Edilizia e urbanisticaT.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica, Sent., 26-04-2011, n. 128

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Premette la società ricorrente di aver realizzato – in virtù di concessione edilizia n. 69/2006, del 3.7.2006 – una palazzina residenziale in comune di Pergine Valsugana, loc. Maso Osler.

L’area di sedime era inserita in zona B2, di integrazione e completamento.

Nel corso dei lavori, iniziati nel luglio 2006 e terminati il 6.7.2009, in data 6.6.2008 veniva presentata al comune una DIA per l’esecuzione di lavori in difformità dal progetto iniziale.

Con nota in data 19.3.2010 il comune preannunciava l’annullamento della proposta DIA per contrasto con gli indici di zona e per aumento della SUL (superficie utile lorda).

Acquisite le osservazioni del privato, nelle quali si evidenziava, tra l’altro, il rispetto dei limiti dell’altezza media ponderale di m. 2,20, l’amministrazione annullava la predetta DIA con provvedimento del 642010.

Seguiva nuova comunicazione di avvio del procedimento per annullamento della stessa DIA, in data 6.5.2010, stavolta per un motivo diverso dal precedente: la realizzazione di due unità abitative al piano terreno, in luogo delle tre originariamente previste nel progetto iniziale.

Con provvedimento del 24.6.2010 il comune comunicava che il presunto contrasto con la disciplina relativa alle altezze ed alla SUL doveva ritenersi superato, ma contestualmente annullava la DIA per la modifica del numero delle unità immobiliari (come detto, da due a tre).

Avverso il predetto annullamento la società propone i seguenti motivi:

1 – Violazione artt. 86 e 83 L.P. n. 22/1991, artt. 55, 56 e 58 NTA di PRG, art. 21 octies e nonies L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere sotto molteplici profili.

In sintesi, parte ricorrente lamenta che:

1 – il comune non poteva procedere ad un annullamento parziale del titolo abilitativo, che avrebbe comportato un’inammissibile rielaborazione del progettato intervento in variante rispetto all’originaria c.e., con conseguente invasione, da parte del comune, della sfera riservata all’autonomia privata;

2 – l’art. 86 della L.P. n. 22/1991 consente la DIA per variazioni di lieve entità che non comportino mutamenti di destinazione d’uso, " nonché " il numero delle singole unità abitative: quindi la legge provinciale pone due requisiti concorrenti e non alternativi, come confermato anche dall’art. 107 della L. P. n. 1 del 2008, il quale ha sostituito l’avverbio " nonché" con la congiunzione "e";

3 – difetto di istruttoria e di motivazione (tanto più necessarie in relazione al lungo tempo trascorso), connesso alla mancata esecuzione di sopralluoghi e verifiche, tanto che l’amministrazione ha inizialmente contestato asserite violazioni, dimostratesi poi insussistenti per stessa ammissione dell’amministrazione medesima;

4 – l’amministrazione, per i denunciati interventi in variante alla c.e., avrebbe ritenuto necessaria altra concessione edilizia, che tuttavia la citata legge provinciale, art. 83, richiede per i mutamenti non solo del numero, ma anche delle dimensioni e struttura delle unità immobiliari; in ogni caso, una semplice irregolarità formale (presentazione di DIA invece di conc. edil.) non avrebbe mai potuto comportare l’annullamento del titolo, ai sensi dell’art. 21 octies L. n. 241 del 1990;

5 – l’intero procedimento sarebbe affetto da numerose illegittimità, quali: il mancato rispetto del termine dilatorio di trenta giorni per le osservazioni del privato, la mancata acquisizione della prova dell’avvenuta ricezione della comunicazione da parte del privato, la mancata revoca del precedente annullamento della DIA.

In via interlocutoria parte ricorrente chiede disporsi CTU in ordine alla natura e consistenza delle opere realizzate con DIA.

Il Comune ha contestato la fondatezza del ricorso (richiamando, tra l’atro, l’art. 86 della LP n. 22/1991) con ampia memoria, cui ha replicato parte ricorrente.

La ricorrente ha replicato a sua volta alle difese dell’amministrazione con apposita memoria.

Alla pubblica udienza del 21 aprile 2011 la causa, sentiti gli avvocati come da verbale d’udienza, è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1 – Come già accennato in fatto, oggetto del contendere è l’autoannullamento del titolo abilitativo (tale espressamente qualificato dall’amministrazione resistente) conseguente alla presentazione di DIA al comune di Pergine Valsugana in data 9.6.2008, per lavori di variante in corso d’opera connessi alla concessione edilizia n. 69/2006 del 3.7.2006, per la costruzione di una palazzina residenziale in località Maso Osler dello stesso comune di Pergine Valsugana.

In particolare, la DIA, secondo quanto riportato nel ricorso, concerneva alcune opere interne che si intendeva realizzare in difformità dal progetto originario, quali: scale, tramezze, aperture, modifiche nei solai, altezza del piano garage e realizzazione al piano terra dell’edificio di due soli appartamenti al posto dei tre inizialmente previsti.

2 – Come dedotto con il primo motivo di ricorso, il presupposto sulla base del quale l’amministrazione comunale ha adottato il provvedimento di autoannullamento qui impugnato è stata unicamente la riduzione delle unità immobiliari da tre a due a piano terra.

Ciò premesso e posto che in sede di autotutela non si può – secondo parte ricorrente – procedere ad un annullamento parziale dei titoli edilizi in ossequio ad un principio di non frazionabilità, diverso avrebbe dovuto essere, in ipotesi, il provvedimento che l’amministrazione avrebbe potuto adottare.

Il motivo è doppiamente inammissibile, per genericità (non essendo dato capire quale avrebbe dovuto essere il provvedimento " in ipotesi " adottabile dal comune resistente) e per conseguente e connesso difetto di interesse.

L’annullamento parziale del provvedimento implicito (questa è la configurazione qualificativa data dall’amministrazione) derivante dalla presentazione della DIA comporta il mantenimento di tutte le altre opere realizzate diverse dal mutamento del numero delle unità abitative, alla cui conservazione parte ricorrente dichiara giustamente di avere interesse. Ora, poiché l’alternativa alla caducazione solo parziale avrebbe dovuto essere – secondo una finalità di repressione di abusi edilizi dichiarata e perseguita dal comune – un atto di autotutela integrale, non si comprende quale utilità ricaverebbe parte ricorrente da un annullamento giurisdizionale, i cui effetti potrebbero causare ancor maggiori oneri demolitori, nella riedizione del potere repressivo degli abusi.

3 – In ogni caso – e quel che più rileva – il motivo è infondato in punto di diritto.

Per sostenere il proprio assunto l’interessata richiama un isolato indirizzo (le altre due sentenze inspiegabilmente invocate non sono conferenti trattando esse di materia del tutto diversa da quella in esame), secondo il quale in sede di autotutela, l’Amministrazione non avrebbe la possibilità di disporre l’annullamento parziale di un permesso di costruire volto alla realizzazione di un complesso immobiliare comprendente più corpi di fabbrica diversi e funzionalmente collegati, non avendo alcun potere di rielaborare il complesso assetto progettuale scelto dall’interessato, trattandosi di valutazioni e di scelte rimesse in via esclusiva all’autonomia privata.

Questo precedente non può fare stato nel presente giudizio, lì trattandosi di un intervento edilizio assai articolato e non scindibile, rispetto al quale non si capiva in qual modo l’Autorità amministrativa avrebbe potuto arrogarsi il potere di procedere ad una vera e propria rielaborazione del progetto, espungendo di propria iniziativa alcune previsioni progettuali da ritenersi attribuite in via esclusiva al soggetto interessato (Cons. Stato, sez. IV, 31 luglio 2007, n. 4256).

4 – Diverso è il caso di specie, in cui si tratta di una DIA presentata in corso d’opera in variante rispetto a quanto già assentito con la precedente concessione edilizia del 2006; sicché, l’annullamento parziale della previsione di due appartamenti, lungi dal comportare l’ingerenza dell’amministrazione nelle scelte progettuali del privato, si limitava a far rivivere le indicazioni iniziali del medesimo interessato.

Vero è, invece e a differenza di quanto sostenuto con il primo motivo, che l’istituto dell’annullamento parziale del provvedimento amministrativo ha carattere generale, in quanto ispirato ai principi di economicità e non aggravamento e non può essere escluso per l’attività di autotutela, la quale, essendo manifestazione di potestà amministrativa di secondo grado, ricava i suoi contenuti da quelli del provvedimento di primo grado. Pertanto, se quest’ultimo sia solo parzialmente illegittimo, esso non potrà che essere annullato d’ufficio soltanto per la parte illegittima e non già per intero.

I titoli edilizi, per il loro contenuto plurimo, ben possono essere affetti da illegittimità parziale e perciò essere oggetto di annullamento parziale.

Così come il D.P.R. 662001 n. 380 recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, prevede, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la loro demolizione " per la parte non conforme al titolo edilizio (art. 34 TUED; art. 122, comma 6, L.P. Trento 591991 n. 22, all’epoca dei fatti ancora vigente), parallelamente ed analogamente l’articolo 38, per gli interventi eseguiti in base a permesso annullato, prevede l’applicazione delle sanzioni pecuniarie per l’intera opera o per le sue " parti abusivamente eseguite ", con ciò presupponendo un annullamento parziale del titolo edilizio.

5 – Con un secondo, meno formalistico e più sostanziale, profilo di censura, parte ricorrente assume che nella specie la norma di cui all’art. 86 della l.p. di Trento n. 22/91 non sarebbe stata affatto violata, in quanto essa consente di assoggettare a D,I.A. le variazioni di lieve entità "…purché non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, nonché il loro numero…".

In base alla riportata legislazione provinciale dovrebbero quindi concorrere – secondo parte ricorrente – entrambi i requisiti: modificazione della destinazione d’uso e modifica del numero delle unità immobiliari; nel caso di specie, invece, la destinazione d’uso rimane la stessa e pertanto le norme di piano sarebbero state perfettamente osservate.

6 – La riportata prospettazione non è condivisibile.

L’art. 83 della LP n. 22/1991 citato dispone(va), con formulazione in parte diversa dall’art. 22 TUED, che " Sono soggetti a denuncia d’inizio di attività i seguenti interventi:……………… p) le opere interne alle costruzioni che non comportino modificazioni della sagoma e dei prospetti della costruzione né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, che non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile e rispettino le originarie caratteristiche costruttive degli edifici".

Questa previsione va tuttavia raccordata, nel caso di specie, con il successivo articolo 86 della stessa legge provinciale, relativo alle varianti in corso d’opera, quali sono state quelle in esame.

A tenore del ricordato articolo " Sono soggette a denuncia d’inizio di attività le variazioni di lieve entità apportate in corso d’opera al progetto assentito, purché siano conformi agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti……………e purché non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, nonché il loro numero ".

La norma prevede dunque una serie di presupposti e requisiti negativi alla possibilità di ricorso alla DIA in alternativa fra loro, nel senso che basta anche la sola sussistenza di uno solo dei motivi ostativi indicati dal legislatore provinciale per impedire il legittimo formarsi del titolo abilitativo implicito in base alla presentazione della denuncia di inizio attività e per giustificare il legittimo esercizio del potere di auto annullamento di quel titolo.

7 – Opinandosi diversamente come pretende il ricorrente e ritenere che per attivare legittimamente il procedimento di DIA occorra la sussistenza contestuale di tutti i requisiti negativi voluti dal legislatore significherebbe dilatare a dismisura un istituto ispirato, sì, a principi di liberalizzazione dell’attività edilizia, ma al fine di sollevare le amministrazioni locali da un peso procedimentale per attività edilizie di minima consistenza altrimenti insostenibile. Né va dimenticato che il procedimento semplificato dalla DIA va ad incidere su interessi generali di rilevanza primaria e perciò sottoposto al permanente potere di vigilanza, controllo e repressivo dell’autorità amministrativa.

Il motivo relativo alla insussistenza dei presupposti per attivare la potestà repressiva nel caso di specie va pertanto respinto.

8 – Con un terzo profilo di doglianza parte ricorrente assume che l’autoannullamento del titolo abilitativo ex DIA sarebbe altresì illegittimo per difetto di istruttoria e di adeguata motivazione connessa anche al fatto del passaggio del tempo tra la formazione del titolo implicito e l’atto di annullamento (luglio del 2008 – giugno 2010), ciò che avrebbe imposto l’emanazione di un provvedimento adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustificasse il ricorso all’autotutela. A ciò si aggiunga che l’amministrazione non avrebbe chiarito per quale motivo la riduzione del numero di appartamenti sarebbe illegittima e quale sarebbe il contrasto con la norma di cui all’art. 86 della l.p. 22/91.

9 – Anche tali doglianze non hanno pregio.

Vale anzitutto precisare che nella specie la denuncia di inizio attività è stata depositata presso gli uffici comunali in data 9.6.2008 e, quindi, il titolo abilitativo " implicito " – almeno secondo la teoria che configura in tali termini il procedimento della DIA – si è formato dopo quindici giorni dal predetto termine, ai sensi dell’art. 91 bis della LP Trento n. 22/1991. In data 19.3.2010 il comune ha inviato una comunicazione di avvio del procedimento di auto annullamento del titolo ex DIA, seguita da un primo provvedimento definitivo con cui si contestavano violazioni in tema di altezze superfici lorde.

A tale auto annullamento è seguita una nuova comunicazione di avvio del procedimento in data 06.05.2010, questa volta effettuata anche alla società P., a sua volta seguita dall’annullamento del titolo edilizio " implicito " in data 24 giugno 2010 per motivi diversi, attinenti unicamente al diverso numero degli appartamenti realizzati al primo piano (due invece dei tre originariamente assentiti con c..e.); annullamento impugnato con il ricorso introduttivo.

10 – Ciò premesso, anche se l’operato dell’amministrazione non appare del tutto efficiente e diligente, resta il dato oggettivo che lo stesso comune, resosi conto dell’errore del provvedimento iniziale e dell’insussistenza delle ragioni ostative al formarsi del provvedimento tacito formatosi sul decorso del tempo dalla DIA ivi esposte, ha implicitamente annullato il primo atto repressivo dell’attività edilizia ed emesso il secondo, sulla base di una diversa causa impeditiva: la cui ricorrenza fattuale non viene neppure contestata da parte ricorrente, sicché nessun difetto di istruttoria che abbia portato ad un’errata configurazione degli abusi contestati appare utilmente invocabile dalla parte ricorrente.

11 – Quanto al difetto di motivazione ed alla mancata considerazione degli affidamenti ingenerati nel privato a seguito del lungo tempo trascorso, deve osservarsi quanto segue.

Va premesso che sulla configurazione della DIA esistono due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Secondo uno, il procedimento avviato con la DIA darebbe luogo ad una fattispecie provvedimentale a formazione progressiva e a determinazione implicita (Cons.Stato, sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811) ed al conseguente formarsi del titolo abilitativo – avverso cui possono insorgere i terzi dallo stesso danneggiati – per effetto del decorso del termine fissato dalla legge (art. 91 bis LP n. 22/1991, cit.), entro cui l’Amministrazione può impedire gli effetti della DIA (Cons. di stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 72; cfr., anche, Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742; Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828; Cons. Stato, sez. VI, 05 aprile 2007, n. 1550; Sez. V n. 172 del 20 gennaio 2003). Secondo tale teoria, pertanto, trattandosi di provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, il suo auto annullamento d’ufficio, non ristretto entro termini di decadenza o prescrizione, deve tuttavia essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell’attività amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811).

Secondo altra costruzione, il procedimento connesso alla d.i.a. del privato non dà luogo ad un atto implicito di natura provvedimentale, trattandosi, al contrario, di un atto del privato, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al T.a.r., con la conseguenza che l’azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall’attività svolta sulla base della d.i.a. non è azione di annullamento, ma l di accertamento dell’inesistenza dei presupposti della d.i.a. Tale azione (che sebbene non espressamente prevista troverebbe il suo fondamento nel principio dell’effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost.) andrebbe proposta nei confronti del soggetto pubblico che ha il compito di vigilare sulla d.i.a. e verso il quale si produrranno poi gli effetti conformativi derivanti dall’eventuale sentenza di accoglimento, in contraddittorio con il presentatore della d.ia., che assumerebbe la veste di soggetto contro interessato, perché l’eventuale accoglimento della domanda di accertamento andrebbe ad incidere negativamente sulla sua sfera giuridica.

E" a questo specifico aspetto di situazioni create ed affidamenti indotti che dovrebbe rivolgersi l’obbligo di motivazione, per il resto essendo sufficiente la constatata violazione delle regole edilizie poste in essere dal denunciante (Cons. stato, sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919;sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474; sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, con ampi riferimenti dottrinari e normativi; sez. IV, 19 settembre 2008, n. 4513).

Questo Tribunale si è attestato sulla seconda tesi ricostruttiva dell’istituto, condividendo l’orientamento giurisprudenziale sopra sintetizzato, che ritiene il terzo "legittimato all’instaurazione di un giudizio di cognizione tendente ad ottenere l’accertamento dell’insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per la libera intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a." (TRGA Trento, 14 maggio 2008, n. 111).

12 – Qualunque sia la costruzione teorica da dare all’istituto della DIA – per la quale l’ordinanza n. n. 14/5.1.2011 della IV Sezione del Consiglio di Stato ha chiesto l’intervento chiarificatore ed unificante dell’Adunanza Plenaria dello stesso Consiglio – resta comunque il fatto che a fronte del procedimento attivato mediante denuncia di inizio attività del privato i noti orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione degli atti di auto annullamento dei titoli edilizi vadano rafforzati e adattati alla particolarità della fattispecie provvedimentale della DIA.

La giurisprudenza, infatti, si è sempre preoccupata di dare effettività alla tutela dell’ affidamento ingenerato nel cittadino dal rilascio del titolo abilitativo esplicito e dal successivo trascorrere del tempo in assenza di provvedimenti inibitori dell’attività edilizia formalmente assentita dalla stessa amministrazione e di assicurare la necessità, per il potere pubblico, di esercitare la propria discrezionalità tecnica nel procedimento di riesame del permesso rilasciato mediante un adeguato iter istruttorio; considerando pertanto abnorme, soprattutto nei casi della non particolare complessità qualiquantitativa dell’istruttoria risultante dagli atti, il provvedimento di annullamento che fosse intervenuto a distanza di vari anni dal rilascio dell’atto annullato in sede di autotutela (Consiglio di stato, sez. IV, 21 dicembre 2009, n. 8529).

13 – Se, dunque, l’affidamento del privato si correla ad un’attività amministrativa esplicita al fine di delimitare tempi e contenuti di successivi atti di autotutela, per una serie di effetti incidenti sull’azione e la responsabilità della p.a. (motivazione dell’autoannullamento, tempestività dell’esercizio del relativo potere, risarcimento del danno, ecc.) è evidente che quell’affidamento subisca un affievolimento – rispetto agli ordinari canoni del potere repressivo dell’attività edilizia illegittima o illecita – nel caso di dichiarazione di inizio attività.

14 – Con la d.i.a, infatti, al principio di imperatività si sostituisce il principio dell’autoresponsabilità dell’amministrato, il quale è sì legittimato ad agire in via autonoma a prescindere dall’emanazione di un provvedimento di formale autorizzazione; ma, al contempo, tale legittimazione si giustifica accollando all’interessato la valutazione, in prima battuta, dell’esistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti dalla normativa per porre in essere l’attività in tal modo liberalizzata. La d.i.a., in definitiva, è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica (Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, cit.).

15 – Da ciò consegue che la fiducia che il privato nutre circa la bontà e conformità a legge del proprio operato denunciato con la dia è ancor meno consistente e tutelabile di quanto non sia l’ordinario affidamento – peraltro già di per sé limitato in materia edilizia, stante la natura vincolata ed obbligatoria dei provvedimenti rerpressivi degli abusi – connesso all’emanazione di un formale ed espresso provvedimento di autorizzazione, concessione, presa d’atto e, in genere, ampliativo della sfera giuridica del privato.

16 – Applicando i ricordati principi al caso di specie, ritiene il Collegio che non sia configurabile alcuna lesione di affidamenti ingenerati in capo alla parte ricorrente, tenuto conto che: a) tra " provvedimento implicito e comunicazione di avvio del procedimento sono intercorsi meno di due anni; b) tale termine, in astratto significativo, assume una valenza assai ridotta a fronte di un generalizzato e diffuso fenomeno di abusivismi nel comune di Pergine Valsugana concernenti le modificazioni d’uso dei sottotetti – come ben sa questo Tribunale in relazione al cospicuo contenzioso innanzi ad esso radicatosi – che ha messo a dure prova le strutture tecniche di un piccolo comune; c) il predetto impegno degli uffici comunali risulta ulteriormente aggravato dai continui interventi di varianti ai titoli edilizi originariamente rilasciati dall’amministrazione, richiesti in corso d’opera e posti in essere dai numerosi operatori economici del settore edilizio che hanno operato nell’ambito comunale; d) sia per l’annullamento d’ufficio del provvedimento implicito formatosi sulla DIA che per l’autoannullamento della concessione edilizia o del permesso di costruire è di norma irrilevante – salvi casi di spazi temporali esagerati – il tempo trascorso dall’attività edilizia posta in essere, in quanto la repressione degli abusi edilizi è un preciso obbligo dell’amministrazione, la quale, a fronte dell’accertamento della violazione delle norme edilizie, non gode di alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto, l’atto di repressione degli abusi non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049 e n. 5050; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79).

17 – Anche l’altro profilo di illegittimità attinente la violazione dell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990 è infondato, poiché – a tacere d’ogni altra considerazione – la presentazione di una DIA in luogo della domanda di concessione edilizia o permesso di costruire è tutt’altro che una mera irregolarità formale sanabile e convertibile, trattandosi di atti di parte introduttivi di procedimenti del tutto distinti per effetti, contenuti e presupposti.

Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza come di regola.
P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

Rigetta il ricorso in epigrafe.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale, degli onorari e spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000, oltre Spese generali, IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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