Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27-04-2011, n. 2483 Contratti forme di contrattazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nuzzi e l’Avvocato dello Stato Colelli nelle preliminari;
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sede di Napoli- ha respinto il ricorso con il quale il Professor G. T. aveva chiesto l’annullamento della delibera dell’INPDAP, sede provinciale di Napoli, n. 2250 del 12 marzo 2004 e della conseguente liquidazione dell’indennità di buonuscita di cui al mandato n. 610017863 del 17 marzo 2004, nella parte in cui aveva posto a base del calcolo dell’indennità il trattamento economico figurativo che gli sarebbe spettato quale professore universitario di ruolo alla data del 31 dicembre 2003, piuttosto che quello in godimento quale Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (incarico, questo, dal lui ricoperto dal 1998 al 2005).

Il Tribunale amministrativo ha altresì respinto la domanda di accertamento del diritto alla liquidazione dell’indennità di buonuscita sulla base dell’ultima retribuzione percepita quale Presidente della stessa Autorità e quella per la liquidazione del trattamento di fine rapporto secondo i parametri di cui all’art. 2120 Cod. civ. e la richiesta subordinata di restituzione dei contributi pagati durante il servizio presso l’Autorità in relazione al trattamento di fine rapporto.

L’interessato, professore universitario di ruolo all’Università degli Studi di Napoli "Federico II", aveva rappresentato di essere stato nominato, a decorrere dal 1998, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Per effetto di tale nomina, egli era stato collocato "fuori ruolo" senza assegni. Lamentava che, una volta rassegnate le dimissioni dall’insegnamento con decorrenza dal 31 dicembre 2003, gli era stata corrisposta l’indennità di fine rapporto utilizzando come parametro di computo la retribuzione di professore universitario, anziché quella in godimento come Presidente dell’Autorità, fissata dall’art. 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).

Egli aveva sollevato sei distinte censure, sostenendo che la base di computo per la corresponsione degli emolumenti dovuti a titolo di buonuscita doveva essere individuata nello stipendio in effettivo godimento al momento delle dimissioni dall’insegnamento (31 dicembre 2003) e, dunque, nel trattamento percepito quale Presidente dell’Autorità stessa.

Quest’ultimo trattamento economico doveva essere qualificato di natura retributiva, in ragione della durata, dell’esclusività del rapporto e dell’alta qualificazione dell’attività svolta.

Il primo giudice ha ritenuto pregiudiziale la questione della natura del trattamento economico riservato ai componenti dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ed ha così rilevato che la legge10 ottobre 1990, n. 287 (art. 10, comma 8) rimette ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con il Ministro del tesoro, la definizione delle indennità spettanti al presidente e ai membri dell’Autorità. E che con apposito d.P.C.M. 29 gennaio 1991, era stato stabilito che "le indennità spettanti al Presidente ed ai membri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sono equiparate al trattamento economico complessivo previsto dalla legge 12 marzo 1953, n. 83 e successive modifiche ed integrazioni, per il Presidente ed i Giudici della Corte Costituzionale".

Il Tribunale amministrativo, richiamati alcuni precedenti in tema di trattamento economico e previdenziale dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti, ha rilevato che nel parere del Consiglio di Stato, I, 12 febbraio 1997, n. 1103 relativamente al trattamento di quiescenza dei membri dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, era stata riconosciuta la natura retributiva o lato sensu stipendiale dell’indennità in questione. Successivamente, però, il parere I, 7 aprile 2004 n. 2612 era pervenuto a conclusioni opposte, escludendo che il rinvio al trattamento economico complessivo dei giudici costituzionali potesse ritenersi esteso anche al trattamento di quiescenza e di previdenza.

Tanto il d.P.C.M. 29 gennaio 1991 (relativo ai componenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato) quanto quello dell’8 giugno1998 (relativo ai componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) facevano entrambi riferimento alla l. 11 marzo 1953,n. 87.

Ivi nessun riferimento al trattamento di fine rapporto poteva essere rinvenuto.

Ne discendeva, per il Tribunale amministrativo, che la normativa di settore non recava -a differenza di quanto previsto per i giudici costituzionali – disposizioni speciali che fondassero in via diretta un diritto alla buonuscita.

Per altro verso, anche il peculiare status giuridico dei componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non era idoneo a supportare – alla stregua della disciplina ordinaria (d.P.R 29 dicembre 1973, n. 1032)- la tesi del ricorrente di primo grado. Che a costoro non dovesse spettare il detto trattamento costituiva conseguenziale corollario del loro status di membri delle autorità amministrative indipendenti.

Il connotato dell’autonomia e dell’indipendenza, che caratterizza l’attività svolta dalle autorità amministrative indipendenti rispetto all’organizzazione dello Statoapparato, porta ad escludere che i componenti dei relativi organi direttivi possano essere annoverati tra i dipendenti dello Stato. Essi andavano considerati quindi non come dipendenti pubblici, ma come semplici funzionari onorari (gli indici rilevatori della figura del funzionario onorario sono riscontrabili anche nel rapporto che caratterizza il presidente e i componenti delle Autorità indipendenti, in particolare dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, connotati in primo luogo dall’assenza di vincoli di gerarchia, identificandosi essi stessi, quali componenti l’organo collegiale, nell’Autorità).

Ne discendeva la non invocabilità dell’art. 2120 Cod. civ. (che presuppone l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato) e l’inconsistenza delle censure di incostituzionalità della disposizione invocata, di cui alla legge10 ottobre 1990, n. 287. Doveva pertanto essere condivisa la valutazione in diritto dell’istituto di previdenza, che aveva fatto riferimento al trattamento in godimento dell’originario ricorrente (quale professore universitario) alla data del collocamento fuori ruolo, maggiorandolo dei miglioramenti attribuibili per il decorso dell’anzianità di servizio e fino alla data di dimissione dall’insegnamento.

In ultimo, la pretesa azionata in via subordinata di restituzione dei contributi pagati durante l’espletamento del mandato, doveva essere dichiarata inammissibile in quanto sfornita di specifici dati di riferimento.

L’interessato ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo.

A suo avviso, la sentenza è contraddittoria ed erronea. Ivi era sostenuto che il d.P.C.M. 29 gennaio1991 ed il d.P.C.M.. 8 giugno 1998 richiamavano le disposizioni della l. 12 marzo 1953 n. 87 (sul trattamento economico del presidente e dei giudici della Corte costituzionale). Si obliava però che il dettato di quei decreti richiamava anche le successive modificazioni alla l. 12 marzo 1953 n. 87. Tra queste, l’art. 2 l. 18 marzo 1958, n. 265 e l’art. 1 l. 16 aprile 1974, n. 124 (disposizioni da considerarsi integrative e modificative dell’art. 12 l. 12 marzo 1953 n. 87).

Dette disposizioni hanno ad oggetto il trattamento di quiescenza e previdenza dei giudici costituzionali e andavano anch’esse applicate all’appellante, perché costituivano parte integrante del corpus normativo della l. 12 marzo 1953 n. 87.

Sotto altro profilo, errata era l’affermazione secondo cui i componenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato dovessero essere considerati funzionari onorari (ed avessero quindi perduto la qualifica di pubblici dipendenti). Per l’appellante, il primo giudice aveva acriticamente recepito le conclusioni del parere del Consiglio di Stato, I, n. 2612 del 7 aprile 2004 (quest’ultimo, a propria volta, aveva modificato le conclusioni del parere n. 1103 del 12 febbraio 1997).

L’appellante ha anche riproposto in via subordinata la domanda di restituzione dei contributi (rapportati alla retribuzione percepita in costanza del mandato di presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato) pagati in eccesso rispetto al trattamento di fine rapporto erogatogli: ciò in ossequio ai principi di cui all’art. 2041 Cod. civ..

Con memoria datata 26 gennaio 2011, l’appellante ha ribadito le indicate censure

Le appellate amministrazioni INPDAP ed Università degli Studi di Napoli "Federico II" si sono costituite nel giudizio d’appello, chiedendo la reiezione del gravame e depositando scritti difensivi volti a sostenere la esattezza delle statuizioni della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto.

Giova dapprima ricostruire il quadro normativo di riferimento.

Ai sensi dell’art. 2, comma 11, l. 14 novembre 1995, n. 481 (cui rinvia l’art. 1, comma 5, l. 31 luglio 1997, n. 249) "Le indennità spettanti ai componenti le Autorità sono determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del tesoro".

Analogamente, l’art. 10, comma 8, l. 10 ottobre 1990, n. 287 stabilisce che "con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con il Ministro del tesoro, sono determinate le indennità spettanti al presidente e ai membri dell’Autorità".

Con d.P.C.M. 29 gennaio 1991 è stato quindi statuito che "le indennità spettanti al Presidente e ai componenti dell’Autorità sono equiparate al trattamento economico complessivo previsto dalla legge 11 marzo 1953, n. 87 e successive modificazione e integrazioni per il presidente e i giudici della Corte costituzionale".

Analoga previsione è contenuta nel d.P.C.M. 3 giugno 1998.

L’art. 12, l. 11 marzo 1953, n. 87, dispone che "I giudici della Corte costituzionale hanno tutti egualmente una retribuzione corrispondente al più elevato livello tabellare che sia stato raggiunto dal magistrato della giurisdizione ordinaria investito delle più alte funzioni, aumentato della metà……. Tale trattamento sostituisce ed assorbe quello che ciascuno, nella sua qualità di funzionario di Stato o di altro ente pubblico, in servizio o a riposo, aveva prima della nomina a giudice della Corte".

Come esattamente considerato dal giudice di primo grado, queste disposizione non supportano pretesa azionata dell’appellante.

Su un primo versante, infatti, la norma primaria rinvia a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la determinazione di un riconoscimento economico a natura dichiaratamente indennitaria.

Il d.P.C.M. 29 gennaio 1991, come anche quello del 3 giugno 1998, con l’esclusivo intento di attendere alla determinazione dell’indennità spettante ai componenti dell’Autorità, utilizza quale parametro di quantificazione il trattamento economico riconosciuto in favore dei giudici costituzionali dalla l. 11 marzo 1953, n. 87.

Più chiaramente, nel rinvio contenuto nel d.P.C.M. 29 gennaio 1991 al "trattamento economico complessivo" del presidente e dei giudici della Corte costituzionale va ravvisato (come induce l’uso dell’espressione "equiparate") un semplice modo di determinare l’entità, cioè di quantificazione, dell’indennità che spetta ai componenti dell’Autorità i sensi dell’art. 2, comma 11, l. 14 novembre 1995, n. 481. Dalla disposizione, infatti, non è dato ricavare altri elementi, testuali o sistematici, che siano destinati ad influire sulla natura del riconoscimento economico. Il che supera ogni considerazione circa il fatto, di suo dirimente, che si tratta di disposizione di rango non primario, e dunque di suo inidonea a qualificare la natura del compenso, quasi che dal rinvio quanto ad entità possa riflettersi un rinvio quanto a natura dell’emolumento. Per entrambe le ragioni, poi, non è dato considerare il rinvio come tacitamente esteso a disposizioni di legge non testualmente nominate dalla disposizione regolamentare di rinvio, vale a dire alla l. 18 marzo 1958, n. 265 e alla l. l. 16 aprile 1974, n. 124.

D’altra parte la stessa l. 11 marzo 1953, n. 87, con riguardo ai giudici costituzionali, non si occupa dei trattamenti di quiescenza e di previdenza, i quali sono regolamentati autonomamente e con disposizioni ad hoc (anche volte a rispondere ad un’esigenza di esatta quantificazione) da norme che – lungi dall’incidere in senso modificativo o anche realmente integrativo sulle previsioni delle leggi circa il trattamento di servizio (artt. 12 l. 11 marzo 1953, n. 87; 37, l. 27 dicembre 2002, n. 289), sono rispetto a quelle formalmente e oggettualmente diverse (artt. 2 l. 18 marzo 1958, n. 265; 1, l. 16 aprile 1974, n. 124).

Chiarito pertanto che la disciplina di questo settore non corrisponde alla pretesa dell’appellante, occorre verificare se a diverse conclusioni non si debba pervenire sulla base dello status giuridico dei componenti dell’Autorità.

