Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-04-2011) 28-04-2011, n. 16596 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata sentenza il G.U.P. del Tribunale di Macerata, giudicando a seguito di annullamento parziale con rinvio dalla Corte Suprema di cassazione della sentenza del medesimo Tribunale in data 28.5.2008, con la quale era stata applicata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nei confronti di A.B. la pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, in aumento per la ritenuta continuazione su quella già inflitta all’ A. con sentenza del Tribunale di Macerata in data 31.1.2007, divenuta irrevocabile, quale imputato del reato di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p. e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ha ordinato la espulsione dello A. dallo Stato a pena espiata. Il giudice del rinvio a osservato che la misura di sicurezza della espulsione dallo Stato prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86 può essere disposta nei casi di cosiddetto patteggiamento allargato, di cui ricorrono i presupposti, essendo stata applicata nei confronti dell’imputato la complessiva pena di anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 11.566,00 di multa, e che sussiste la evidente fondatezza della impostazione accusatoria, nonchè la pericolosità sociale dell’imputato, sussistendo il concreto pericolo che lo stesso commetta ulteriori reati.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Con il primo motivo di gravame si deduce che il reato continuato, ai fini della applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, non può essere configurato come un unico illecito, ma deve essere valutato in relazione alle singole componenti ed in particolare deve farsi riferimento alla pena inflitta per la fattispecie criminosa più grave.

Si rileva, quindi, che all’imputato è stata applicata dalla sentenza impugnata la pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, per la violazione legata dal vincolo della continuazione con quella di cui alla precedente pronuncia, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., comma 1, non poteva essere applicata nei suoi confronti la misura di sicurezza della espulsione dallo Stato.

Con il secondo mezzo di annullamento si denunciano vizi di motivazione della sentenza, deducendosi, in sintesi, che l’imputato ha dimostrato avere tenuto una buona condotta successivamente agli episodi criminosi per i quali è stato condannato ed ha, perciò, usufruito di permessi premio dal carcere ed è stato ammesso al regime di detenzione domiciliare, sicchè dovevano essere esclusi i presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La sentenza di annullamento con rinvio della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Macerata in data 28.5.2008, emessa dalla quarta sezione di questa Suprema Corte, n. 22817/2009 del 21.4.2009, ha demandato al giudice del rinvio di applicare la misura di sicurezza della espulsione dallo Stato, previo accertamento positivo della pericolosità sociale del condannato.

Detta sentenza ha, perciò, risolto positivamente la questione della applicabilità della misura di sicurezza nel caso in esame, essendo stata applicata complessivamente all’ A. una pena superiore ai due anni, sicchè il principio di diritto secondo il quale, ove la continuazione venga in considerazione agli effetti della pena, il reato debba essere considerato unico, non può più essere rimesso in discussione mediante la impugnazione della sentenza che a tale principio di diritto si è uniformata ex art. 627 c.p.p., comma 3.

Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La censura del ricorrente, invero, è esclusivamente di natura fattuale, risolvendosi nella prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze afferenti alla pericolosità dell’ A..

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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