Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-04-2011) 27-04-2011, n. 16538 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nza impugnata.
Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’assise appello di Catanzaro, giudice dell’esecuzione, accoglieva l’istanza avanzata da M.M. e riconosceva la continuazione tra i reati oggetto delle sentenze di condanna pronunziate da quella stessa Corte d’assise d’appello il 6.11.1998 e il 9.10.2009, rideterminando la pena in complessivi 14 anni di reclusione.

Osservava, a ragione, che dimostravano l’unicità del disegno criminoso l’arco temporale ristretto nel quale i reati erano stati consumati (anni (OMISSIS)), la natura ripetitiva degli episodi delittuosi, la riconducibilità degli stessi alla analoga matrice costituita, nell’ambito dell’inserimento organico nel sodalizio criminoso, dalla guerra di mafia instaurata tra i clan Pino – Sena e Perna – Pranno, come già riconosciuto nella seconda sentenza per altro coimputato.

2. Ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata. Deduce violazione della legge penale dolendosi (come nel richiamato ricorso avverso la sentenza il 9.10.2009) della erronea motivazione in relazione soltanto al lasso temporale esistente tra i fatti e alla loro natura ripetitiva, mancando la dimostrazione di una progettazione originaria dei singoli reati e non potendo ricavarsi questa dalla generica riconducibilità degli analoghi delitti ad obiettivi inscrivibili nelle immutate logiche di contrapposizione tra gruppi mafiosi.

3. Ha prodotto quindi memoria la difesa, chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso, al limite dell’inammissibilità, appare infondato.

In diritto, è indubitabile che la unicità di disegno criminoso, richiesta dall’art. 81 c.p., comma 2, non può identificarsi con una scelta di vita che implichi la reiterazione di condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati.

Tuttavia la nozione di continuazione neppure può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte. Siffatta definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di "disegno", e a non risultare necessaria per l’attenuazione del trattamento sanzionatolo nè in base alla lettera delle norme nè alla luce della loro ratio, porrebbe difatti l’istituto fuori dalla realtà, data la variabilità delle situazioni di fatto e la loro normale prevedibilità, quindi, solo per via approssimativa. Essenziale alla nozione normativa della "continuazione" è, invece, che ricorra una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine. E la programmazione può essere ab origine anche non dettagliata, purchè i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di "adattamento" alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. Dal punto di vista probatorio è dunque soprattutto la unitarietà del fine concreto perseguito che svela la unitarietà del programma e in quest’ottica la coerenza modale degli episodi e la loro contiguità temporale fungono da indizi della assenza di interruzioni o soluzioni nella continuità della realizzazione del disegno originario:

ragionevolmente potendosi presumere in presenza di tali concorrenti condizioni che gli episodi successivi dettati da eguale intento non sono stati realizzati nel tempo a seguito dell’insorgenza di autonome, rinnovate, risoluzioni antidoverose.

Se dunque deve escludersi che una programmazione e deliberazione unitaria possa essere desunta soltanto sulla base dell’analogia dei singoli reati per come in concreto realizzati, ovvero solamente in base all’unitarietà del contesto, o, ancora, avuto riguardo alla sola identità della spinta a delinquere, o alla sola brevità del lasso temporale che separa lo svolgimento dei diversi episodi; deve però riconoscersi che ciascuno di codesti fattori, nessuno di per sè e singolarmente preso "indizio necessario", aggiunto ad altro incrementa la possibilità che i fatti siano riconducibili ad un medesimo disegno criminoso: in proporzione logica e probabilisticamente esponenziale corrispondente all’aumento delle coincidenze indiziarie favorevoli.

2. Nel caso di specie l’apprezzamento del giudice dell’esecuzione in ordine alla riconducibilità dei diversi reati ad un unitario e originario disegno criminoso è stata dunque correttamente fondato sulla concorrente considerazione del ristretto ambito temporale, della serialità dei delitti, della riconducibilità di tutti alla guerra di mafia in corso all’epoca dei fatti. E la valutazione che ne è scaturita, afferendo al merito ed essendo stata plausibilmente e logicamente giustificata, è insindacabile in questa sede.

Mentre il Procuratore generale ricorrente neppure oppone specifici argomenti di segno opposto non valutati e, in tesi astratta, decisivi.

3. Conclusivamente, il ricorso non può che essere rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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