Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 27-04-2011, n. 16435 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 27 aprile del 2010, confermava quella resa dal tribunale della medesima città il 1 aprile del 2009, con cui S.G. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, quale responsabile di abuso sessuale in danno di D.V.J. (nata il (OMISSIS)), figlia della propria convivente, nonchè del delitto di cui all’art. 61 c.p., n. 2 e art. 611 c.p. per avere, con minacce, indotto la vittima a ritrattare le accuse di abuso sessuale.

Secondo le dichiarazioni della vittima e gli accertamenti dei giudici del merito, gli abusi erano costituiti da toccamenti vari sia sopra che sotto i vestiti, da introduzione delle dita nella vagina, da baci con la lingua e dall’induzione della vittima a masturbare il S., con l’aggravante di avere commesso i fatti anteriori al (OMISSIS) su minore degli anni 14. Fatti commessi dal (OMISSIS), con esclusione del periodo di allontanamento dall’abitazione familiare dal (OMISSIS).

L’originaria denuncia sporta dalla vittima si era conclusa con un’archiviazione sennonchè, dopo il ripristino della convivenza, a seguito del periodo di allontanamento cautelare della minore dalla casa familiare, il ricorrente aveva ripreso ad abusare sessualmente della ragazza. In questa seconda circostanza la parte lesa, a sostegno del proprio assunto, aveva addotto la registrazione di una telefonata tra lei ed il prevenuto captata alla presenza di tale Si.Ma., cognata del S.. A seguito di tale ulteriore elemento l’originario processo è stato riaperto.

A fondamento della decisione i giudici del merito hanno osservato che la vittima, ormai maggiorenne, all’epoca del dibattimento, aveva reso dichiarazioni coerenti ed attendibili le quali, oltre ad essere accreditate dalla registrazione della telefonata tra la ragazza ed il prevenuto, captata a Napoli nell’abitazione di una cognata dell’imputato, erano riscontrate dalle testimonianze rese dalle persone con le quali la parte offesa si era di volta in volta confidata.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore sulla base di tre motivi.

Con il primo denuncia mancanza di motivazione sull’affermazione di responsabilità per il reato di abuso sessuale ascritto al capo a).

Assume che le affermazioni della Corte sull’attendibilità della vittima si pongono in contrasto con quanto riferito dalla psicologa dott.ssa R. a seguito della prima denuncia conclusasi con l’archiviazione, giacchè la predetta, esaminando la minore, aveva sostenuto che la ragazza poneva "poca distanza tra la realtà ed il mondo delle fantasie" nonchè con quanto riferito dalla consulente dott.ssa B. nella relazione del 31 marzo del 2007. Quest’ultima aveva sostenuto che il Test di Rorschac aveva evidenziato una marcata tendenza a fuggire nel fantastico. Sostiene inoltre che il comportamento tenuto in occasione della registrazione della telefonata alla quale si è fatto prima riferimento non fu lineare e la stessa teste Si., cognata del S., che aveva ricevuto le confidenze della parte offesa, in dibattimento aveva, sia pure in parte, ridimensionato le originarie dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari.

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, lett. e) per la mancata assoluzione dell’imputato dal delitto ascrittogli al capo C) quanto meno ex art. 530 cpv. c.p.p.. Sostiene che le parole pronunciate dal S. non costituivano delle minacce, ma semplicemente uno sfogo privo di contenuto intimidatorio effettuato dopo avere saputo della registrazione della telefonata.

Con il terzo motivo si duole per il mancato contenimento dell’aumento di pena per la continuazione e per la mancata dichiarazione di prevalenza delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per varie ragioni.

In primo luogo per l’aspecificità dei motivi perchè si ripetono testualmente censure già avanzate con l’appello e puntualmente disattese dalla Corte territoriale senza la specifica indicazione dei vizi del ragionamento del giudice censurato.

In secondo luogo perchè i motivi si risolvono in censure in fatto sull’apprezzamento delle prove, peraltro manifestamente infondate.

In particolare il prevenuto ha estrapolato alcune frasi dalla relazione della consulente dott. B. senza considerare le conclusioni definitive del perito, il quale ha ritenuto la minore persona idonea a testimoniare anche se all’epoca della prima rivelazione, per l’età, versava in una situazione confusionale. Di conseguenza è comprensibile il giudizio di non credibilità espresso dalla dott.ssa R. in epoca anteriore all’archiviazione. Dopo l’archiviazione la parte offesa è stata ritenuta dalla dott.ssa B. idonea a testimoniare anche sui fatti risalenti al primo periodo perchè richiamati nella fase successiva. Tale considerazione peritale, come rilevato dai giudici del merito, è stata avvalorata dal fatto che la parte offesa è stata esaminata in dibattimento quando aveva ormai raggiunto la maggiore età ed ha confermato quanto dichiarato nell’ audizione protetta.

I giudici del merito hanno altresì sottolineato che la veridicità delle dichiarazioni della vittima è stata acclarata, oltre che dalla registrazione, alla presenza della Si., della telefonata con il prevenuto, anche dalle dichiarazioni rese dalle insegnanti e dalle altre persone con le quali la parte offesa si era confidata.

Anche in ordine al delitto di cui all’art. 611 c.p. la motivazione dei giudici del merito non presenta alcuna incongruenza.

Essi, invero, hanno accertato e sottolineato che le minacce profferite dall’imputato nei confronti della persona offesa erano dirette ad indurla a ritrattare l’accusa e non costituivano un semplice sfogo dell’imputato, come da questi affermato.

Manifestamente infondate sono anche le censure sul trattamento sanzionatorio Al prevenuto sono state concesse le circostanze attenuanti generiche considerate equivalenti alle aggravanti -.

L’aumento di pena per la continuazione non può considerarsi spropositato avuto riguardo alla circostanza che, per la reiterazione dei fatti sessuali per svariati anni, l’aumento è stato contenuto nella misura di un anno e, per la continuazione esterna, nella misura di tre mesi di reclusione.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

La Corte letto l’art. 616 c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *