Cass. pen. Sez. Unite, Sent., (ud. 24-02-2011) 27-04-2011, n. 16453 Libertà di circolazione e soggiorno Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa il 24 marzo 2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pordenone, su concorde richiesta delle parti di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., dichiarava non luogo a procedere, perchè il fatto non è previsto della legge come reato, nei confronti di A.P., imputato del reato previsto e punito dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, per non avere esibito al personale della locale Questura, senza giustificato motivo, alcun documento d’identificazione o di soggiorno.

L’ A., nel corso di un intervento effettuato il 17 dicembre 2008 da personale di pubblica sicurezza presso un locale pubblico di Pordenone, aveva omesso, a richiesta degli agenti, di esibire qualsiasi documento; era stato accompagnato e identificato con riscontro fotosegnaletico presso gli uffici della Questura, ove si accertava che lo stesso era sprovvisto di permesso di soggiorno e di ogni documento d’identificazione.

A motivazione della decisione, il giudice di merito ha osservato che la norma incriminatrice – a seguito delle innovazioni introdotte dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. h), che impone, a richiesta di ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, l’esibizione congiunta dei documenti d’identità e di quelli attestanti la regolarità del soggiorno – è applicabile soltanto allo straniero regolarmente soggiornante, in quanto lo straniero "irregolarmente presente sul territorio non può per ciò stesso essere in possesso del – e quindi non potrebbe mai esibire il – permesso di soggiorno". 2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il pubblico ministero, denunciando, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione alla norma incriminatrice, affermandone l’applicazione anche nei confronti dello straniero in posizione irregolare, in linea con recenti pronunce della Corte di legittimità. 3. Il ricorso veniva assegnato alla Prima sezione penale che, con ordinanza emessa in data 11 novembre 2010 a norma dell’art. 618 c.p.p., ha deliberato la rimessione del procedimento alle Sezioni unite al fine di prevenire un contrasto giurisprudenziale con precedenti pronunce della stessa sezione (n. 44157 del 23/09/2009, Calmus; n. 6343 del 20 gennaio 2010, Wainan; n. 37060 del 20 settembre 2010, Timimouni), in ordine all’individuazione delle conseguenze scaturenti dalla modificazione della norma incriminatrice di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, operata dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. h).

4. Il Primo presidente, con decreto 6 dicembre 2010, ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza, in cui il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, condividendo l’interpretazione che della norma ha dato il giudice di merito.
Motivi della decisione

1. Le Sezioni unite devono decidere se la modificazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, ad opera della L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. h), abbia circoscritto i soggetti attivi del reato – di inottemperanza "all’ordine di esibizione del passaporto o di un altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato" – esclusivamente agli stranieri legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato, con conseguente abolitio criminis per gli stranieri in posizione irregolare.

2. La questione dell’applicabilità del cit. D.Lgs., art. 6, comma 3, agli stranieri in posizione irregolare aveva costituito, già sotto il vigore del testo normativo precedente la modificazione introdotta dalla L. 94 del 2009, oggetto di contrasti giurisprudenziali, composti dall’intervento di queste Sezioni unite che, con sentenza n. 45801 del 29/10/2003, Mesky, affermò che integrava il reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, la mancata esibizione, senza giustificato motivo, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, del passaporto o di altro documento di identificazione, da parte del cittadino straniero presente, regolarmente o non, nel territorio dello Stato; mentre non integrava nè questa, nè altra ipotesi di reato, l’omessa esibizione, da parte dello straniero "illegalmente immigrato" in Italia, del permesso o della carta di soggiorno ovvero del documento di identificazione per stranieri di cui al citato D.Lgs. art. 6, comma 9, essendo il possesso di uno di questi ultimi documenti inconciliabile con la condizione stessa di straniero in posizione irregolare.

Tale giurisprudenza è stata ribadita dalla già citata sentenza Calmus (n. 44157 del 23/09/2009), secondo cui è esigibile nei confronti dello straniero, che pure abbia fatto ingresso irregolare nel territorio dello Stato, salvo che ricorra un giustificato motivo, l’obbligo di esibizione dei documenti di identificazione o dei documenti di soggiorno e ciò pur dopo la novella della disposizione incriminatrice ad opera della L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. h), (in senso conforme, ma senza particolare motivazione, anche le pronunce n. 6343 del 2010, Wainan, e n. 785 del 2010, Timimouni).

3. Al fine di dare risposta al quesito sopra formulato, è opportuno prendere le mosse della sentenza Mesky, la cui ratio decidendi è dichiaratamente fondata sul contenuto della norma posta dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, interpretata nel "senso fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore" ( R.D. n. 262 del 1942, art. 12, comma 1, recante "Disposizioni sulla legge in generale").

La norma, nel testo vigente all’epoca della decisione, indicava quattro tipi di documenti che lo straniero (senza alcuna distinzione tra legittimamente o irregolarmente presente sul territorio nazionale) era abilitato a esibire a richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza.

L’esibizione di uno qualsiasi di tali documenti ("il passaporto o altro documento di identificazione ovvero il permesso di soggiorno o la carta di soggiorno") escludeva la sussistenza del reato. Rilevava la sentenza che i primi due (passaporto o altro documento d’identificazione) non hanno alcun rilievo ai fini della regolarità dell’ingresso e della giustificazione della presenza nel territorio dello Stato, ma attengono solo alla certa identificazione del soggetto. Il permesso e la carta di soggiorno attestano, invece, la regolare presenza dello straniero in territorio nazionale e di tale regolarità sono idonei a dare esaustiva contezza, ma – secondo quanto precisa la sentenza – valgono nel contempo alla sicura identificazione del soggetto.

La locuzione ovvero attribuiva agli ultimi due valore di equipollenza e ne derivava che l’esibizione di uno qualsiasi di tali documenti escludeva la sussistenza del reato, con la conseguenza che lo straniero in posizione irregolare aveva l’obbligo di esibire i documenti d’identificazione, mentre non era da lui esigibile l’esibizione dei documenti di soggiorno.

La ratio della norma – secondo la predetta decisione – non era quella di consentire agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza di verificare, illieo et immediate, attraverso l’esibizione di uno di quei documenti, la regolarità o meno della presenza dello straniero in territorio nazionale, ma era solo quella di procedere alla sua documentale identificazione.

L’interesse protetto dalla norma veniva individuato non già nella verifica della regolarità della presenza dello straniero in territorio nazionale, ma nell’identificazione dei soggetti stranieri presenti (regolarmente o meno) nel territorio dello Stato, potendo l’accertamento di regolarità del soggiorno essere effettuato in un momento successivo.

4. L’approdo interpretativo del massimo organo di nomofilachia, nonostante talune residue critiche di dottrina, aveva determinato una giurisprudenza sostanzialmente pacifica sino al nuovo intervento del legislatore, che con la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. h), (recante "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica") ha sostituito il precedente testo normativo, disponendo che "Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda fino ad Euro 2.000".

Rispetto al precedente testo, le modificazioni riguardano l’inasprimento sanzionatorio (aumento del massimo edittale), la precisazione della condotta tipica (inottemperanza all’ordine di esibizione, anzichè mancata esibizione alla richiesta di ufficiali e agenti di p.s.), ma soprattutto la sostituzione della locuzione "e" alla disgiunzione "ovvero" relativamente alle due categorie di documenti da esibire: quelli d’identificazione e quelli attestati la regolarità del soggiorno nel territorio dello Stato.

5. Numerosi giudici di merito hanno interpretato la nuova norma nel senso accolto dalla sentenza impugnata, mentre questa Corte, con la menzionata sentenza Calmus (seguita dalle altre due pronunce sopra indicate), ha ritenuto che – a prescindere dall’inasprimento sanzionatorio, che ovviamente ( art. 25 Cost. e art. 2 c.p.) non si applica ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore – l’intervenuta modificazione normativa non determina mutamenti di alcun genere, in quanto la precisazione della condotta tipica ha valore esclusivamente formale, mentre l’introduzione "della congiunzione "e" posta tra le classi dei documenti d’identificazione e dei documenti di soggiorno da esibire, adottata nella nuova formulazione in luogo di quella precedente, sicuramente disgiuntiva ("ovvero"), non può incidere sulla condizione di esigibilità dell’ottemperanza che è implicita nella clausola del giustificato motivo, nè, in ogni caso, sulle situazioni pregresse". 6. Tale conclusione non può essere condivisa, giacchè, com’è stato efficacemente evidenziato nell’ordinanza di rimessione, il tenore oggettivo della disposizione incriminatrice tipizza la condotta contravvenzionale nel senso che, ai fini dell’adempimento del precetto normativo, è necessaria la concorrenza dell’esibizione dei documenti d’identificazione unitamente a quella del titolo di soggiorno.

A tanto conduce l’interpretazione della disposizione di cui al cit.

D.Lgs., art. 6, comma 3, seguendo i canoni dettati dall’art. 12 preleggi (secondo i criteri seguiti dalla stessa sentenza Mesky), al fine di attribuire significato alla norma per misurarne la precisa estensione e la possibilità di applicazione alla concreta fattispecie.

E’ vero che, in astratto, la congiunzione "e" può essere utilizzata in funzioni di collegamento di tipo copulativo (nel senso di "e anche") sia di tipo disgiuntivo ("e/o"), ma l’analisi testuale del dettato normativo nel suo sviluppo diacronico (rispetto al precedente testo) e sincronico (rispetto alle coppie alternative poste all’interno delle due categorie di documenti) assegna alla congiunzione "e" il significato della necessaria compresenza delle due categorie di documenti: quelli d’identità (passaporto o altro documento identificativo) e quelli di regolarità (permesso di soggiorno o altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato).

Dalla successione delle congiunzioni emerge che i collegamenti sono di disgiunzione e alternatività all’interno di ciascuna categoria (stante la fungibilità dei documenti richiamati per attestare rispettivamente l’identità e la regolarità del soggiorno), di addizione e compresenza delle due diverse categorie (essendo palese l’infungibilità tra documenti d’identificazione e quelli relativi al soggiorno).

7. A conforto dell’irrilevanza della sostituzione della congiunzione disgiuntiva ""ovvero" con la congiunzione "e" al fine di stabilire il mutamento del valore copulativo o alternativo della congiunzione, la sentenza Calmus richiama la decisione di queste Sezioni unite (n. 7958 del 27/03/1992, Delogu) in tema di reati contro la pubblica amministrazione, con riferimento all’uso, ritenuto analogo, operato dal legislatore in materia di qualifica soggettiva del pubblico ufficiale ( art. 357 c.p.).

Al testo di tale articolo (introdotto dalla L. 26 aprile 1990, n. 86, art. 17), che qualificava come pubblica "la funzione amministrativa (…) caratterizzata (…) dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi e certificativi", la L. 7 febbraio 1992, n. 181, art. 4, aveva apportato modifiche, tra cui la sostituzione della congiunzione copulativa "e" con quella disgiuntiva "o".

Ritiene il Collegio che tale precedente non sia utilizzabile a sostegno della ritenuta irrilevanza della modificazione apportata, poichè la sostituzione della congiunzione operata dal legislatore del 1992 non è affatto "analoga" a quella operata nel testo oggi in esame.

Quella sostituzione recepiva normativamente l’elaborazione interpretativa che, con riferimento al precedente testo, era stata già fatta dalla prevalente giurisprudenza, secondo cui, ai fini della qualificazione di pubblico ufficiale, era sufficiente l’esercizio disgiunto del potere autoritativo o certificativo (cfr.

Cass. n. 7958 del 1992, Delogu; Cass. sez. 5, 25/07/1991, Garetto).

In quel caso, dunque, il legislatore, apportando diverse innovazioni all’art. 157 c.p., aveva colto l’occasione per una modifica della congiunzione copulativa in quella disgiuntiva, per conformare la lettera della norma al "diritto vivente", secondo l’interpretazione prevalente della Corte di legittimità.

Nel caso in esame, è accaduto il contrario. A sei anni dalla sentenza Mesky, che aveva reso pacifica la giurisprudenza sulla questione, se il legislatore avesse voluto soltanto inasprire il trattamento sanzionatorio per la mancata esibizione dei documenti a carico degli stranieri non comunitari, indipendentemente dalla regolarità o meno dell’ingresso e del soggiorno sul territorio nazionale, avrebbe semplicemente modificato il massimo edittale della pena detentiva e pecuniaria (eventualmente con la formale e poco rilevante indicata precisazione sulla condotta).

Il legislatore ha, invece, consapevolmente operato la sostituzione della congiunzione da disgiuntiva ("ovvero") a congiuntiva ("e"), modificando la connessione delle parole e facendo venir meno l’equipollenza degli adempimenti evidenziata dalla sentenza Meski, così imponendo allo straniero di esibire, oltre ai documenti d’identificazione personale, anche quelli attestanti la regolarità della presenza nel territorio dello Stato.

Ciò all’evidente scopo, per parafrasare la motivazione della sentenza Mesky, di consentire agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza non soltanto di procedere all’esatta e compiuta identificazione dello straniero, ma anche "di verificare, illieo et immediate, attraverso l’esibizione di uno di quei documenti, la regolarità o meno della presenza dello straniero nel territorio nazionale", al fine di procedere al confronto tra dati identificativi e dati risultanti dai documenti concernenti la legalità dell’ingresso e del soggiorno, in maniera da far subito emergere l’eventuale non corrispondenza tra essi o l’utilizzazione di documenti falsi.

8. Lo scopo della predetta modifica normativa, volta a porre un freno al diffuso fenomeno dell’uso di documenti di soggiorno falsi o contraffatti, si ricava dalla contestuale e coerente introduzione (ad opera della L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. f), che ha modificato il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 8 bis) di una nuova fattispecie penale, che estende la pena della reclusione da uno a sei anni anche all’utilizzazione di uno dei documenti, contraffatti o alterati, relativi all’ingresso e al soggiorno.

Tale oggettiva ratio legis emerge dalla relazione illustrativa dell’articolato proposto dalle Commissioni permanenti 1a e 2a riunite, comunicata alla Presidenza del Senato in data 11 novembre 2008, nella quale risulta chiaro che l’interesse protetto dalla norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, è mutato in quello della verifica della regolarità della presenza dello straniero in territorio nazionale.

In detta relazione si legge che con l’art. 39 (poi diventato art. 1 della legge approvata), che modifica in più punti il testo unico sull’immigrazione, con inasprimento delle "norme circa le condizioni di ingresso nel territorio dello Stato e relativamente alla concessione del permesso di soggiorno", è stata anche "introdotta una sanzione per chi si rifiuti di esibire i documenti di identificazione attestanti la regolare presenza nel territorio dello Stato" (Atti parlamentari – Senato della Repubblica – n. 733-A, pag.7).

Per tale attestazione non basta l’esibizione del passaporto o di altro documento d’identificazione, ma è necessaria la congiunta esibizione di essi unitamente a quelli riguardanti il legale ingresso o legittimo soggiorno in Italia.

9. Deve dunque concludersi che, rispetto alla precedente formulazione, secondo cui il reato era integrato per il fatto di non esibire una delle due categorie di documenti (d’identificazione ovvero di regolare soggiorno), a seguito della ricordata modifica, la fattispecie contravvenzionale è integrata dallo straniero che, a richiesta degli ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza, omette di esibire entrambe le categorie di documenti.

Così ricostruita la fattispecie, ne deriva che essa non può più applicarsi allo straniero in posizione irregolare, cioè a colui che è entrato illegalmente in Italia o qui è rimasto nonostante la scadenza del titolo di soggiorno. Come ha correttamente ritenuto il giudice di merito, la norma incriminatrice non può riguardare tale straniero perchè egli, in quanto irregolarmente presente nel territorio dello Stato, non può, per ciò stesso, essere titolare di permesso di soggiorno.

Il Collegio rimettente ha esattamente precisato che la condotta dello straniero irregolare non può essere ricompresa nella nuova fattispecie di cui al D.Lgs. cit., art. 6, comma 3, in forza del principio di tipicità, risultando chiaro dal contenuto della norma e dall’interesse da essa tutelato che il soggetto attivo del reato è stato circoscritto allo straniero regolarmente soggiornante.

Nel caso in esame, a differenza di quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata e da quella della ricordata sentenza Calmus (pur antitetiche nelle conclusioni), non viene affatto in rilievo la presenza o l’assenza del giustificato motivo, che esclude la configurabilità del reato, nè il principio di esigibilità della condotta.

La clausola del giustificato motivo – come ha affermato la Corte costituzionale – funge "da valvola di sicurezza del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione scatti allorchè – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile, in ragione, a seconda dei casi, di cause ostative a carattere soggettivo od oggettivo (…): estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, difficoltà nell’ottenimento di titoli di viaggio" (Corte cost., nn. 5 del 2004 e 349 del 2010).

La sussistenza dell’eventuale giustificato motivo è, perciò, operazione di verifica rimessa al giudice di merito che, caso per caso, in relazione alla particolare situazione di fatto, oggettiva o eventualmente addotta dall’interessato, ritenga in concreto inesigibile una condotta astrattamente doverosa, mentre nel caso in esame deve prendersi atto che è intervenuta una modificazione legislativa che ha escluso dall’ambito della fattispecie la condotta dello straniero irregolare, con conseguente abolitio criminis per gli stranieri in posizione irregolare.

10. Le conclusioni sopra raggiunte sono avvalorate dall’esame dell’intero contesto normativo in cui il legislatore ha introdotto la modificazione del D.Lgs. cit., art. 6, comma 3, contesto costituito non soltanto dall’introduzione dell’indicata estensione della fattispecie delittuosa del D.Lgs. cit., art. 5, comma 8 bis, all’utilizzazione dei documenti di soggiorno falsificati o contraffatti, ma anche dall’introduzione nell’ordinamento del delitto di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato" e dalle disposizioni penali e processuali che l’accompagnano ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, inserito dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 16, lett. a).

Con la modificazione del predetto art. 6, comma 3 (inasprimento sanzionatolo per l’omessa esibizione dei documenti da parte dello straniero regolarmente soggiornante), e con l’inserimento nell’art. 5, comma 8 bis della punizione dell’utilizzazione dei documenti di soggiorno falsi o contraffatti, il legislatore ha inteso facilitare, innanzitutto per le forze di polizia, la distinzione tra le due categorie di stranieri (regolari e irregolari), allo scopo di sottoporre quelli in posizione irregolare (la cui condotta integra il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis) a sanzione pecuniaria, inflitta dal giudice di pace, a seguito di rapido e semplificato processo penale, finalizzato alla più veloce estromissione dal territorio dello Stato.

A ben vedere, come ha rilevato la Corte costituzionale (sent. n. 250 del 2010) "il legislatore mostra di considerare l’applicazione della sanzione penale come un esito "subordinato" rispetto alla materiale estromissione dal territorio nazionale dello straniero ivi illegalmente presente. Lo attestano univocamente le circostanze (…) che, in deroga al generale disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3, lo straniero sottoposto a procedimento penale per il reato" di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato "possa essere espulso in via amministrativa senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria; che, una volta avuta notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 2, il giudice debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere (…); che, nel caso di condanna, la pena dell’ammenda -espressamente sottratta all’oblazione (…) – possa essere sostituita dal giudice con la misura dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni" (Corte cost, sent. n. 250 del 2010).

Al legislatore, in effetti, interessa poco la sanzione penale per gli stranieri che sono entrati o soggiornano illegalmente nello Stato;

interessa piuttosto attivare il meccanismo rapido volto all’espulsione, tant’è che il reato di cui all’art. 10 bis è sanzionato soltanto con pena pecuniaria, salva la ricorrenza dei più gravi reati, in forza dell’espressa clausola di sussidiarietà, all’evidenza prevista con riferimento ai delitti previsti dai successivi artt. 13 e 14 (non già per la contravvenzione prevista dal precedente art. 6, comma 3).

11. In conclusione, il legislatore ha introdotto un "doppio binario", sanzionando gli stranieri regolarmente soggiornanti per la mancata esibizione dei documenti con la pena inasprita dall’art. 6, comma 3, cit. (costringendoli a circolare sempre muniti di completa documentazione d’identità e di soggiorno) e gli stranieri in posizione irregolare con un crescendo sanzionatorio-repressivo scandito sulle diverse eventuali condotte illecite in progressione (D.Lgs. cit., art. 10 bis, art. 14, comma 5 ter, art. 14, comma 5 quater, art. 13, comma 13), sempre finalizzato all’espulsione dal territorio nazionale nel più breve tempo possibile, obiettivo che rischierebbe di essere compromesso dai tempi processuali di accertamento e di eventuale esecuzione di pena per il reato di cui all’art. 6, comma 3 (per il quale non sono previsti i meccanismi facilitatori dell’espulsione di cui all’art. 10 bis).

Al fine di attivare la dinamica repressiva-espulsiva appena indicata è funzionale la stessa previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, nell’interpretazione sopra formulata.

Come si è notato, l’interesse protetto da questa norma è quello di procedere immediatamente alla verifica della regolarità della presenza dello straniero in territorio nazionale, per poter il più rapidamente possibile mettere in opera il meccanismo processual- penale e amministrativo volto all’espulsione dal territorio nazionale dello straniero in posizione irregolare.

L’identificazione e l’accertamento di regolare presenza degli stranieri legalmente soggiornanti costituiscono, infatti, attività prodromiche e funzionali a innescare il procedimento di espulsione di quelli in posizione irregolare. Invero, la mancata esibizione di documenti attestanti la regolarità del soggiorno, di per sè, costituisce un indizio del reato di cui all’art. 10 bis, con tutto ciò che consegue in termini di accertamenti di polizia giudiziaria, a cominciare dai poteri d’identificazione di cui all’art. 349 c.p.p..

In ogni caso, ritenere che la fattispecie dei cui al D.Lgs. cit., art. 6, comma 3, escluda come soggetto attivo lo straniero in posizione irregolare, non implica affatto che egli sia sciolto dai vincoli connessi al dovere di farsi identificare, a richiesta anche di ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, applicandosi comunque a tutti gli stranieri (in posizione regolare o irregolare) l’art. 6, comma 4, che consente di sottoporre a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici lo straniero (in posizione regolare o irregolare) nel caso che vi sia motivo di dubitare della sua identità personale.

12. In conclusione, le Sezioni unite ritengono corretta la decisione del giudice di merito che ha disposto non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, per essere intervenuta l’abolitio criminis del reato già previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, nei confronti dello straniero in posizione irregolare, a seguito delle modificazioni introdotte dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. h).

Il ricorso del pubblico ministero va, pertanto, rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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