Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-04-2011) 28-04-2011, n. 16595

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza la Corte di Appello di Roma ha dichiarato inammissibile la richiesta, presentata da G.M., di revisione della sentenza del Tribunale di Napoli in data 17.3.1989, confermata dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza del 10.3.1992, divenuta irrevocabile il 6.7.1993 a seguito di rigetto del ricorso per cassazione, con la quale il predetto G. era stato dichiarato colpevole di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di sigarette estere, nonchè di concorso nel contrabbando di ingenti quantitativi di tabacchi lavorati esteri e condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione.

Si rileva nell’ordinanza che la richiesta di revisione risulta fondata su una dichiarazione resa in data 19.3.2010 al difensore del G. da tale P.R., moglie del defunto R.E., coimputato del G. per i tatti criminosi di cui alla pronuncia di condanna con un ruolo molto rilevante nella associazione criminale, la quale aveva riferito che i rapporti tra il marito ed il G. non avevano riguardato il contrabbando di tabacco, come contestatogli, ma esclusivamente l’acquisto di prodotti ittici, essendo il secondo fornitore del primo.

La ordinanza ha escluso che la prova prodotta abbia il carattere della novità, ben potendo essere richiesta, a suo tempo, nel giudizio di merito, e soprattutto ha escluso la idoneità della stessa a sovvertire il costrutto accusatorio fondato su numerose intercettazioni telefoniche. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del G., che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Il ricorrente, dopo aver esposto le ragioni per le quali era venuto casualmente a conoscenza della pronuncia di condanna, a seguito di un procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione nei suoi confronti, deduce, in sintesi, che l’ordinanza impugnata ha erroneamente escluso l’ammissibilità della prova prodotta a fondamento della richiesta di revisione, affermando che non sì tratta di prova nuova. Si osserva sul punto che per consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte prova nuova non è solo quella sopravvenuta alla sentenza di condanna o quella scoperta successivamente, ma anche quella che non sia stata acquisita nel precedente giudizio ovvero non valutata neppure implicitamente. Si deduce inoltre che il difensore dell’imputato non ha partecipato al giudizio di primo grado, nè ai successivi gradi di appello e di ricorso in cassazione. Le risultanze delle intercettazioni telefoniche citate nella ordinanza impugnata sono state recuperate dalla difesa dell’istante e dalle stesse nulla si evince a sostegno della fondatezza dell’accusa. Si censura, infine, l’adozione del provvedimento de plano senza fissare udienza in camera di consiglio.

Con memoria datata 5.3.2011 la difesa del ricorrente ha ribadito le precedenti censure in ordine alla irritualità del provvedimento emesso del plano dalla Corte territoriale e le deduzioni in ordine alla fondatezza dell’istanza di revisione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

E’ stato già reiteratamente affermato da questa Suprema Corte che "In tema di revisione, attesa la espressa previsione, nell’art. 634 c.p.p., come autonoma causa di inammissibilità della richiesta, della "manifesta infondatezza" della medesima, risulta attribuito alla corte d’appello, nella fase preliminare prevista dalla medesima disposizione, un limitato potere-dovere di valutazione, anche nel merito, della oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente, ancorchè costituiti da "prove" formalmente qualificabili come "nuove", a dar luogo ad una necessaria pronuncia di proscioglimento. E’ dunque necessaria e legittima la delibazione prognostica circa il grado di affidabilità e di conferenza dei "nova", che non si traduca tuttavia in un’approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito" (sez. 5, 22.11.2004 n. 11659 del 2005, Dimic, RV 231138; sez. l 17.6.2003 n. 29660, Asciutto, RV 226140; in parte conforme sez. 6, 3.12.2009 n. 2437 del 2010, Giunta, RV 245770).

Orbene, come puntualmente osservato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, la Corte territoriale, anche se esprime le valutazioni censurate nel ricorso in punto di ravvisabilità della prova nuova nella dichiarazione resa da P.R., ha, tuttavia, fondato la propria decisione anche – e in maniera assorbente – sulla circostanza che, comunque, tale elemento probatorio non è in grado di sovvertire il pronunciamento dei giudici di merito.

Sul punto l’ordinanza ha analizzato compiutamente la dichiarazione della P., evidenziandone là genericità, in relazione alla finalità perseguita dall’istante per la revisione, sia in relazione al loro contenuto specifico, sia con riferimento alla mancata precisazione degli elementi circostanziali da cui deriva la sua conoscenza, pervenendo alla conclusione che il contenuto di detta dichiarazione non riveste il carattere della necessaria idoneità per stabilire che il G. avrebbe dovuto essere prosciolto.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, inoltre, ha anche osservato che nel ricorso si assume che il G. nulla sapeva della sentenza di condanna.

Il G., però, se in primo grado era stato dichiarato contumace, nel secondo grado risultava assente e ha dovuto rilasciare procura speciale per la presentazione del ricorso per cassazione.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale sulla base di una sommaria valutazione della inidoneità della prova nuova indicata dall’istante per il riesame a sovvertire il giudicato ha provveduto de plano a dichiarare inammissibile l’istanza.

Le censure del ricorrente, inoltre, si esauriscono nella critica in punto di fatto della valutazione espressa dai giudici di merito in ordine alla inidoneità della prova nuova, sicchè tali censure si palesano inammissibili in sede di legittimità.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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