ragioni già esposte.

La sentenza di primo grado e la sentenza della Corte di Appello di Catania hanno puntualizzato una giustificazione della riconosciuta aggravante, corretta e logica, necessariamente radicata sul fondamentale elemento ponderale delle quantità di droga trattate dagli imputati (dialoghi sui prezzi di acquisto "all’ingrosso" presso rifornitori, calabresi, napoletani, spagnoli e olandesi per quel che si evince dalle sentenze di merito) ovvero in più occasioni sottoposte a sequestro grazie alle operazioni di p.g. collegate all’ascolto delle conversazioni intercettate tra gli imputati.

3. Difetto di motivazione in riferimento alla mancata concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche.

Il motivo di impugnazione è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale enunciato le ragioni, affatto logiche e giuridicamente corrette, stimate ostative alla concessione delle invocate attenuanti innominate.

9.- Ricorso di Ba.Gi..

Il ricorso del difensore enuncia due motivi di impugnazione.

1. Vizio di motivazione sulla sollevata questione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., comma 2, del combinato disposto degli artt. 64 e 66 c.p.p. nella parte in cui si impone all’indagato di rispondere alla domande che gli sono poste sulle proprie generalità, consentendo di utilizzare la risposta come saggio per finalità di comparazione audiofonica, senza che l’indagato possa sottrarsi a tale accertamento.

Investita dalla questione la Corte di Appello l’hanno respinta, non fornendo una giustificazione adeguata.

I giudici di appello, infatti, hanno erroneamente ritenuto che il saggio fonico del Ba.Gi. per fini di comparazione tecnica, accertamento di assoluta rilevanza perchè incidente sulla corretta identificazione dell’imputato come dialogante in alcune conversazione captate in corso di indagini, sia stato estrapolato dal contenuto del suo interrogatorio e non, invece, unicamente dalle risposte dallo stesso rese sulle generalità ai sensi dell’art. 66 c.p.p..

La censura, già sollevata davanti al g.u.p. e da questi respinta, è priva di pregio.

La Corte di Appello (sentenza, pp. 14-15) ha giudicato manifestamente infondata la proposta questione, argomentando la piena utilizzabilità ai fini identificativi della persona dell’indagato/imputato delle dichiarazioni sulle generalità da costui fornite all’autorità giudiziaria procedente, purchè precedute – come è avvenuto nel caso del Ba.Gi. – dai rituali avvertimenti di cui all’art. 64 c.p.p., comma 3 (come novellato dalla L. 1 marzo 2001, n. 63 sul giusto processo), aggiungendo che l’identificazione dell’imputato compiuta in base alle dichiarazioni (registrate) dallo stesso rese, consente di affermarne la penale responsabilità, perchè l’ordinamento non impone il ricorso alle procedure previste dall’art. 349 c.p.p. se non in presenza di dati di fatto che accreditino la falsità di tali dichiarazioni (Cass. Sez. 2^, 13.6.2003 n. 37103, P.G. in proc. Dallandyshja, rv. 226805).

Evidenziata la genericità dell’indicazione nel ricorso del parametro costituzionale di riferimento ( art. 24 Cost.) che dovrebbe considerarsi eluso dall’avvenuta utilizzazione come saggio fonico delle dichiarazioni rilasciate dal Ba.Gi. nella fase introduttiva del suo interrogatorio, oltre alle ragioni di rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni espresse dalla sentenza di appello, è opportuna una ulteriore decisiva osservazione.

Nel rammentare che – come affermato da questa Corte regolatrice (Cass. Sez. 1^, 7.6.2007 n. 24178, Cavaliere, rv. 236957) – il saggio fonico, per la sua oggettiva natura di documento (sia pure di natura particolare), non dispiega concreti effetti sulla sfera di libertà del soggetto interessato e non richiede specifiche modalità formali di acquisizione agli atti processuali, l’asserita inutilizzabilità del saggio fonico addotta dalla difesa del ricorrente (e non certo la nullità dell’acquisizione da alcuna norma prevista) deve comunque intendersi sanata in radice a seguito della definizione del giudizio con rito abbreviato e, quindi, con piena utilizzabilità degli atti compiuti o acquisiti durante le indagini, non affetti da insanabile nullità. 2. Difetto di motivazione in riferimento alla confermata responsabilità del Ba.Gi. per il reato associativo e il reato fine ascrittigli.

La Corte di Appello non ha risposto ai quesiti enunciati nell’atto di appello in merito alla corretta identificazione dell’imputato come del soggetto che (tale " Pi.") interverrebbe in sole tre conversazioni intercettate, meritevoli di attenzione ai fini della verifica sui fatti reato in esame, avvenute a bordo dell’autovettura in uso al coimputato C.G.. Conversazioni in base alle quali si ipotizza che il ruolo del Ba.Gi. in seno all’associazione sia quello di custodire la droga destinata al commercio illegale, benchè di simile evenienza non vi sia alcuna concreta emergenza probatoria.

Per altro lo stesso Tribunale del riesame ha rilevato, in fase cautelare, le incertezze identificative che caratterizzano la posizione del ricorrente.

Il motivo di ricorso è infondato e, in vero, sostanzialmente indeducibile nella parte in cui profila una rivalutazione delle fonti di prova pure adeguatamente vagliate dalle due concordi decisioni di merito.

La comparazione fonica eseguita dopo l’annullamento della prima ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del Ba.

G. ha prodotto esiti positivi sì da non lasciare reali dubbi sulla identificazione del Ba.Gi. per l’individuo con cui dialoga il C. e al quale è attribuito lo specifico compito di custodire la droga dell’organizzazione criminosa (i giudici di merito richiamano, incidentalmente, i precedenti penali specifici dell’imputato).

Nè può ipotizzarsi la necessità di verifiche più approfondite, una volta che il giudice abbia raggiunto (a prescindere dal rito con cui è svolto il giudizio di merito sulla regiudicanda) il convincimento della paternità della voce dell’interlocutore del C. nelle conversazioni riguardanti il Ba.Gi. (cfr.

Cass. Sez. 4^, 18.10.2007 n. 43409, Artiaco, rv. 237985).

10.- Ricorso di C.G..

Sono articolati due motivi di impugnazione.

1. Violazione degli artt. 581 e 591 c.p.p. e carenza di motivazione in ordine alla dichiarata inammissibilità dell’appello dell’imputato contro la sentenza di primo grado limitatamente al reato di associazione mafiosa di cui al capo A) della rubrica per aver aderito al clan Cappello.

La Corte territoriale ha impropriamente considerato generico e privo di reali ragioni critiche il motivo di gravame sul reato associativo mafioso, le cui ragioni erano – invece – esposte con sufficiente chiarezza, sì da indurre i giudici di appello a valutare gli elementi di prova asseveranti la partecipazione dell’imputato al sodalizio mafioso diretto da Ca.An..

La doglianza è infondata.

Effettivamente il motivo di appello (per intero traslato nel ricorso) concernente il reato associativo mafioso, ma analogo discorso avrebbe potuto svilupparsi per il concorrente reato di cui alla L. Stup., art. 74 (rilievo valevole anche per la coimputato D.F. C., moglie del C. cui pure è ascritta la partecipazione all’associazione dedita al traffico di stupefacenti, appellante con lo stesso atto), è privo di specificità e di spessore critico, sì che correttamente i giudici del gravame ne hanno deliberato la inammissibilità ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c), in rel. art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

Il che non impedisce di constatare che comunque la sentenza di appello ha necessariamente preso in esame la posizione del C. nella motivazione concernente l’associazione mafiosa facente capo alla famiglia catanese dei Cappello, ponendo in risalto il ruolo partecipativo del sodalizio svolto dal C..

2. Violazione della L. Stup., artt. 74 e 73 e difetto di motivazione in riferimento ai reati di associazione dedita al narcotraffico e di detenzione continuata di stupefacenti per fini illeciti (capi E, E bis), alle contestate aggravanti del numero dei concorrenti nel reato, del ruolo direttivo svolto dall’imputato, della quantità ingente della droga detenuta nonchè in ordine al ritenuto concorso del reato L. Stup., ex art. 74 con il reato di associazione mafiosa.

In riferimento alla brevità del periodo temporale in cui sarebbe stata operativa l’associazione in materia di stupefacenti (dall’ottobre 2003 al febbraio 2004) e alla modestia degli elementi di prova che attingono il C., cui è attribuibile una sola operazione di acquisto di cocaina presso il coimputato A., manca la dimostrazione di quella stabilità del vincolo tra i coimputati (affectio societatis) che è elemento necessario di una associazione penalmente rilevante.

La Corte di Appello di Catania non è fatta carico di esaminare con la dovuta attenzione i motivi di gravame che mettevano in luce le lacune probatorie e descrittive della sentenza di primo grado.

I rilievi del ricorrente sono manifestamente infondati e privi di specificità, traducendosi nella replica dei medesimi motivi di appello, che la Corte territoriale ha compiutamente preso in esame, segnalandone l’incongruenza e assertività a fronte del cospicuo materiale probatorio che investe la posizione del C. in seno al sodalizio criminoso in una veste certamente direttiva e organizzativa del contributo criminoso dei coimputati.

Le numerose conversazioni intercettate tra l’imputato e il "fornitore" coimputato A. e quasi tutti gli altri coimputati ne costituiscono la più convincente dimostrazione in uno al costante interessamento del C. nell’assicurare a sè e ai correi cospicui quantitativi di droga da spacciare a Catania, ben oltre il solo episodio in cui egli dovrebbe ritenersi coinvolto secondo la riduttiva lettura del ricorso.

Al riguardo è pienamente pacifica la diretta partecipazione del C., seguita attraverso i suoi contatti telefonici e i dialoghi captati, ai due acquisti di cocaina conclusisi con l’arresto in flagranza dei corrieri e con il sequestro in un caso di un chilo di droga (30.11.2003) e nell’altro di due chili di cocaina (6.12.2003).

Le critiche svolte con i motivi di appello hanno tutte ricevuto una coerente e adeguata risposta dalla sentenza impugnata, ivi incluse – per quel che si è già puntualizzato in margine alle posizioni di altri ricorrenti – quelle sull’aggravante di cui alla L. Stup., art. 80, comma 2 (quella del numero dei concorrenti emergendo in re ipsa in ragione del numero degli aderenti al sodalizio criminoso e dei partecipanti agli episodi di acquisizione e detenzione della droga.

Con corretti argomenti, infine, la sentenza di appello ha ribadito la compatibilità, in regime di concorso formale, tra condotta di partecipazione a una associazione mafiosa e quella di partecipazione ad una associazione diretta al traffico degli stupefacenti (v. Cass. S.U., 25.9.2008 n. 1149/09, Magistris, rv. 241883: "I reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi").

11.- Ricorso di D.F.C..

L’impugnazione prospetta un unitario articolato motivo di censura per erronea applicazione della L. Stup., artt. 73 e 74 e per carenza o insufficienza di motivazione.

La tesi centrale, sviluppata nell’atto impugnatorio, è che i pretesi coinvolgimenti criminosi della donna nelle illecite attività criminose del marito C. tali non sono, essendo il frutto unicamente del rapporto sentimentale che lega la D.F.C. all’uomo.

Soffermatosi sui caratteri distintivi dell’associazione criminosa disciplinata dalls L. Stup., art. 74, il ricorso passa in rassegna una conversazione intercettata (ambientale del 28.12.2003) dalla quale sarebbe possibile dedurre la concreta estraneità della D. F.C. ai traffici riferibili al C. e ad altri coimputati.

Di tal che i giudici di secondo grado, facendo proprie le sommarie conclusioni della sentenza del g.u.p. del Tribunale, hanno ritenuto di confermare la responsabilità della ricorrente per entrambi i reati contestatile, pur difettandone convincenti e convergenti prove.

La particolareggiata censura non ha fondamento fino a lambire in contorni della indeducibilità.

Dopo le inconferenti considerazioni arricchite da superflui richiami alla giurisprudenza di questa S.C. (che iura novit curia) l’atto impugnatorio opera una critica alla decisione di condanna che è in buona sostanza scandita da una riduttiva e non proponibile rilettura, per altro parziale, delle fonti di prova che investono la posizione di D.F.C..

Alla conversazione intercettata citata nel ricorso ne seguono altre, alle quali la sentenza del g.u.p. del Tribunale di Catania dedica specifica attenzione, evidenziando come dalle stesse si delinei a tutto campo un ruolo pienamente partecipativo della D.F.C. agli eventi criminosi ascrittile, tanto che in un caso il C. la esorta a trovare persone che provvedano ad acquistare la droga direttamente da lui senza intermediazione di altri soggetti (31.10.2003).

In altra telefonata (4.11.2003) la donna è avvisata dal C. dell’imminente arrivo a Catania dei suoi "soci" calabresi (l’ A., sedicente Ca.Gi., con il coimputato Bo.Gi. e un altro uomo).

Successivamente la donna si interpone nei contatti tra il convivente C. e il coimputato A. (29.11.2003), mostrandosi pienamente partecipe dei progetti criminosi dei due.

E’ ancora la D.F.C., per tacere di altri suoi interventi, che avverte Cr.Gi. che deve recarsi a Rosarno (dove si trova C.) per curare il trasporto di una partita di droga a Catania (è l’episodio conclusosi con l’arresto in flagranza al suo rientro in Sicilia del Cr.Gi., rinvenuto in possesso di due chili di cocaina).

Ed allora in totale adesione alle emergenze processuali la Corte di Appello di Catania può fondatamente dedurre che la condotta criminosa della ricorrente, informata delle operazioni di acquisto e di trasporto della droga nonchè dei rapporti instaurati dal C. con gli altri imputati, con cui ella stessa ha diretti e personali contatti, non può in alcun modo reputarsi "estravagante rispetto ad una partecipazione consapevole e attiva" della D.F. C. ai reati attribuitile.

12.- Ricorso di Bo.Al..

Il ricorso dell’imputato propone tre motivi di censura.

1. Mancanza, illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione relativa al reato associativo di cui al capo D) della rubrica. La decisione di appello si limita a riportare le conclusioni della sentenza del g.u.p., non esaminando – neppure per smentirli – i dettagliati motivi di appello enunciati contro tale decisione di primo grado.

Incongruamente la posizione di Bo.Al. è accorpata a quella del coimputato D.M.A., cui si attribuisce un ruolo direttivo della associazione dedita al traffico di stupefacenti.

La motivazione dei giudici di secondo grado, connotata da un improprio richiamo per relationem alla prima sentenza di merito, non si è curata di affrontare i temi di doglianza concernenti la critica alla interpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate proposta dal g.u.p., adagiandosi su riferimenti estemporanei e talvolta erronei in fatto ed attribuendo al Bo. una indefinita funzione di intermediazione nel reperimento dei fondi necessari per assicurare gli acquisti di droga da rivendere.

Non solo la Corte di Appello ha dato per scontata la sussistenza di una vera associazione criminosa L. Stup., ex art. 74, ma non ha offerto una motivazione effettiva della confermata responsabilità del ricorrente, tale non potendo ritenersi "il riferimento generico ad episodi dei quali non vengono specificate le dinamiche".

Il motivo di ricorso non ha fondamento, apparendo – anzi – generico, al di là dei perentori giudizi censori espressi sulla decisione impugnata, avulsi tuttavia da una reale lettura critica dei passaggi della sentenza che, in uno alla confermata decisione di primo grado, attestano la responsabilità associativa del Bo..

Il giudizio in base al quale il giudice di primo grado valuta acquisita piena prova della penale responsabilità di Bo.

A. per il reato associativo scaturisce dalla analisi, aderente ai contenuti agevolmente decifrabili dei colloqui intercettati, delle conversazioni intercorse tra l’imputato e i correi Bu.Ro. e D.M.A., che mettono in chiaro il diretto coinvolgimento nei traffici del gruppo criminoso, l’adesione alla sua progettualità antigiuridica e la consapevolezza della finalizzazione dei propri contegni alla attuazione di tale progettualità in un contesto di unità di intenti e di azione con i coimputati.

A tale analisi si è correttamente riportata la Corte di Appello, giudicando incongrua la interpretazione alternativa dei colloqui proposta con l’atto di appello.

Di tal che largamente sufficiente e improntata a corretta logica deduttiva si mostra la decisione di secondo grado, quando – in termini sintetici ma esaurienti – prende in esame la posizione processuale di Bo.Al. (p. 37), senza necessità di dover indugiare nella disamina critica di tutte le rivisitazioni dei colloqui captati proposta con l’atto di appello (allegato anche al ricorso odierno).

Fuor d’opera è il rilievo critico sulla mancata dimostrazione da parte della sentenza di appello della ravvisabilità nei fatti indagati degli elementi costitutivi della associazione per delinquere di cui alla L. Stup., art. 74.

Problematica che la sentenza impugnata affronta in forma pregiudiziale in ragione dell’evenienza per cui nel presente processo la piattaforma accusatoria contesta agli imputati la formazione di ben quattro sodalizi finalizzati al traffico di stupefacenti (capi C, D, E, F).

Muovendo dal presupposto che la tipizzazione della fattispecie plurisoggettiva di cui alla L. Stup., art. 74 è scandita sul piano organizzativo, rivelatore della effettività di una associazione e del relativo pactum sceleris, dai caratteri della continuità spazio- temporale e della stabilità modale e referenziale dei contegni illeciti che ne costituiscono l’attuazione, la sentenza impugnata ha chiarito come le consorterie delittuose contestate a più imputati nel processo si inseriscano, in definitiva, in ambiti intermedi della catena commerciale e distributiva degli stupefacenti, in cui l’assetto organizzativo si manifesta in forme fluide e flessibili, privilegiando – più che rigidi schemi gerarchici distinti da ruoli funzionali fissi di ciascun membro – la sfera delle relazioni reciproche e incrociate tra i diversi consociati. Relazioni che si sviluppano nel contempo secondo coeve direttrici verticali (rapporti con fornitori di quantitativi di droga, tali da poter essere rivenduti con ampia diffusione sul mercato clandestino e orizzontali (ramificazioni deputate alla vendita). Connotazioni che ben si coniugano con il fatto che più soggetti "associati" L. Stup., ex art. 74 non disdegnano di operare anche come spacciatore al minuto ovvero di attivarsi per assicurare le forniture di droga al gruppo.

Ha buon motivo la Corte territoriale di ribadire che l’assetto organizzativo di un sodalizio deputato al traffico di stupefacenti presenta, secondo quanto più volte affermato da questa S.C., segni distintivi più sfumati rispetto ad apparati criminali di altra natura (soprattutto di stampo mafioso), come deve desumersi dalla stessa previsione dell’attenuante di cui alla L. Stup., art. 74, comma 6 integrata da una associazione dedita a commettere fatti reato di piccolo spaccio.

Nondimeno la sentenza di appello dimostra, in virtù di una adeguata disamina dei dati probatori, che nessuna delle quattro associazioni delinquenziali per cui è processo può riduttivamente considerarsi come un aggregato estemporaneo o precario di soggetti mossi da comuni esigenze economiche, che agisca secondo logiche momentanee od effimere.

Merita aggiungere, da un lato, che il delitto di partecipazione ad una associazione per delinquere l. Stup., ex art. 74 si atteggia quale reato a cosiddetta forma libera, nel senso che qualunque contegno, con qualsiasi modalità attuato, purchè causalmente collegato all’evento tipico (cioè idoneo a cagionarlo: persistenza dell’assetto associativo e dell’immanente accordo dei sodali), assume connotati realizzativi della materialità di tale fattispecie delittuosa.

Da un altro lato, se per la configurazione di una associazione per delinquere finalizzata a traffici di stupefacenti occorre la presenza dei medesimi requisiti che distinguono il delitto di associazione di tipo comune ( art. 416 c.p.), non è però necessario ai fini della L. Stup., art. 74 che accanto alla specificità dei reati-fine sussista un’articolata e complessa organizzazione dotata di disponibilità finanziarie e strumentali per attuare un esteso commercio di stupefacenti, essendo sufficiente anche la semplice ed elementare predisposizione di mezzi, forniti pur occasionalmente da uno o più degli associati o compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare con i crismi di una qualche stabilità temporale il progetto delinquenziale per cui il vincolo associativo è sorto (cfr., ex pluribus: Cass. Sez. 6^, 6.11.2006 n. 41717, Geraci, rv. 235589; Cass. Sez. 1^, 9.12.2008 n. 1849/09, Cucchiarelli, rv. 242726).

2. Mancanza, illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione relativa al reato fine di cui al capo D bis) della rubrica.

La Corte di Appello non ha motivato la riaffermata responsabilità del ricorrente per il reato di detenzione continuata per fini di spaccio di sostanza stupefacente, omettendo di prendere in esame i numerosi motivi di censura esposti con l’atto di appello.

Il motivo di ricorso costituisce la replica del precedente motivo di censura attinente al reato associativo trasferito al reato strumentale i cui referenti dimostrativi della colpevolezza del ricorrente non sarebbero stati considerati dai giudici di secondo grado.

Il motivo è infondato per le stesse ragioni espresse in ordine alla omologa anteriore censura, avuto riguardo alla sufficiente e corretta motivazione con cui la sentenza di appello, ancora in virtù degli inequivoci contenuti dialogici di più conversazioni intercettate, ha confermato la colpevolezza dell’imputato per gli episodi di cui alla L. Stup., art. 73 che coinvolgono la sua persona (sentenza, pp. 42- 43).

3. Difetto di motivazione in riferimento alla mancata concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte etnea apprezzato gli argomenti ed elementi proposti a sostegno nell’atto di appello.

Il motivo di impugnazione è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale enunciato le ragioni, affatto logiche e giuridicamente corrette, stimate ostative alla concessione delle invocate attenuanti innominate.

13.- Ricorso di B.A..

All’imputato sono ascritti: il concorso nel reato di illecito traffico continuato di cocaina con ruolo di promotore della cooperazione criminosa di cui al capo E bis), la partecipazione con ruolo di promotore e organizzatore, unitamente a Ni.Sa., dell’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo F), il concorso nel reato di illecita detenzione per fini di spaccio di dieci grammi di cocaina di cui al capo F bis), i reati di detenzione e porto illegali di armi da sparo e di munizioni per dette armi.

Con il ricorso si propongono censure riassumibili in non meno di otto motivi.

1. Erronea applicazione della L. Stup., art. 74 e difetto di motivazione in ordine al reato associativo sub F).

La sentenza di appello ipotizza l’attività posta in essere dall’imputato e dal coimputato Ni.Sa. come espressione di un sodalizio criminoso senza che ricorrano i requisiti minimi di un siffatto organismo delinquenziale ovvero della semplice condotta di partecipazione.

L’accusa ipotizza la formazione di un autonomo sottogruppo criminoso costituito dal ricorrente, dallo zio Bo.Fr. e dal Ni.Sa., che tuttavia opera per un periodo di tempo limitatissimo (meno di due mesi). Le conversazioni indizianti che investono il B. sono soltanto tre, ma da esse non è consentito desumere in alcun modo la sussistenza di una associazione criminosa.

Per altro il B. è stato mandato assolto dal concorrente reato di partecipazione alla associazione L. Stup., ex art. 74 facente capo all’ A. (con cui pure sono registrate sue conversazioni) ed al C..

La censura non è fondata.

Le due conformi sentenze di merito traggono elementi di prova della responsabilità associativa dell’imputato dai dati conoscitivi offerti dalle conversazioni telefoniche intercettate e dal significativo riscontro che esse ricevono dalla confessione resa da Ni.Sa., nel quadro dell’opera di collaborazione con la giustizia dallo stesso intrapresa e poi cessata. Confessione che esplicitamente chiama in correità il B. come partecipe dei traffici architettati per acquisire e rivendere la droga.

La sentenza di appello ha adeguatamente motivato il giudizio confermativo della decisione di primo grado in punto di pacifica colpevolezza dell’imputato e del Ni.Sa., il B. avendo patteggiato la pena in appello (sentenza, pp. 40-41).

2. Difetto di motivazione in ordine al ruolo di promozione e direzione dell’associazione criminosa sub F) ed alla ritenuta aggravante di cui alla L. Stup., art. 74, comma 3 per la presenza di correi dediti all’uso di sostanze stupefacenti (secondo e terzo motivo di ricorso).

La Corte di Appello non ha motivato sui rilievi corrispondenti ai descritti profili formulati con l’appello (rilievi riprodotti in ricorso).

Le doglianze sono infondate poichè trovano congrua risposta nella sentenza di primo grado, correttamente richiamata per relationem dalla sentenza impugnata per quanto qui di interesse.

I ruoli apicali svolti in seno al sodalizio criminoso dal B. e dal Ni.Sa. emergono dalle captazioni foniche e quello di soggetto tossicodipendente del coimputato Fi.

A. dalla informativa o comunicazione di notizia di reato che segnala come lo stesso sia stato affidato in prova ai servizi sociali in applicazione di misura alternativa alla detenzione per reati in materia di stupefacenti.

3. Difetto di motivazione in punto di confermata partecipazione criminosa dell’imputato al reato continuato di cui alla L. Stup., art. 73 contestato con il capo E bis) della rubrica.

La sentenza di appello tralascia di confutare gli argomenti addotti con i motivi di appello (anche in questo caso riprodotti con il ricorso), limitandosi ad un richiamo ricettizio al materiale probatorio formato dalle intercettazioni, emettendo un apodittico giudizio di responsabilità nei termini ritenuti dal primo giudice.

Alla carenza di motivazione nel caso specifico non possono far velo i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di legittimità di una motivazione relazionale con la sentenza di primo grado, quando questa sia integralmente confermata in appello (principio della decisione c.d. doppia conforme).

E’ pur sempre necessario, infatti, che la sentenza confermativa rechi quanto meno un nucleo argomentativo che renda conto dell’avvenuto esame dei motivi di impugnazione e della loro delibazione; nucleo di cui non vi è traccia nella decisione impugnata.

Il motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.

Vuoi perchè il richiamo motivazionale alla decisione di primo grado effettuato dai giudici di appello è corretto e conforme ai criteri dettati dalla giurisprudenza di questa S.C..

In vero nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a svolgere una meticolosa analisi di tutte le deduzioni delle parti e ad esaminare tutte le risultanze processuali richiamate, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi in modo logico e adeguato le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, in guisa che debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 4^, 24.10.2005 n. 1149, Mirabilia, rv. 233187).

Del resto il canone della concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata che deve fondare ogni decisione ( art. 546 c.p.p., comma. 1, lett. a), esclude il vizio di legittimità, quando nella motivazione il giudice abbia dato conto delle ragioni in fatto e in diritto che sorreggono il suo giudizio confermativo di una anteriore decisione di merito.

La responsabilità di B.A. è ampiamente motivata, in base a dati non confutabili, nella sentenza del g.u.p. con riguardo ai riscontrati rapporti e contatti (intercettazioni) intrattenuti dal ricorrente con i coimputati A. e C. (sentenza g.u.p., pp. 69-71).

4. Mancanza di motivazione in ordine alla ritenute aggravanti di cui alla L. Stup., art. 80, comma 2 e all’ art. 112 c.p., comma 1, n. 2 (promossa cooperazione dei correi nel reato) qualificanti il fatto sub E bis).

La Corte di Appello non ha dato alcuna risposta ai motivi di appello dedotti in merito alla ricorrenza di tali aggravanti. Nè la sentenza di primo grado offre delucidazioni al riguardo.

Il motivo deve considerarsi infondato per le ragioni appena esposte in tema di motivazione implicita, quale deve ritenersi quella desumibile dalle due concordi sentenze di merito in ordine alla qualificazione circostanziale del fatto reato di cui al capo E bis) (in cui sono state sussunte le contestazioni di altri analoghi fatti reato).

Ma il motivo si delinea altresì improponibile per mancanza di interesse attuale e concreto del ricorrente, dal momento che la pena inflittagli stata determinata assumendo come pena base quella per il più grave reato associativo L. Stup., ex art. 74, incrementata ex art. 81 cpv. c.p. per gli altri reati attribuiti al B., ivi incluso quello sub E bis).

Di tal che tale ultimo reato è stato apprezzato nella sua valenza globale di ulteriore condotta antigiuridica, in tal modo sostanzialmente elidendosi le circostanze aggravanti oggi contestate con il ricorso.

5. Mancanza e illogicità della motivazione in rapporto ai reati concernenti la detenzione di armi da fuoco sub F quater) ed F quinquies).

La detenzione di una presunta pistola di cui al capo F quater) è desunta da una unica telefonata tra l’imputato e un interlocutore non identificato, cui si attribuisce la susseguente consegna di una pistola al B..

Ma da nessun altro dato si evince che l’oggetto della conversazione (avvenuta l’ultimo dell’anno 2003) sia stata una vera arma da sparo e non, invece, dei semplici artifici o giochi pirotecnici.

Quanto al compendio di armi, compresa una mitraglietta, di cui al capo F quinquies), il concorso del B. nella loro detenzione è tratto da una conversazione avvenuta il 13.1.2004 con il coimputato D’.Sa. (le armi sono state ritrovate in uno sgabuzzino annesso all’abitazione di costui), al quale il ricorrente chiederebbe la consegna di "qualcosa" che D’.Sa. deterrebbe per suo conto.

Tenuto conto del fatto che la perquisizione domiciliare presso il D’.Sa. è stata eseguita soltanto l’8.4.2004, cioè tre mesi dopo la conversazione con B., non vi alcuna seria prova che le armi detenute dal D’.Sa. siano state di pertinenza dello stesso B..

La Corte di Appello ha liquidato i motivi di appello con poche righe, in pratica omettendo di rispondere.

La censura è manifestamente infondata, oltre che indeducibile iccome imperniata su argomenti di mero fatto.

Congruamente la sentenza impugnata si è riportata alla condivisa analisi del primo giudice.

Il contenuto della conversazione del 31.12.2003 è interpretato, con argomenti logici, come riferito alla richiesta del B. di una pistola avanzata al conoscente An.Ma. (inteso Zi.) coimputato nel presente processo (anche se B. parla con altro uomo presente in casa, che però l’avverte che An.Ma. sta per raggiungerlo con l’oggetto richiesto in margine al quale i due discutono di "colpi").

L’evenienza per cui le armi poi trovate in suo possesso siano state detenute dal D’.Sa. per conto del ricorrente è accreditata dalle oggettive indicazioni che D’.Sa., al momento impossibilitato, fornisce a B. per individuare il posto in cui troverà quanto gli occorre, segnalandogli proprio la localizzazione del ripostiglio in cui saranno trovate le armi, accanto al quale vi è la cuccia di un cane ( D’.Sa.: "appena trasi a destra c’è a casa ro cani").

6. Difetto di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, che la Corte di Appello connette al ruolo di vertice ricoperto dal B. in seno all’associazione dedita al narcotraffico.

Ruolo di cui la sentenza non fornisce esaustiva giustificazione.

Il motivo è manifestamente infondato. La sentenza di appello, che – in uno alla sentenza di primo grado – ha tratto dalle conversazioni intercettate il ruolo apicale rivestito dall’imputato, ha idoneamente enunciato le ragioni ritenute ostative alla concessione delle attenuanti ex art. 62 bis c.p.. Ragioni non scrutinabili in questa sede.

7. Mancanza di motivazione in ordine alla confermata confisca dell’attività commerciale intestata alla moglie dell’imputato ( St.Br.).

Diversamente da quanto suppongono i giudici di appello non sono oscure le fonti finanziarie con cui è stata acquisita la gestione del bar intestata alla moglie di B., con l’acquisita documentazione essendosi dimostrato che la stessa è stata progressivamente pagata con i proventi della stessa attività commerciale (relazione del custode e amministratore giudiziario del bar).

Il piccolo appartamento con garage, intestato al B. e pure sottoposto a confisca, oltre ad avere un irrisorio valore economico, risulta acquistato dall’imputato nel 2001, quindi in epoca ben precedente le condotte criminose attribuitegli.

Il motivo di censura è ulteriormente ripreso con i motivi nuovi depositati il 18.11.2010.

Le doglianze non sono fondate. La sentenza della Corte di Appello etnea ha motivato con argomenti coerenti e logici la obbligatoria confisca del compendio immobiliare e commerciale facente capo all’imputato (giudicando il bar solo formalmente intestato alla moglie), disposta ai sensi della L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 sexies in relazione ai reati di cui alla L. Stup., artt. 73 e 74.

La Corte ha segnalato, tra l’altro, la manifesta sproporzione esistente tra redditi e attività dichiarati e i beni risultati in disponibilità di B..

Nè può sostenersi che la Corte non abbia tenuto conto di tutte le emergenze processuali, sol che si osservi come abbia giudicato affatto incongruo l’assunto che il pagamento del residuo prezzo dell’esercizio commerciale (bar) intestato alla moglie dell’imputato possa essere stato saldato con i proventi netti dello stesso esercizio.

8. Violazione di legge ( artt. 568 e 593 c.p.p. sul doppio grado del giudizio) e difetto di motivazione sull’accoglimento dell’appello del p.m. e la susseguente condanna per il reato di cui alla L. Stup., art. 73 ascritto col il capo F bis) della rubrica.

La Corte di Appello, senza esporre una motivazione nel merito del fatto contestato, ha ritenuto il reato assorbito nel capo F) e comminato un aumento di pena per due mesi di reclusione.

La doglianza è ripresa anche con i motivi nuovi di ricorso, con cui si riassumono le complessive critiche di carenza della motivazione sollevate nei riguardi della sentenza di appello.

La statuizione della Corte di Appello presenta in effetti una incongruenza.

In motivazione la Corte precisa di accogliere l’impugnazione del p.m. in ordine al detto capo F bis) della rubrica, ma della decisione non vi è traccia in dispositivo, con cui si dichiara il B. colpevole "anche del reato di cui al capo E bis) della rubrica" e si precisa l’incrementata pena di sedici anni e due mesi di reclusione.

Si tratta, nondimeno, di mero errore materiale emendabile da questa stessa Corte regolatrice nei termini indicati in dispositivo, dal momento che non sussistono dubbi sul fatto che la Corte territoriale ha voluto affermare la responsabilità del B. anche per il reato di cui al capo F bis), che per mero errore è indicato (nel dispositivo della sentenza impugnata) come capo E bis), reato per cui B. era stato condannato in primo grado con conferma del relativo giudizio anche in appello.

Sul punto, per altro, l’appellante p.m. si limitava ad evidenziare una semplice discrasia, dal momento che il g.u.p. nel corpo della sentenza aveva motivato la condanna dell’imputato per tale reato sub F bis), omettendo però di riportare la statuizione nel dispositivo della sentenza.

14.- Ricorso di Ni.Sa..

Il difensore dell’imputato enuncia tre motivi di ricorso.

1. Nullità della sentenza per difetto di motivazione.

I giudici di appello non hanno vagliato i rilievi espressi con l’appello avverso la decisione di primo grado in merito alla addotta mancanza di prove della responsabilità dell’imputato per il reato associativo ascrittogli (capo F) ed – in margine a questo – al ritenuto ruolo di promotore nonchè per i due reati L. Stup., ex art. 73 di cui ai capi E bis) ed F bis).

Le emergenze processuali e specialmente le intercettazioni dimostrerebbero il ruolo sottomesso e subordinato del Ni.Sa. rispetto a quello esercitato in ambito associativo dal coimputato B.A..

La doglianza, ai limiti della aspecificità, non è fondata.

Le due conformi decisioni di merito e segnatamente la sentenza di appello danno ampiamente conto degli elementi probatori che sorreggono il giudizio di responsabilità dell’imputato per tutti i fatti ascrittigli, fatto palese dai comportamenti e dai dati delineati dai contenuti delle conversazioni intercettate che, numerose, coinvolgono direttamente la persona del ricorrente.

2. Difetto di motivazione in punto di mancato apprezzamento degli elementi favorevoli all’imputato.

Le conversazioni captate evidenziano un ruolo gregario del Ni.

S., di cui i giudici di appello non hanno tenuto conto neppure per escludere la aggravante del ruolo apicale attribuitagli.

Il rilievo è generico e manifestamente infondato.

Con lo stesso non si precisa, al di là delle vaghe allusioni ai contenuti delle captazioni foniche, quali debbano in concreto considerarsi gli elementi favorevoli all’imputato. Tanto più che questi, come si è chiarito in precedenza, ha reso piena confessione degli addebiti nell’ambito della collaborazione con l’A.G., che poi ha ritenuto di interrompere.

3. Difetto di motivazione in rapporto alla quantificazione della pena per mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Il motivo è manifestamente infondato, poichè la sentenza impugnata ha enunciato le ragioni reputate ostative alla concessione delle attenuanti generiche al Ni.Sa., cui è stata comunque riconosciuta l’attenuante speciale della collaborazione prevista dalla L. Stup., art. 73, comma 7 e art. 74, comma 7. 15.- Ricorso di Ca.An..

All’imputato sono attribuite la promozione e direzione dell’associazione mafiosa Pillera-Cappello (clan Cappello) (capo A) e della associazione formata per finalità di traffici di sostanze stupefacenti (capo C) nonchè la consumazione di reati fine di questa seconda aggregazione criminosa (capo C bis).

L’atto di impugnazione prefigura cinque motivi di ricorso.

1. Omessa applicazione dell’art. 81 c.p., comma 2 in riferimento alla continuazione ravvisabile tra i fatti integranti la associazione mafiosa e quelli oggetto di anteriore sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti del Ca.An. sempre per partecipazione alla medesima consorteria mafiosa del clan Cappello, relativamente ad anni precedenti.

La Corte di Appello, pur riconoscendo la sussistenza del rapporto di continuazione con la precedente condanna, in sede di definizione del trattamento sanzionatorio non ha tenuto conto di tale assunto, omettendo di determinare la pena in continuazione con gli stessi fatti associativi mafiosi già giudicati.

La doglianza è infondata.

Pur dovendosi riconoscere l’ambiguità dell’enunciato della Corte di Appello in riferimento alla continuazione invocata dalla difesa con la precedente condotta di associazione mafiosa per la quale Ca.

A. è stato già condannato in via definitiva (p. 32: "…nè vanno ravvisati elementi per l’esclusione della disciplina del reato continuato…"), deve osservarsi che il ragionamento della Corte sembra esprimersi in senso contrario al riconoscimento della stessa continuazione.

Sì che la rilevata ambiguità lessicale appare essere frutto piuttosto di un refuso grafico che non della reale decisione di applicare la disciplina della continuazione per il reato di associazione mafiosa sub A).

Ragionando diversamente, lo sviluppo del pensiero dei giudici di appello rimarrebbe privo di senso logico e di precisione giuridica.

In vero la sentenza, al passaggio appena citato, aggiunge il rilievo che "sussiste uno "iatus" temporale tra la violazione ascritta e quella di cui alla sentenza della Corte di Appello di Catania emessa il 24.5.2000, trattandosi di effettiva riproposizione ontologica della condotta delittuosa, seppure in un momento successivo".

La menzione dello iatus temporale ravvisabile tra le due serie della omologa condotta di associazione mafiosa è argomento che è solitamente impiegato proprio per disconoscere l’esistenza di una relazione di continuità criminosa tra più condotte illecite, quale elemento di discontinuità nella dimostrazione di una perdurante unitaria progettualità antigiuridica.

In ogni caso l’applicazione della disciplina del reato continuato, implicante tipiche valutazioni di merito precluse al giudice di legittimità, rimane pur sempre applicabile, sussistendone i presupposti, anche nella susseguente fase esecutiva a norma dell’art. 671 c.p.p. (v. Cass. Sez. 1^, 12.5.2006 n. 35797, Francini, rv.

234980).

2. Erronea applicazione della L. Stup., art. 74 e carenza di motivazione in punto di confermata responsabilità dell’imputato per il reato associativo volto al narcotraffico e per il ruolo di promozione e organizzazione assegnato al ricorrente.

La Corte etnea non ha prestato attenzione alla memoria difensiva depositata prima dell’udienza camerale di appello, dando per provata l’effettiva esistenza dell’associazione L. Stup., ex art. 74, ma non dimostrando in cosa sia consistito il reale apporto dell’imputato alla associazione delinquenziale ed alle sue esigenze funzionali ed operative.

La sentenza si limita a ricordare, riportandone le date, i contatti telefonici assunti dall’imputato (ad esempio con il coimputato T.G.), ma non sciogli i dubbi sollevati con in motivi di appello in relazione alla carente prova dello specifico intervento dell’imputato in più episodi criminosi.

A tutto voler concedere al Ca.An. può essere riferito il solo fatto criminoso contestato con il capo C ter) della rubrica, sussunto o assorbito nella contestazione sub C bis), attinente al sequestro di un chilo di cocaina e all’arresto in flagranza del corriere R. N. (Catania 23.10.2003).

Il motivo di ricorso non è fondato.

In proposito è il caso di richiamare i canoni valutativi della regiudicanda imposti dalla duplicità dei conformi giudizi di merito e della necessaria congiunta lettura delle due sentenze aventi lo stesso esito decisorio.

Nel caso di specie la Corte di Appello, pur procedendo ad una autonoma riconsiderazione degli elementi di prova delineantisi nei confronti del Ca.An., a buon diritto si è riportato anche alla sentenza di primo grado, che con particolare accuratezza ha analizzato la posizione processuale del ricorrente Ca.An. (una delle posizioni cui è assegnato più spazio in tutte e due le sentenze di merito).

In tale unitaria ottica valutativa è allora agevole constatare che i rilievi critici del ricorrente non hanno ragione di essere, poichè le risultanze di causa offrono univoche prove dei perfino assillanti propositi del Ca.An. (basti porre attenzione ai continui contatti anche a tal fine intercorrenti con la moglie del capo del gruppo criminoso, C.M.R.) nel procurarsi partite di droga da rivendere più o meno al dettaglio.

Esigenza che si correla funzionalmente alla stessa operatività del sodalizio mafioso, che per perpetuare la propria sopravvivenza ha bisogno di "liquidità" finanziaria, che in quel momento soltanto la compravendita di droga è in grado di garantire.

La lettura, resa possibile dalle tante conversazioni intercettate, della intensa attività criminosa posta in essere, con palese ruolo direttivo delle altrui condotte illecite, dal Ca.An. ben autorizza la sentenza di appello ad affermare l’evidenza della responsabilità dell’imputato per il reato associativo sub C) (pp. 33- 36).

3. Erronea applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7 afferente alla confermata qualificazione della consorteria dedita al traffico di stupefacenti come finalizzata ad agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata clan Cappello.

I giudici di secondo grado non hanno offerto convincenti risposte ai rilievi sulla aggravante della finalità agevolatrice mafiosa contestata per l’associazione di cui alla L. Stup., art. 74.

La lamentela del ricorrente è manifesta infondata.

Per quel che si appena puntualizzato tutte le evenienze processuali che investono la posizione di Ca.An. conclamano la diretta correlazione finalistica tra l’attività dedicata al traffico di droga e le esigenze funzionali della congiunta associazione mafiosa.

Sul piano sistematico non è ravvisabile alcuna situazione di inconciliabilità tra l’aggravante speciale qualificante una associazione dedita al narcotraffico in concomitante sussistenza della operatività della associazione mafiosa "agevolata" attraverso i traffici di stupefacenti (v. Cass. 13.11.2008 n. 2696/09, P.M. in proc. D’Andrea, rv. 242686).

4. Violazione della L. Stup., art. 80, comma 2 e difetto di motivazione in merito alla aggravante della quantità ingente che qualifica il reato di detenzione continuata di cocaina per fini di vendita contestato con il capo C bis) della rubrica.

La sentenza di appello ha mantenuto ferma tale aggravante, desunta dal dato ponderale della droga oggetto di un solo episodio (arresto del R. con un chilo di cocaina), ma non correlabile a tutte le vicende che si assumono comporre la condotta criminosa globalmente considerata, in assenza – per altro – di specifici dati qualitativi sulle sostanze volta per volta detenute.

La censura non è fondata per i motivi già in precedenza espressi in ordine alla ricorrente contestazione dell’aggravante di cui alla L. Stup., art. 80, comma 2.

Aggravante correttamente ribadita dalla sentenza di secondo grado perchè desunta dal volume dei traffici di droga realizzati dalle contestate associazioni criminali L. Stup., ex art. 74 ricavabile dai colloqui intercettati tra gli imputati e contrassegnati da oggettivi sequestri di considerevoli quantitativi di sostanza stupefacente, come è accaduto anche nel caso concernente l’accusa mossa al Ca.An..

5. Difetto di motivazione in riferimento alla mancata concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche.

Il motivo di impugnazione è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale enunciato le ragioni, affatto logiche e giuridicamente corrette, stimate ostative alla concessione delle invocate attenuanti innominate.

16.- Ricorso di T.G..

L’imputato risponde del reato associativo sub C) e del connesso reato di detenzione illegale continuata di droga di cui al capo C bis) (si tratta degli stessi reati contestati al Ca.An.).

Il ricorso del difensore delinea tre censure.

1. Violazione di legge e difettosi motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato associativo deputato al traffico di stupefacenti (capo C).

La Corte di Appello ha ritenuto sussistere la responsabilità del T. sull’erroneo presupposto dell’esistenza dell’associazione L. Stup., ex art. 74, di cui non ha individuato gli elementi strutturali, a prescindere dall’esiguo numero dei partecipanti al sodalizio.

La presunta partecipazione dell’imputato è illogicamente desunta da una personale interpretazione delle intercettazioni ambientali, che evidenziano il coinvolgimento del prevenuto in solo episodio criminoso, da lui ammesso, quello del sequestro di un chilo di cocaina trovato in possesso di R.N. il 23.10.2003.

Le evenienze di causa non portano in luce atri interventi del T..

Il motivo di ricorso è infondato.

Come si è avuto modo di precisare, la Corte di Appello non trascura affatto l’indagine sugli elementi costitutivi dell’associazione delittuosa sanzionata dalla L. Stup., art. 74.

Ma conduce l’indagine in forma generale (stante la pluralità delle contestazioni associative formulata dalla pubblica accusa), calandone poi i risultati nei singoli contesti di ciascuna imputazione associativa.

Ciò che avviene anche per il sodalizio di cui al capo C) della rubrica.

La doverosa congiunta lettura delle due sentenze di merito contraddice l’assunto difensivo del ricorrente, portando in luce una sua previa adesione al programma criminoso e all’attuazione dei traffici di droga che trascende l’unico episodio ammesso dal T..

Sicchè le critiche alla interpretazione dei contenuti e dei referenti, comportamentali, modali e diacronici, dei dialoghi intercettati non hanno pregio, giacchè esse – introducendo elementi fattuali di rivisitazione delle fonti di prova non valutabili in sede di legittimità – si mostrano indeducibili, allorchè si ponga attenzione alla coerenza e logicità della lettura di quei contenuti e di quei referenti sviluppata dai giudici di merito.

2. Erronea applicazione della disciplina del reato continuato alla fattispecie della detenzione illecita di droga contestata con il capo C bis) della rubrica.

I dati di causa segnalano la diretta partecipazione del T. in un unico episodio criminoso (quello relativo al R. del 23.10.2003) e questi non può essere ritenuto responsabili anche di altre analoghe vicende cui è estraneo.

La doglianza è manifestamente infondata e priva di specificità, replicando in definitiva un analogo motivo di appello pur adeguatamente vagliato dalla sentenza impugnata (p. 36).

Le emergenze probatorie le cui valenze penali sono state confermate dai giudici di secondo grado legittimano la conclusione di una partecipazione del T. al sodalizio criminoso di cui condivide il programma e per la cui attuazione egli offre una sua "costante disponibilità".

Di guisa che il ricorrente è a pieno titolo considerato partecipe anche delle vicende delittuose in cui il suo intervento non assume i caratteri della evidenza o della diretta partecipazione esecutiva come nell’episodio del R..

3. Mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche.

Il motivo di impugnazione è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale enunciato le ragioni, affatto logiche e giuridicamente corrette, stimate ostative alla concessione delle invocate attenuanti innominate.

17.- Ricorso di D.M.A..

Con il proprio personale ricorso l’imputato formula quattro motivi di censura.

2. Erronea applicazione della legge penale in punto di ritenuta sussistenza della fattispecie associativa contestata con il capo D) della rubrica e carenza ed illogicità manifesta della motivazione.

La sentenza di appello non ha esaminato i motivi di gravame, compiendo una generalizzata e cumulativa analisi delle posizioni degli imputati attinti dalla contestazione di cui alla L. Stup., art. 74.

La responsabilità associativa del ricorrente non può trovare causa nell’unico episodio criminoso in cui può riconoscersi provata (intercettazioni) la partecipazione.

Il motivo di censura è infondato ai limiti della inammissibilità, essendo in sostanza basato su elementi di fatto propedeutici ad una reinterpretazione, tanto riduttiva quanto insostenibile, delle intercettazioni e dei servizi di videoriprese che permettono di seguirne affidabilmente gli spostamenti e le iniziative, rendendo conclamato il suo pieno coinvolgimento, con ruolo tutt’altro che secondario e di certo trascendente il preteso solo episodio, che il ricorrente definisce del "cavallo zoppo".

Episodio nel corso del quale emerge che l’imputato (fine ottobre 2003) ha fatto assaggiare al coimputato Bo.Al. ed ad un altro individuo un quantitativo di stupefacente ("cavallo") offerto in vendita da Bu.Ro., insistente creditore del D.M. A. per una pregressa cessione di droga che non è stata ancora pagata.

Essendo risultata scadente la droga offerta, il D.M.A. segnala ai suoi interlocutori di aver praticato uno sconto sul prezzo ("il cavallo era zoppo di un piede").

La sequenza degli interventi e delle azioni attuate dal D.M. A., monitorati attraverso le captazioni foniche e i servizi di p.g.

(videoriprese insieme al Ca.An.) e davvero numerosi ivi compresa l’importazione di cocaina dalla Spagna (dove all’uopo si reca di persona), passata in rassegna in particolare dalla confermata sentenza del g.u.p. (pp. 38-52) legittima il rilievo sul "particolare attivismo e spirito di iniziativa che innegabilmente connotano l’agire del D.M.A." e il giudizio di univoca dimostrazione della sua penale responsabilità per il reato associativo e per i fatti integranti il reato fine continuato (sentenza g.u.p., p. 50: "A carico del D.M.A. gli elementi probatori sono di tale consistenza, qualitativa e quantitativa, da non richiedere alcuno sforzo interpretativo o connettivo.

Relativamente alla importazione della cocaina dalla Spagna egli ne fu l’organizzatore, curando ogni dettaglio… "). Fino al punto di far apparire pretestuoso il descritto motivo di impugnazione.

2. Erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 81 c.p. e L. Stup., art. 73 e difetto di motivazione per la ritenuta continuità criminosa qualificante i reati fine ascritti all’imputato con i capi D bis) e D quater) (in questo assorbito il capo D quinquies).

La Corte di Appello non ha affrontato tutte le problematiche esposte con i motivi di appello con specifico riguardo alla incongruenza della contestazione dell’art. 81 cpv. c.p. mossa all’imputato, non responsabile di una pluralità di episodi delittuosi.

La doglianza, generica, è manifestamente infondata per le ragioni appena esposte nell’esame del precedente motivo di ricorso.

La pluralità di singoli fatti criminosi di detenzione illecita di droga ascrivibili al D.M.A. è conclamata dalle evenienze probatorie e, ben diversamente da quanto si sostiene in ricorso, la sentenza di appello non manca di evidenziare la "pluralità" degli atti criminosi del ricorrente (p. 36).

3. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla affermata responsabilità dell’imputato, in accoglimento dell’appello del p.m., per il reato di cui al capo C bis), concernente fatti reato di cui alla L. Stup., art. 73 in continuazione tra loro.

La Corte non ha motivato le ragioni della additiva condanna del ricorrente per detto reato continuato, verosimilmente in base all’erroneo convincimento della motivazione recata dalla sentenza di primo grado non esplicitata nel dispositivo di quella decisione.

Ma così non è, perchè il g.u.p. indica quale fonte di prova a carico del D.M.A. una sola conversazione intercettata avvenuta tra il D.M.A. e Ca.An. senza ulteriori precisazioni.

La censura è infondata, dal momento che la sentenza di primo grado ha idoneamente motivato la responsabilità del D.M.A. per il reato sub C bis), unicamente omettendo di darne conto nel dispositivo e nella determinazione della pena complessiva (donde l’incremento sanzionatorio di due mesi di reclusione deliberato dalla Corte di appello).

Il giudice di primo grado ha motivato il concorso criminoso del D. M.A. nel reato.

Le conversazioni intercettate ritenute di rilievo sono due.

Quella intercorsa con il Ca.An. il 21.10.2003, in cui D. M.A. si informa sulla trasferta napoletana del coimputato finalizzata al reperimento della droga cui è cointeressata.

La conversazione è seguita da altra conversazione in cui, per evidenti questioni di droga, Ca.An. chiama Bu.Ro. con cui è messo in contatto proprio tramite il D.M.A..

Per altro lo stretto collegamento criminoso del ricorrente con l’esponente mafioso Ca.An. è avvalorato dalle videoriprese che ritraggono il D.M.A. ripetutamente insieme allo stesso Ca.An..

4. Mancata riduzione della onerosa pena inflitta e no motivato diniego delle attenuanti generiche.

Il motivo è manifestamente infondato.

La sentenza di appello ha congruamente motivato, infatti, la confermata entità della pena inflitta dal giudice di primo grado, appena incrementata, come detto, a causa della condanna anche per il reato sub C bis).

18.- Ricorsi di D.S.M. e di N.M..

I due imputati sono stati riconosciuti colpevoli del reato di concorso in illecita detenzione continuata per fini di vendita loro contestato con il capo D quater) della rubrica, "assorbente" l’omologo reato di cui al capo D quinquies) della rubrica.

Le loro due posizioni processuali sono omologabili e i ricorsi dei rispettivi difensori possono essere trattati congiuntamente, essendo entrambi incentrati sulla carenza della motivazione della sentenza di appello, che non avrebbe preso in adeguata considerazione le censure da entrambi svolte avverso la decisione di primo grado. Al punto che la specifica posizione processuale del D.S.M. neppure è menzionata nella motivazione.

In ogni caso entrambi i ricorrenti adducono di non essere stati in concreto coinvolti nei fatti criminosi e segnatamente del più grave tra quelli contestati, rappresentato dall’arrivo presso l’abitazione di D.S.L. (fratello del ricorrente) del corriere sudamericano D.L.C.J. con ovuli di cocaina per un complessivo peso di kg. 1,100 occultati in cavità endoaddominale.

Le generiche censure articolate dai due ricorrenti, depurate dai loro nessi meramente fattuali, non sono fondate.

La sentenza di appello ha correttamente richiamato per relationem la decisione di primo grado, non soffermandosi sui motivi di appello dei due imputati, avuto riguardo alla loro palese infondatezza.

La sentenza del g.u.p. offre, infatti, un diagramma delle posizioni dei due imputati aderente alle emergenze processuali e basato su canoni inferenziali logici e lineari, difficilmente confutabili.

Gli elementi probatori che attingono il D.S.M. e il N. sono univoci (sentenza g.u.p., pp. 40-45).

Entrambi gli imputati programmano di effettuare una trasferta in Spagna insieme al D.M.A. per rifornirsi di cocaina, trasferta poi realmente compiuta da D.M.A. e dal fratello del ricorrente D.S.L..

Il N. partecipa finanziariamente all’acquisto della cocaina curato in Spagna dal D.M.A..

Questi riceve in Spagna un a telefonata di D.S.M. che a sua volta si interessa delle trattative in corso con la trafficante sudamericana " De.", mostrandosi partecipe delle finalità del viaggio in Spagna (dove il fratello D.S.L. ha inviato più bonifici bancari a cittadini di lingua spagnola).

Dopo il sequestro della droga introdotta in Italia dal corriere sudamericano tratto in arresto a casa di D.S.L. il D. M.A. decide di ritornare in Spagna per contattare nuovamente la trafficante De..

Nell’occasione lo accompagna il N. che conosce lo spagnolo e contatta la sedicente De., avvertendola di essere in auto con D.M.T. in procinto di giungere in Spagna presso di lei.

Mentre i due sono in Spagna D.S.M. bonifica una piccola somma m favore del N..

Al rigetto delle impugnazioni dei quattordici ricorrenti segue per legge la loro individuale condanna al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 130 c.p.p., ordina la correzione dell’errore materiale nella sentenza impugnata laddove nel dispositivo si legge "dichiara B.A. colpevole anche del reato di cui al capo E bis) della rubrica" si legga "dichiara B.A. colpevole anche del reato di cui al capo F bis) della rubrica".

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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