Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27-04-2011, n. 2460 Indennità di anzianità e buonuscita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I signori V., C., F., D. P., O. G., O. G., O. G., O. L., O. P., N., D. V. R. e G. riferiscono di essere dipendenti statali (ovvero eredi di dipendenti statali) collocati a riposo in epoca anteriore al 30 novembre 1984 e nei cui confronti l’Ente previdenziale appellato aveva corrisposto un’indennità di buonuscita non comprensiva dell’indennità integrativa speciale (d’ora in poi: "i.i.s.’).

Nel corso del 1997, quindi, gli odierni appellanti adivano il Tribunale amministrativo regionale del Lazio per l’accertamento e la declaratoria del diritto alla liquidazione di un’indennità di buonuscita comprensiva dell’intera i.i.s. in godimento alla data di cessazione del rapporto lavorativo.

Con la pronuncia oggetto del presente gravame il Tribunale adìto respingeva il ricorso in parola, osservando:

– che in favore dei ricorrenti non fossero invocabili i benefìci di cui al comma 1 dell’art. 3, l. 29 gennaio 1994, n. 87, attesa l’intervenuta prescrizione (quinquennale) del diritto fatto valere, decorrente dalla data della cessazione dal servizio;

– "che ogni questione di legittimità costituzionale sul punto deve ritenersi manifestamente infondata, in quanto l’art. 3 della l. 87/1994 non ha introdotto né alcuna regola innovativa in tema di prescrizione rispetto al normale termine quinquennale (cfr. Cons. St., VI, 26 giugno 2002 n. 3513), né un termine più lungo, né tampoco una disciplina distinta sull’IIS, essendosi limitata a disporre che l’ulteriore quota dell’indennità di buonuscita, derivante dal computo dell’IIS stessa, fosse erogata ai dipendenti pubblici che erano stati collocati a riposo entro un arco temporale corrente dal 1° dicembre 1984 alla data della sua entrata in vigore nonché a coloro, collocati a riposo entro il 30 novembre 1984, per i quali non fossero giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell’indennità di buonuscita".

La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dai signori V., C., F., D. P., O. G., O. G., O. G., O. L., O. P., N., D. V. R. e G., i quali ne lamentavano l’erroneità articolando un unico motivo di gravame (Violazione, errata e falsa applicazione della sentenza n. 243/93 della Corte costituzionale – Violazione, errata e falsa applicazione della l. 87/94 – Violazione dell’art. 2935 cod. civ. – Violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione – Violazione dell’art. 1, lett. b), l. 87 in relazione all’art. 38, T.U. 1032/73 e alla sentenza della Corte costituzionale n. 243/93 – Violazione e falsa applicazione dei princìpi di cui alla l. 241/90).

Si costituiva in giudizio l’I.N.P.D.A.P., il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del 15 febbraio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da alcuni dipendenti pubblici (o loro eredi) collocati in quiescenza prima del 30 novembre 1984 avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato respinto il ricorso finalizzato alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita attraverso il computo dell’indennità integrativa speciale.

2. Con l’unico motivo di gravame gli appellanti in epigrafe indicati, dopo aver ripercorso le vicende che avevano condotto all’approvazione della l. 29 gennaio 1994, n. 87, si soffermano sulla previsione di cui al comma 1 dell’art. 3 della legge, secondo cui "il trattamento di cui alla presente legge viene applicato anche ai dipendenti che siano cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti, nonché a quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell’indennità di buonuscita o analogo trattamento".

Al riguardo, gli appellanti richiamano l’orientamento secondo cui il riferimento a soggetti titolari di "rapporti giuridicamente non ancora esauriti" sarebbe tale da ricomprendere anche la posizione di coloro i quali avessero posto in essere atti interruttivi della prescrizione del diritto al più favorevole computo dell’indennità di buonuscita.

In definitiva, nella tesi degli appellanti, l’intervento legislativo del 1994, accompagnato dal fatto di aver posto in essere atti interruttivi della prescrizione, non potrebbe che determinare l’accoglimento del gravame.

Per quanto concerne, poi, il computo del termine per la prescrizione del diritto fatto valere, gli appellanti lamentano l’erroneità della pronuncia in epigrafe (secondo cui la prescrizione sarebbe maturata decorso un quinquennio dalla data del collocamento in quiescenza), atteso che il corretto termine prescrizionale dovrebbe piuttosto essere quello decennale.

Anche per tale ragione non potrebbe affermarsi che il rapporto giuridico relativo alla determinazione dell’indennità di buonuscita degli appellanti fosse giuridicamente esaurito alla data di entrata in vigore della l 87 del 1994.

2.1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

In particolare, non appare fondata l’affermazione secondo cui, alla data di entrata in vigore della legge n. 87, cit., il rapporto giuridico pensionistico degli odierni appellanti non potesse considerarsi giuridicamente esaurito, con conseguente applicabilità della più favorevole disciplina di cui all’art. 3 della medesima legge n. 87 del 1994.

2.2. In primo luogo, non può in alcun modo affermarsi che il diritto al più favorevole computo della buonuscita sia sorto per la prima volta nella sfera giuridica degli odierni appellanti con l’entrata in vigore della più volte richiamata legge del 1994.

Al contrario, la legge in questione (emanata al fine di superare la situazione di vuoto normativo determinatasi a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 243 del 1993) sortiva l’evidente effetto di riconoscere un diritto (quello all’inclusione, nel computo della buonuscita, anche di una quota parte dell’i.i.s.) non riconosciuto dalla normativa previgente.

D’altronde, si trattava di un diritto che (per le ragioni che fra breve si esporranno) neppure con la novella del 1994 era stato riconosciuto in capo agli odierni appellanti.

Per quanto concerne il torno temporale precedente, invece, deve ritenersi che la normativa ratione temporis applicabile non riconoscesse in alcun modo il richiamato diritto agli odierni appellanti, con la conseguenza che essi avrebbero avuto l’onere di agire tempestivamente per la tutela del proprio diritto asseritamente violato (rectius: negato), se del caso lamentando il carattere incostituzionale delle disposizioni che tale diritto omettevano di riconoscere.

Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione all’orientamento giurisprudenziale (dal quale non si rinvengono nella specie ragioni onde discostarsi) secondo cui la presenza di una norma che neghi un diritto del quale il soggetto si reputi titolare non impedisce che il relativo termine di prescrizione comunque decorra.

Il dipendente interessato ha, dunque, l’onere di attivarsi per far valere il diritto medesimo fin dal momento in cui esso è venuto ad esistere, utilizzando gli strumenti che l’ordinamento offre e che comprendono anche la possibilità di sollevare in corso di giudizio incidente di legittimità costituzionale, al fine di ottenere l’eliminazione della norme che impediscano il soddisfacimento della pretesa (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 19 ottobre 2006, n. 6259, resa un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio).

2.3. Si osserva, ancora, che non possa in alcun modo affermarsi che l’entrata in vigore della l. 87 del 1994, cit. rappresenti il terminus a quo per il decorso del termine prescrizionale di un diritto asseritamente sorto nella sfera giuridica degli odierni appellante, per la semplice ragione che la legge in questione non riguardava in alcun modo la loro posizione giuridica.

Ed infatti, gli odierni appellanti non rientravano in alcuna delle (due) categorie di beneficiari contemplate dalla legge del 1994 (ossia: i) coloro che fossero cessati dal servizio in data successiva al 30 novembre 1984, ovvero ii) coloro per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non fossero ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell’indennità di buonuscita o analogo trattamento).

Quanto al primo aspetto, basti osservare che gli odierni appellante erano cessati dal servizio in data anteriore al 30 novembre 1984.

Quanto al secondo aspetto, poi, si osserva che, al 1994, i rapporti attinenti alla liquidazione dell’indennità di buonuscita o analogo trattamento degli appellanti fossero ormai da molto tempo definiti, atteso che (per le ragioni esposte infra) il dies a quo per reclamare – e tutelare nelle apposite sedi – qualunque diritto inerente la posizione dell’odierno appellante iniziava a decorrere dal collocamento a riposo degli appellanti, avvenuta prima del 1984.

Per le medesime ragioni, non può essere condivisa la pretesa applicabilità al caso di specie della previsione di cui al comma 2 dell’art. 3, l. 87 del 1994 (secondo cui "l’applicazione della presente legge ai dipendenti già cessati dal servizio avviene a domanda, che deve essere presentata all’Ente erogatore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settembre 1994").

2.4. Da quanto sin qui esposto consegue l’intervenuta prescrizione di qualunque diritto a tale titolo asseritamente vantato per l’inutile decorso del termine di cui all’art. 20 del d.P.R. 1032 del 1973 a far data dal momento del pensionamento dell’odierno appellante.

Né può trovare accoglimento la pretesa a fruire di un diverso termine prescrizionale, dovendo piuttosto trovare applicazione l’orientamento interpretativo secondo cui la l. 87 del 1994 si è limitata a disporre che l’ulteriore quota dell’indennità di buonuscita fosse erogata ai dipendenti pubblici che erano stati collocati a riposo entro un arco temporale corrente dal 1 dicembre 1984 alla data della sua entrata in vigore nonché a coloro, collocati a riposo entro il 30 novembre 1984, per i quali non fossero giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione della indennità di buonuscita; senza avere in alcun modo modificato il pregresso dato della durata quinquennale del termine di prescrizione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 21 settembre 2010, n. 6990).

2.5. Ed ancora, non può trovare accoglimento la tesi secondo cui gli appellanti avrebbero comunque posto in essere atti interruttivi della prescrizione, in tal modo potendo fruire della previsione di cui all’art. 3 della più volte richiamata l. 87 del 1994.

A tacer d’altro, si osserva che l’affermazione secondo cui gli appellanti avrebbero posto in essere atti interruttivi della prescrizione (il cui terminus a quo decorreva dal momento del pensionamento) non viene suffragata da alcun elemento concreto, mentre il ricorso introduttivo del primo giudizio è stato proposto solo nel 1997 (ossia, una volta che era ampiamente decorso il termine prescrizionale quinquennale decorrente da epoca anteriore al 1984).

Si osserva, inoltre, che neppure l’eventuale presentazione di istanze ai sensi del comma 2 dell’art. 3, l. 87, cit. potrebbe valere ai fini interruttivi di una prescrizione evidentemente già maturata, laddove la previsione in parola concerneva la diversa situazione (che qui non rileva) dei soggetti per i quali alla data di entrata in vigore della legge non fossero ancora giuridicamente esauriti i rapporti relativi alla determinazione dell’indennità di buonuscita.

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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