T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 27-04-2011, n. 2348 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 21 aprile 2006 con d.i.a. registrata al n. 11195 di protocollo del Comune di Marigliano la signora N.R. presentava un progetto volto al restauro e risanamento conservativo di un antico fabbricato di proprietà sua e del marito Bellavista Raffaele, denominato Masseria del Monaco sul quale non risultavano esistenti vincoli di natura culturale.

Decorsi i termini di legge avevano inizio i lavori nel corso della cui esecuzione si rendeva necessaria la presentazione di un’altra denuncia inizio attività in data 5 giugno 2006 per il ripristino della muratura perimetrale del fabbricato.

Una terza d.i.a. n. 23778 di protocollo veniva presentata in data 25 settembre 2006 per l’abolizione di uno dei solai intermedi richiesti, con conseguente diminuzione della cubatura originaria.

Dopo circa quindici mesi dall’ultimazione dei lavori, con ordinanza n. 113 del 7 giugno 2010, integrata dalla successiva l’ordinanza n. 118 del 15 giugno 2010, recante la modifica dell’esatto indirizzo del destinatario, il Comune di Marigliano ordinava alla signora N. la demolizione delle opere. Il fondamento giustificativo del provvedimento era che, sebbene nelle relazioni tecniche prot. 438/SAT del 19 gennaio 2007 e prot. 33/SAT del 3 giugno 2010 il funzionario tecnico del Comune responsabile del procedimento avesse ritenuto che le opere fossero realizzabili con d.i.a. perché residenze multiple ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. n. 380/2001, il dirigente si era discostato da tale impostazione, ingiungendo la demolizione delle opere.

Avverso ambedue le ordinanze ha proposto ricorso a questo Tribunale Amministrativo Regionale la signora N.R. chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari.

La ricorrente ha innanzitutto lamentato che l’ordinanza n. 118 del 15 giugno 2010, ossia quella effettivamente notificata, si era limitata a richiamare la precedente ordinanza n. 113 del 7 giugno 2010, senza che vi fossero indicate le ragioni della demolizione; né il primo provvedimento era stato reso disponibile ai fini di una legittima motivazione per relationem.

Inoltre è stato dedotto che l’intervento edilizio oggetto della misura di ripristino era senz’altro realizzabile mediante denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 22, terzo comma del d.p.r. n. 380/2001, come modificato dalla legge n. 301/02 che ha consentito la d.i.a. alternativa al permesso di costruire in caso di ristrutturazione; del resto, ha rilevato la ricorrente che gli stessi tecnici comunali intervenuti nel procedimento hanno ritenuto che le opere fossero assentibili con d.i.a., oltre ad essere conformi al PRG.

Con altro motivo sono stati addotti profili di carenza di istruttoria e di motivazione, non avendo il dirigente né motivato il proprio dissenso rispetto alle risultanze dell’istruttoria, né compiuto indagini ed accertamenti ulteriori a sostegno della propria valutazione.

Ed ancora, trattandosi di opere assentibili, il Comune, piuttosto che ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, avrebbe dovuto consentire alla ricorrente di presentare istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001 ed in ogni caso, avrebbe dovuto essere valutata la possibilità di applicare una sanzione pecuniaria ai sensi degli artt. 33 e 34 del d.p.r. n. 380 del 2001, non essendo la demolizione una misura compatibile con la conservazione della costruzione eseguita in conformità.

Altro motivo di doglianza era la mancanza di idonea partecipazione procedimentale e l’insussistenza di un dichiarato interesse pubblico alla demolizione.

Il Comune di Marigliano non si è costituito in giudizio.

Alla camera di consiglio del 23 luglio 2010, con ordinanza n. 1857/10, il Tribunale ha accolto la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 31 marzo 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è meritevole di accoglimento.

L’art. 6, lettera e) della legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificato dall’art. 4 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, stabilisce che "il responsabile del procedimento adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione. L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale".

Trattasi di una norma solo apparentemente recante una prescrizione di natura procedimentale formale, dal momento che, analogamente ad altre disposizioni della legge generale sul procedimento, impone una canone di legittimità sostanziale dell’azione amministrativa che si risolve nel principio di non contraddizione e, quindi, in quelli di trasparenza ed imparzialità. E’ ben possibile che l’organo decidente assuma una determinazione che si riveli contraria o comunque non in armonia con le risultanze dell’attività istruttoria, ma deve in questo caso compiutamente rappresentare – in ciò determinandosi un’intensificazione dell’onere motivazionale – le ragioni di tale scelta. Va aggiunto che una diversa determinazione finale sottende comunque una completezza dell’istruttoria, sebbene non condivisa nelle conclusioni cui può indurre, mentre un’eventuale carenza dovrebbe piuttosto imporre all’organo investito della decisione finale una sua riedizione o completamento.

Ebbene, nel caso di specie, l’impugnato provvedimento di ripristino appare privo sia di idonea motivazione che di adeguato supporto istruttorio, come dedotto nel ricorso e già rilevato nell’ordinanza cautelare emessa nel corso del giudizio.

Infatti, nel provvedimento impugnato non risulta in alcun modo la ragione concreta per cui la ricorrente non avrebbe potuto far ricorso alla d.i.a. alternativa di cui all’art. 22, terzo comma, lettera a) del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, come sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002, pur rientrando le opere realizzate nella nozione di ristrutturazione di cui all’art. 10. primo comma, lettera c), comportante l’aumento di unità immobiliari, secondo quanto indicato nelle due relazioni istruttorie del responsabile del procedimento, da cui senza alcuna ragione in fatto ed in diritto si è immotivatamente discostato l’organo decidente. Né l’adozione dell’ordine di ripristino appare giustificata alla luce di un’eventuale incompatibilità dell’intervento realizzato con le previsioni del piano regolatore del Comune di Marigliano, risultando piuttosto dalla documentazione esibita dalla ricorrente (documento 16 della produzione) che lo stesso ufficio tecnico ne aveva verificata l’ammissibilità ai sensi dell’art. 18 della variante di adeguamento.

Ne discende, pertanto, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, con consequenziale loro annullamento, dovendo l’amministrazione riesercitare il proprio potere di vigilanza sulla legittimità del titolo edilizio in questione in conformità ai principi contenuti nella presente decisione.

Le spese seguono la soccombenza, con condanna del Comune di Marigliano al relativo pagamento in favore della ricorrente nella misura di Euro1.500,00(Millecinquecento/00).
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati. Condanna il Comune di Marigliano al pagamento delle spese processuali in favore della ricorrente nella misura di Euro 1.500,00(Millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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