Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-03-2011) 27-04-2011, n. 16500

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ente, avv. Trincia Fulvia che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.G. ricorre avverso la Corte di appello di Messina datata 25.1/10.3.2010, di conferma della pregressa decisione del Tribunale della stessa città che, in composizione monocratica, lo dichiarava colpevole dei reati di minaccia grave e porto abusivo di coltello, condannandolo alle pene di legge, deducendo violazione di legge penale, da un lato, vizio di motivazione dall’altro: violazione di legge per non potersi configurare il delitto di minaccia aggravata quando essa costituisce, come si sostiene nella specie, una reazione di difesa a pregressi omologhi comportamenti minacciosi ed abusivi della stessa persona offesa ai propri danni;

omessa motivazione, poi, in relazione alla identificazione del coltellino sequestrato fuori, e non dentro, la propria abitazione con l’arma usata per l’asserita minaccia, dall’altro.

Il ricorso non merita accoglimento perchè inammissibile.

Invero le doglianze del ricorrente si risolvono in censure in fatto, comunque in conferenti nella misura in cui, per un verso, omettono, se non genericamente, con formule di stile, di contestare la attendibilità delle persone offese, le cui dichiarazioni dai giudici di merito sono state qualificate coerenti, per nulla contraddittorie e per giunta riscontrate per il rinvenimento del taglierino nelle adiacenze della abitazione del prevenuto, per altro verso, si impegnano a censurare il giudizio di gravità della minaccia sulla base della considerazione che il fatto di reato costituirebbe una reazione alle pregresse intimidazioni di una delle persone offese, Z.G., che gli impediva di portare il proprio cane a passeggio in un terreno asseritamele abbandonato e senza alcuna recinzione.

Ma la circostanza, pur dedotta nei motivi di appello, non potrebbe mai incidere sul disvalore giuridico sociale dell’azione, ma solo potrebbe giustificare, in astratto, una richiesta di mitigazione della pena, che non è stata però oggetto di alcuna doglianza in sede di ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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