Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-04-2011) 27-04-2011, n. 16517 armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 16.04.2010 la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva la pena all’imputato D.M.C. a mesi 4 di reclusione ed Euro 140,00 di multa, per il reato di detenzione illegale di una carabina, arma comune da sparo, riconosciute a suo favore le attenuanti generiche e la diminuente del fatto di lieve entità di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5.

Era risultato in fatto, invero, che l’anzidetto imputato avesse detenuto senza farne denuncia, custodita sopra un armadio della propria camera da letto, una carabina a ripetizione semiautomatica, marca Beretta, denunciata dal cognato che abitava in una diversa, ancorchè attigua, unità immobiliare.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione deducendo: a) l’arma era stata riposta in casa sua dal cognato, per motivi contingenti, a sua insaputa; b) non vi era stato trasferimento dell’arma in luogo diverso da quello di cui alla denuncia, trattandosi di un condominio familiare; c) al più doveva essere ritenuta la sua partecipazione a titolo di concorso con il ridetto cognato, nel reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (TULPS), per omessa denuncia di trasferimento dell’arma, reato da dichiarare ormai estinto per prescrizione.

3. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile con tutte le dovute conseguenze di legge.

E’ inammissibile, invero, il primo motivo di ricorso (v. sopra sub 2.a) che introduce non consentita, in questa sede di legittimità, rilettura in fatto della vicenda, già adeguatamente acclarata, in modo conforme, dai giudici del merito. Peraltro siffatta deduzione risulta contraria alle pacifiche risultanze in atti, posto che sia rimasto accertato che fu esso D.M. a consegnare spontaneamente la carabina ai militari operanti, così dimostrando di ben conoscerne la collocazione. Tanto conferma l’ipotesi accusatoria di una detenzione pienamente consapevole, in capo all’imputato, a titolo proprio.

E’ del tutto infondato anche il secondo motivo di ricorso (v. sopra sub 2.b) atteso che l’obbligo di immediata denuncia dell’arma discende ex lege dalla detenzione della stessa, intesa quale concreto rapporto di disponibilità, circostanza pacifica – nella presente vicenda – in capo al D.M., a nulla perciò valendo la contiguità (peraltro con distinta autonomia) dell’abitazione del cognato che, a suo tempo, aveva denunciato la carabina in questione.

In proposito deve essere ricordato, anche, che la specifica normativa è volta a rendere edotta l’autorità di P.S. non solo del luogo di effettiva detenzione (qui peraltro diverso da quello denunciato) ma anche del singolo soggetto possessore dell’arma (anche questo diverso).

Pari giudizio di totale infondatezza deve darsi, altresì, del terzo motivo di ricorso (v. sopra sub 2.c), la cui palese erroneità discende inevitabilmente da quanto sopra già rilevato in fatto (autonoma detenzione dell’arma in capo all’odierno ricorrente) ed in diritto (suo conseguente obbligo di immediata denuncia). Varrà solo rilevare – veramente ad abundantiam – come la tesi ora prospettata di un concorso tra il D.M. ed il cognato collida logicamente, in modo insuperabile, con la sua versione, sempre fornita, di una sua inconsapevolezza dell’esistenza della carabina in propria disponibilità.

In definitiva l’impugnata sentenza, logica e coerente, è del tutto immune dai denunciati vizi.

Il ricorso, quindi, totalmente infondato, deve essere dichiarato inammissibile ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso totalmente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente D.M. C. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *