Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2011, n. 16420 Animali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Provincia di Forlì – Cesena propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, tutti intitolati a pretesi vizi motivazionali ex art. 360 c.p.c., n. 5, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna depositata il 27 ottobre 2008, che – in relazione a controversia promossa da Gi.

B., titolare dell’Azienda agricola Cà di Piero per il risarcimento dei danni procurati alle sue piante di ulivo dai morsi e dallo sfregamento di corna dei caprioli – per quanto qui rileva, ha confermato la sentenza di primo grado – la quale, a sua volta, aveva ritenuto responsabile la Provincia osservando che: a. il "prelievo selettivo" di taluni animali selvatici non è equiparabile alla caccia, non essendo una modalità della stessa, ma il frutto di un piano di abbattimento selettivo di animali selvatici in esubero, per evitare squilibri e danni ambientali, condotto dalla stessa amministrazione; b. il capriolo non è una specie liberamente cacciabile perchè la L.R. Emilia Romagna n. 8 del 1994, art. 56, comma 2 stabilisce che il prelievo venatorio degli ungulati è consentito esclusivamente in forma selettiva; c. l’organo obbligato al risarcimento non è l’Ambito Territoriale di Caccia (A.T.C.), perchè secondo l’art. 17 di detta L. R., gli oneri per il contributo al risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole sono a carico delle Province, qualora siano provocati nelle zone di protezione anche se in gestione convenzionata; inoltre, in base all’art. 18, comma 2 cit. legge, il fondo per i danni è destinato a far fronte agli oneri posti a carico delle province ex art. 17, comma 1, lett. A) nonchè a fare fronte ai danni non altrimenti risarcibili perchè prodotti nell’intero territorio, da specie non cacciabili o da sconosciuti nel corso dell’attività venatoria.

Il Bu. resiste con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso.

2.1 Col primo motivo, l’ente ricorrente lamenta "omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 su un fatto decisivo, riguardante il valore probatorio delle perizia esibita dalla controparte.

2.2 Col secondo motivo, l’ente ricorrente lamenta "omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla L. R. Emilia Romagna n. 8 del 1994, art. 17 perchè la Corte avrebbe inadeguatamente interpretato detta disposizione senza tenere conto del dato letterale e del contesto normativo.

2.3 Col terzo motivo, l’ente ricorrente lamenta "omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla L.R. Emilia Romagna n. 8 del 1994, art. 18 perchè la Corte avrebbe inadeguatamente interpretato detta disposizione ed erroneamente fondato la responsabilità della provincia su elementi testuali, senza tenere conto che il fondo danneggiato ricade in area di competenza e gestione dell’A.T.C. 2.4 Col quarto motivo, l’ente ricorrente lamenta "omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla L.R. Emilia Romagna n. 8 del 1994, art. 26; perchè la Corte avrebbe erroneamente presupposto che la Provincia sia responsabile per la gestione concreta della fauna selvatica in un ambito appartenente all’A.T.C; non vi sarebbe un comportamento doloso o colposo in relazione all’evento dannoso attribuibile alla Provincia, nè in base all’art. 2043, nè in base all’art. 2052 c.c., non avendo i giudici individuato un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente.

2.5 Col quinto motivo, l’ente ricorrente lamentando "omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla L.R. Emilia Romagna n. 8 del 1994, art. 56" confuta le tesi sostenute dal Bu. in appello e sostiene che nella legge in questione non si rinviene alcuna indicazione utile per sostenere che l’abbattimento di fauna selvatica ed appartenente alle specie cacciabili non costituisca esercizio di attività venatoria.

3.1. Il ricorso è inammissibile per mancanza in tutti i motivi dei previsti "momenti di sintesi". Come noto, il motivo di ricorso per cassazione con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 operante ratione temporis -si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass. n. 2805/11; 4556/09; S.U. 16526/08).

3.2. Invero, i motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione).

3.3. Orbene, nel caso, con riferimento a tutti i motivi, rubricati denunziando vizi di motivazione, il ricorrente non ha formulato i richiesti momenti di sintesi. Difetta, pertanto, la "chiara indicazione" del "fatto controverso" e delle "ragioni" che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, indicati dall’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v.

Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa alìattività esegetica del motivo da parte di questa Corte.

3.4. Senza contare che il primo motivo è inammissibile anche perchè "non riferibile" alla sentenza impugnata, che non si fonda per niente sulla perizia di controparte, la valutazione della quale, quindi, non rappresenta "fatto controverso" nella fase definita con la sentenza della Corte territoriale; nel quarto motivo non sono indicate le ragioni che renderebbero la motivazione inidonea a sorreggere la decisione; mentre il secondo, il terzo ed il quinto motivo, pur rubricati come vizi motivazionali, sono incentrati nella sostanziale deduzione di vizi interpretativi di norme di legge, ma – anche ove così ricostruiti – si rivelano comunque inammissibili, mancando della formulazione dei rispettivi "quesiti di diritto", nei quali, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso, la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258), occorrendo che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare. Si deve, pertanto, confermare, rispetto a detti motivi, che è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 "bis" cod. proc. civ., il motivo di ricorso che, sebbene intitolato come omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sviluppi censure in diritto, senza che a queste corrisponda un quesito adeguato, mediante la focalizzazione della questione di diritto essenziale per la decisione (Cass. S.U. n. 26014/08).

I motivi sono pertanto privi dei requisiti richiesti a pena di inammissibilità dalle disposizioni applicabili nella specie nel testo modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata il 27 ottobre 2008.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *