Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-04-2011) 27-04-2011, n. 16539 ricusazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sioni del PG Dott. RIELLO Luigi che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 28.07.2010 la Corte d’appello di Perugia rigettava la ricusazione proposta da M.D. nei confronti dei magistrati R.G., S.A.M. e T.S., componenti del Collegio del Tribunale di Terni che doveva decidere sulla richiesta di proroga della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. gravante a suo carico.- Il M. aveva dedotto l’incompatibilità dei predetti magistrati per avere gli stessi pronunciato decreto di rigetto della sua domanda di revoca della misura stessa, decreto nel quale si erano espressi in termini che – a suo parere – denunciavano pregiudizialità, avendo affermato che egli nel frattempo si era reso "responsabile" di fatto costituente reato, quando – per tale ultima vicenda – si era ancora nella fase delle indagini.- Orbene, rilevava la Corte territoriale come in materia di misure di prevenzione non fosse prevista incompatibilità funzionale e come la frase contenuta nel decreto suddetto non fosse espressione di convincimento colpevolista, quanto di oggettivo riferimento all’ipotesi indagatoria.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il ricusante M. che svolgeva le seguenti deduzioni: trattandosi di magistrati, persone professionalmente esperte, non si poteva accettare l’interpretazione in mera chiave d’improprietà di linguaggio dell’uso del termine "responsabile", dunque rivelatore di un inammissibile pregiudizio.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte depositava quindi requisitoria con la quale richiedeva declaratoria di inammissibilità del ricorso.

4. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.- Premesso che il ricorrente ha abbandonato il tema della (insussistente) incompatibilità funzionale, va rilevato come il M., nel suo ricorso, ora incentrato solo sulla pretesa mancanza di serenità dei giudici, non faccia altro che ripetere la sua personale convinzione – già correttamente respinta dalla Corte territoriale – secondo cui dietro l’uso improprio del termine "responsabile" si celerebbe, in realtà, una convinzione pregiudizialmente contraria ad esso odierno ricorrente.- Così non è, come bene ha motivato la Corte umbra, ma soprattutto occorre qui rilevare come – già in termini generali – valutazioni meramente soggettive dei testi giudiziari non possono essere ammesse, nè possono formare oggetto di censura di legittimità. Ed invero, in realtà, il ricorso nella sostanza – al di là dell’invocazione nominalistica – non denuncia violazioni di legge, nè vizi di motivazione, limitandosi a ribadire la propria convinzione in termini del tutto autoreferenziali. Va poi rilevato come, non sussistendo alcuno dei casi (neppure prospettati) di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a), (in riferimento all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. da a) a g)), neanche possa sussistere l’ipotesi di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), posto che l’uso del termine "responsabile", secondo la stessa prospettazione difensiva, avrebbe fatto trapelare pregiudizio con riferimento, puntuale, a tale fatto di reato che si assume il M. aver commesso, e non con riguardo alla procedura di prevenzione in atto.- Vale dunque concludere: a) non sussiste incompatibilità funzionale (ed il tema neppure nè qui dedotto); b) è lecita, ed anzi doverosa, la valutazione (nel caso negativa) della personalità del proposto, a tal fine prendendo in esame anche i fatti, riconducibili a fattispecie di reato, a lui addebitati; c) resta solo la questione nominalistica, per l’uso di termine da valutare, all’evidenza, non nella sua astratta portata, ma nel contesto dell’anzidetta, ben legittima, valutazione della personalità, in chiave di sociale pericolosità, del soggetto in questione.

In definitiva l’impugnata ordinanza, logica e coerente, è del tutto immune dai denunciati vizi.- Il ricorso, quindi, totalmente infondato, deve essere dichiarato inammissibile ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso totalmente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente M. D. al pagamento delle spese processuale ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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