Giova al riguardo considerare che – in mancanza di disciplina speciale di riferimento – l’accesso al trattamento invocato presuppone che si possa qualificare in termini di vero e proprio rapporto di impiego presso un’amministrazione statale quello che riguarda i componenti dell’Autorità; e di vera e propria retribuzione, quindi, delle indennità percepite nell’esercizio dell’incarico.

La Sezione non condivide un tale assunto, perché ne difetta la premessa.

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, la figura del funzionario onorario – che è residuale (vale a dire, individuabile a contrariis) rispetto a quella del pubblico dipendente, senza che possa ipotizzarsi un tertium genus neppure sotto il profilo della parasubordinazione- viene in rilievo quando, pur sussistendo un rapporto di servizio con relativa attribuzione di funzioni pubbliche, difettino nondimeno gli elementi professionalmente caratterizzanti dell’impiego pubblico, costituiti:

o dalla scelta del dipendente sulla base di apprezzamenti a carattere prettamente tecnicoamministrativo e con modalità selettive, anziché, come è per lo più per il funzionario onorario, sulla base di valutazioni discrezionali o intuitu personae ovvero, nei casi previsti, da procedure elettive (da cui discende che, per il funzionario onorario, l’instaurazione del rapporto di servizio avviene per lo più uno actu con l’investitura dell’ufficio);

o dall’inserimento strutturale del dipendente nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione, anziché in modo meramente funzionale come è per il funzionario onorario;

o dallo svolgersi del rapporto nel quadro dello statuto per il pubblico impiego, diversamente da quanto avviene per il funzionario onorario, il cui rapporto trova regolamentazione pressoché esclusivamente nell’atto di conferimento dell’incarico e in quanto ne discende

o dal carattere retributivo, perché inserito in un rapporto sinallagmatico, del compenso percepito dal pubblico dipendente, cui si contrappone il carattere invece indennitario, onnicomprensivo e di ristoro del sacrificio per dedicarsi all’attività dell’ufficio e di rimborso delle spese imposte dalla carica (quand’anche sia predeterminato dalla legge o in base ad essa da altri atti normativi, com’è nella specie in virtù del rinvio dell’art. 10, comma 8, l. n. 287 del 1990), proprio del compenso percepito dal funzionario onorario;

o dalla durata tendenzialmente indeterminata del rapporto di pubblico impiego, a fronte della ordinaria temporaneità dell’incarico onorario.

Ebbene, come osservato dal primo giudice, gli indici da cui è consentito desumere la qualificazione in termini di impiego del rapporto in questione non si registrano riguardo ai componenti dell’Autorità.

Costoro sono invero assoggettati ad un regime giuridico che induce a qualificarli in termini di funzionari onorari, e non professionali, perché difettano in loro tutti i ricordati parametri che caratterizzano il funzionario professionale: dalla nomina, che qui è intuitu personae e con determinazione a natura politica, fatta d’intesa dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, al carattere meramente funzionale del’inclusione nell’apparato dell’ufficio (tanto da identificarsi con l’organo stesso); dall’estraneità della disciplina del rapporto allo statuto del pubblico impiego, al carattere indennitario anziché retributivo del trattamento economico.

Tutto questo che impone, da un lato, di escludere che possa essere invocato a regolare la fattispecie l’art. 2120 Cod. civ., il quale presuppone l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dall’altro, di concludere senz’altro nel senso della manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità dedotte sul rilievo dell’assunta compromissione del principio sancito dall’art. 36 Cost. (che si postula un rapporto di lavoro dipendente) per effetto del mancato riconoscimento del diritto al trattamento di fine rapporto.

Alla stregua delle esposte ragioni va dunque respinto l’appello.

A differente esito non si può pervenire sulla base della circostanza dell’assoggettamento dei riconoscimenti economici percepiti dall’appellante alle trattenute pensionistiche e previdenziali, posto che non costituisce oggetto del presente contenzioso la questione del carattere dovuto o indebito delle stesse e, quanto alla proposta domanda di ripetizione, non essendo stato quantificati (neppure in primo grado) né l’importo dei versamenti, né la somma da ripetere.

Sussistono giustificate ragioni, legate alla complessità delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, 3260 del 2008 come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *