Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-03-2011) 27-04-2011, n. 16449 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 aprile 2010, la Corte d’Appello di Venezia confermava la sentenza emessa il 16 ottobre 2009 dal G.U.P. del Tribunale di Venezia, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti di C.P.J., M.R.W. e P.D. L.R.G. per importazione e detenzione a fini di spaccio di un ingente quantitativo di stupefacente del tipo cocaina.

Avverso tale decisione i predetti proponevano ricorso per cassazione C.P.J. deduceva:

– violazione dell’art. 143 c.p.p. relativamente all’omessa citazione di un interprete di lingua, rilevata all’udienza di discussione in appello ed in ordine alla quale la Corte territoriale nulla aveva disposto. Osservava, a tale proposito, di essere stato sempre assistito dall’interprete nelle precedenti fasi del processo;

– violazione dell’art. 8 c.p.p. in quanto diversa doveva ritenersi la competenza territoriale. Trattandosi di importazione, il reato doveva ritenersi consumato nel luogo ove era avvenuto l’attraversamento della linea di confine (Ventimiglia) e, pertanto, la competenza a decidere era attribuibile al Tribunale di Sanremo o, in subordine, tenuto conto della dimora, ancorchè clandestina, in Dosson di Casier, luogo da dove erano state effettuate le telefonate intercettate relative agli accordi per l’importazione, al Tribunale di Treviso;

– Violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 e dell’art. 59 c.p., comma 2 in quanto non si era tenuto conto, ai fini dell’esclusione della contestata aggravante, del fatto che il suo ruolo era stato soltanto quello di organizzare il trasporto dello stupefacente in Italia senza avere contezza della qualità e destinazione dello stesso;

M.R.W. deduceva:

violazione dell’art. 8 c.p.p. con riferimento alla competenza territoriale a suo dire attribuibile al Tribunale di Sanremo in considerazione del luogo in cui era stata attraversata la frontiera (Ventimiglia);

vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti. Rilevava che il giudizio negativo sulla personalità, posto a sostegno della decisione, riguardava una pregressa esperienza criminale in realtà inesistente, come desumibile dalle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio:

violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 per essere l’aggravante contestata inapplicabile nei suoi confronti, avendo egli svolto il ruolo di mero accompagnatore del tutto ignaro della destinazione effettiva dello stupefacente.

P.D.L.R.G. deduceva:

– violazione dell’art. 143 c.p.p. relativamente all’omessa citazione di un interprete di lingua, dal quale era stato assistito nelle altre fasi del processo;

– vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 nonchè alla determinazione della pena quantificata in misura eccessiva ed erronea, in quanto la riduzione di un terzo per il rito avrebbe dovuto determinare, partendo, come aveva fatto il giudice di prime cure, da una pena base di anni 12 di reclusione e ritenuta l’equivalenza tra circostanze aggravanti ed attenuanti, ad una pena finale di anni 8 di reclusione.

Tutti insistevano, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

Con riferimento alla eccezione di nullità conseguente alla mancata nomina dell’interprete (dedotta da C.P.J. e P. D.L.R.G.) deve ricordarsi che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, la mancata nomina dell’interprete all’imputato incapace di comprendere la lingua italiana determina una nullità a regime intermedio che, in quanto tale, deve essere eccepita dalla parte presente prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo (Sez. 1, n. 21669, 26 maggio 2009; Sez. 4 n. 2635, 25 gennaio 2007;

Sez. 5 n. 6697,18 febbraio 2002).

Ciò posto, deve rilevarsi, che la eccezione non risulta tempestivamente sollevata.

Non vi è traccia infatti, nella sentenza di appello, del fatto che la eccezione sia stata effettivamente sollevata prima del giudizio dai predetti ricorrenti.

Nessun altro elemento in tal senso risulta dall’esame del verbale d’udienza che, trattandosi di eccezione di natura processuale, questa Corte è legittimata a compulsare.

Altrettanto infondata appare l’eccezione di incompetenza territoriale formulata da C.P.J. e M.R.W..

Si tratta di questione correttamente affrontata e risolta già dal giudice di prime cure e adeguatamente ribadita dalla Corte territoriale.

I giudici dell’appello, in particolare, hanno evidenziato di aderire all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, con riferimento all’ipotesi di traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della competenza territoriale, assume rilievo la circostanza che la condotta criminosa tesa all’importazione della droga sul territorio nazionale sia iniziata prima del concreto ingresso della sostanza nel Paese, poichè in tal caso l’inizio della condotta medesima va anticipato temporalmente e il luogo di inizio di essa va individuato in relazione a tale anticipazione (Sez. 4 n. 11170, 22 marzo 2005;

Sez. 4 n. 17626,16 aprile 2004).

Tale giurisprudenza, che il Collegio condivide, specifica, altresì, che in tali casi per la determinazione della competenza per territorio deve farsi riferimento al luogo di compimento della prima delle condotte addebitate e, nel caso in cui tale luogo non sia identificato o identificabile, soccorrono i criteri suppletivi stabiliti dall’art. 9 c.p.p..

Tali criteri, peraltro, non sono tra loro equipollenti, ma devono ritenersi organizzati secondo un ordine gerarchico (Sez. 4 n. 8588, 27 febbraio 2008).

Ciò posto, deve osservarsi come la Corte territoriale, facendo buon uso dei principi appena ricordati ha posto in evidenza che tutta l’attività di reperimento dello stupefacente e di organizzazione dell’importazione è avvenuta attraverso numerose conversazioni telefoniche effettuate tramite utenze cellulari che, sebbene intercettate, non sono state localizzate.

Non essendo pertanto noto il luogo ove si trovavano gli utilizzatori delle predette utenze telefoniche, si è fatto adeguatamente ricorso al disposto dell’art. 9 c.p.p., comma 1 il quale stabilisce che, se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8, è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione.

Tale luogo è stato individuato in quello ove era avvenuta l’ultima parte dell’azione (controllo del mezzo che trasportava, occultato, lo stupefacente e arresto del M. e del P.) all’interno del circondario del Tribunale di Venezia.

In merito alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 oggetto di deduzioni da parte di tutti i ricorrenti, deve ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel ritenere la configurabilità della aggravante della quantità ingente di stupefacente contemplata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 quando, attraverso una valutazione in concreto del giudice di merito, risulti che la sostanza sia tale da costituire un pericolo rilevante per la salute pubblica perchè idonea a soddisfare le esigenze di un numero elevato di tossicodipendenti senza che assuma rilevanza la situazione del mercato e la sua eventuale saturazione, in quanto tale elemento risulta di difficile valutazione stante la mancanza di dati di riferimento certi e verificabili in concreto (Sez. 4 n. 24571, 30 giugno 2010; Sez. 3 n. 23915, 22 giugno 2010; Sez. 6 n. 13870, 12 aprile 2010; Sez 5 n. 39205, 20 ottobre 2008; Sez. 6 n. 10384, 6 marzo 2008; Sez. 4 n. 43372, 23 novembre 2007; Sez. 4 n. 11510, 11 marzo 2004; Sez. 6 n. 7254, 24 febbraio 2005; Sez. 4 n. 47891, 10 dicembre 2004; Sez. 4 n. 12186, 13 marzo 2004; Sez. 4 n. 45427, 25 novembre 2003; Sez. 4 n. 44518, 20 novembre 2003).

Va altresì aggiunto che deve registrarsi un diverso e recente indirizzo, al momento minoritario, che individua il concetto di ingente quantità con riferimento ad un limite quantitativo affermando, conseguentemente, che non possono di regola definirsi "ingenti" i quantitativi di droghe "pesanti" (ad es., eroina e cocaina) o "leggere" (ad es., hashish e marijuana) che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per il tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di due chilogrammi e cinquanta chilogrammi (Sez. 6, n. 42027, 26 novembre 2010; Sez. 6 n. 20120, 26 maggio 2010; Sez. 6 n. 20119,26 maggio 2010).

Tale secondo indirizzo, tuttavia, non appare condivisibile perchè, come già osservato (Sez. 4 n. 24571, 30 giugno 2010, cit.) tale limite quantitativo si risolverebbe in un dato avente valenza normativa che tuttavia il legislatore non ha ritenuto di dover indicare, nè può ritenersi soddisfacente il riferimento ai dati di comune esperienza particolarmente apprezzabili dalla Corte di cassazione quale punto di confluenza di una rappresentazione casistica generale, in quanto non effettivamente riscontrabili con riferimento al solo dato quantitativo e ad una generica "percentuale media" di principio attivo.

Va pertanto nuovamente affermato il principio secondo il quale la nozione di ingente quantitativo va considerata con riferimento all’elemento ponderale, alla quantità del principio attivo, alla qualità dello stupefacente ed agli effetti negativi causati agli assuntori.

La Corte d’Appello ha, sul punto, adeguatamente motivato facendo buon uso delle norme sostanziali e dei principi giurisprudenziali applicati dando conto, in modo coerente ed immune da cedimenti logici, delle ragioni poste a sostegno della decisione.

Correttamente ha ritenuto, infatti, che il quantitativo di stupefacente per quantità (oltre 2 chilogrammi) grado di purezza del principio attivo (96%) e per numero di dosi ricavabili (113.640 da 15 milligrammi ciascuna) fosse senz’altro da ritenersi ingente.

Con argomentazioni in fatto altrettanto coerenti e logiche e, come tali, non censurabili in questa sede, ha dato compiutamente conto della consapevolezza del C. e del M. circa la destinazione e qualità della cocaina, valorizzando il contenuto di alcune telefonate intercettate dalle quali emerge che i predetti, riferendosi al tempo necessario (due giorni) affinchè lo stupefacente fosse "pronto", verosimilmente dopo essere stato tagliato con altre sostanze a causa della elevata purezza, dimostravano inequivocabilmente di avere piena cognizione della qualità e destinazione della droga.

La decisione impugnata è, inoltre, immune da censure anche per quanto attiene al vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti dedotto dal M..

Va ricordato a tale proposito che le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (SS. UU. n. 10713,18 marzo 2010).

Si è successivamente affermato, inoltre, che in tali casi, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (Sez. 2 n. 36265,11 ottobre 2010).

Nel caso di specie, i giudici di merito non si sono limitati ad una valutazione di mera equivalenza tra le circostanze concorrenti, che pure avrebbe soddisfatto, alla luce della menzionata giurisprudenza, l’obbligo motivazionale, ma hanno chiaramente indicato le ragioni del loro convincimento sul punto, con adeguati richiami alla gravità dei fatti ed alla personalità degli imputati.

Altrettanto infondata appare, infine, la deduzione del P.D. L.R. in ordine alla quantificazione della pena, caratterizzata da estrema genericità della doglianza e da un errato riferimento al calcolo della pena, avendo il giudice esattamente calcolato la riduzione di un terzo della reclusione sulla pena base che, come chiaramente indicato in sentenza, è di anni 12 e mesi 6 e non di anni 12 come indicato dal ricorrente.

I ricorsi devono pertanto essere rigettati con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *