Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-04-2011) 27-04-2011, n. 16464

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Sull’appello proposto dal P.G. avverso la sentenza del Tribunale monocratico di Rossano in data 18/06/2007, con la quale P. S. era stato assolto ex cpv. art. 530 c.p.p. per insussistenza del fatto dall’imputazione di cui all’art. 337 c.p., per avere, al fine di opporsi ai Carabinieri di San Giorgio Albanese che stavano procedendo alla sua identificazione, usato violenza e minaccia nei loro confronti, la Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 02/02/2009 dichiarava l’imputato colpevole del reato ascrittogli e, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione, con concessione dei doppi benefici.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il prevenuto, deducendo:

– il vizio di motivazione, per non avere la Corte di merito tenuto conto delle contraddizioni presenti nelle dichiarazioni accusatorie rese dai due operanti e delle deposizioni dei testi a discarico;

– violazione di legge in ordine alla sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi del reato, essendosi l’imputato limitato a esternare la sua meraviglia e resistenza passiva a una richiesta del documento d’identità (comunque successivamente esibito) da parte di chi già lo conosceva, senza alcun intento di opposizione all’attività dei pp.uu..
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

E invero, contrariamente a quanto si assume nel ricorso (con rilievi di ordine valutativo e/o manifestamente infondati), dalla lettura della sentenza impugnata risultano chiaramente rappresentate le ragioni della sussistenza del contestato reato di resistenza a p.u., evidenziandosi che, alla stregua delle deposizioni dei verbalizzanti, convergenti nel loro nucleo essenziale, e non smentite dalle vaghe e monche testimonianze a discarico, il prevenuto pose scientemente in essere una opposizione minacciosa e violenta all’atto d’ufficio dei pp.uu. consistente nella (legittima) richiesta di documenti a fini identificatori.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *