Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-03-2011) 28-04-2011, n. 16592 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 16 settembre 2010, il Tribunale del Riesame di Catanzaro rigettava il ricorso proposto da S.S. confermando il decreto "di perquisizione e sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale e concernente i reati di cui agli artt. 110 e 734 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.P.R. n. 353 del 2000, art. 10 ipotizzati con riferimento alla realizzazione in un impianto destinato allo smaltimento ed al recupero di rifiuti da parte della SIRIM srl, della quale il predetto S. è legale rappresentante pro tempore.

Avverso il provvedimento il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 354 c.p.p. e la conseguente nullità del sequestro, rilevando che la motivazione posta a sostegno del provvedimento si riferiva non solo ai reati per i quali si stava procedendo, ma anche al reato di falso in atto pubblico denunciato dalla polizia giudiziaria in ordine al quale era necessario procedere ad ulteriori verifiche e che tale reato era solo ipotizzato e comunque a lui non contestato, con la conseguenza che il sequestro era stato disposto anche con riferimento a fattispecie di reato riferibili ad altri soggetti ed a lui non contestate.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che, a fronte del rilascio di tutte le necessarie autorizzazioni richieste dalla disciplina urbanistica, ambientale e paesaggistica, i giudici del riesame, con indebita ingerenza nell’attività amministrativa, avevano posto in dubbio la liceità del realizzando impianto affermata da diverse e tecnicamente competenti autorità amministrative.

Osservava, in particolare, come la positiva valutazione di compatibilità ambientale assicurava la conformità dell’insediamento da realizzare alla vigente disciplina urbanistica e paesaggistica e che errata risultava, inoltre, la lettura data dal Tribunale della L. n. 353 del 2000, art. 10 laddove aveva ritenuto che lo stesso, nel consentire la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, sia riferito all’opera specifica e non anche ad una generica tipologia.

Aggiungeva, inoltre, che i giudici del riesame non avevano neppure tenuto in considerazione che la presenza di un vincolo idrogeologico nell’area interessata dall’intervento non consentiva di ritenere configurabile la violazione paesaggistica.

Con un terzo motivo di ricorso denunciava la violazione degli artt. 42 e 43 c.p., osservando che la presenza dei titoli abilitativi richiesti per l’esecuzione dell’intervento denotavano l’assenza dell’elemento psicologico e la conseguente illegittimità ed inutilità del sequestro.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza del 31 marzo 2011, avendo il ricorrente presentato due identici ricorsi avverso identici provvedimenti, separatamente iscritti, veniva disposta la riunione dei procedimenti.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con riferimento alla motivazione del sequestro probatorio va ricordato, in primo luogo, come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano avuto modo di stabilire che anche tale tipologia di sequestro deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione circa il presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti (SS. UU. n. 5876, 13 febbraio 2004).

Il Pubblico Ministero deve fornire il provvedimento con il quale dispone o convalida il sequestro di adeguata motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti (Sez. 6, n. 21736,29 maggio 2008).

Con riferimento a tale motivazione (e considerati i principi fissati dalle SS.UU. nella pronuncia in precedenza richiamata) si è ritenuto sufficientemente argomentato il provvedimento nel quale il Pubblico Ministero richiami per relationem, ai fini dell’individuazione del fatto per cui si procede e delle ragioni del sequestro, gli atti redatti dalla polizia giudiziaria, senza necessità di riprodurli ed è stata esclusa, in tale ipotesi, una eventuale lesione del diritto di difesa, che risulta garantito dalla consegna del verbale di sequestro e, comunque, dalla notifica del provvedimento del PM e dal successivo deposito ex art. 324 c.p.p., comma 6 (Sez. 5, n. 7278,28 febbraio 2006; Sez. 5, n. 2108, 8 giugno 2000).

In definitiva, tranne nei casi in cui l’esigenza probatoria del "corpus detteti" sia in "re ipsa" (v. Sez. 4, n. 8662, 3 marzo 2010 relativa ad un sequestro di stupefacenti) è necessario che il provvedimento di convalida di sequestro probatorio effettuato dal Pubblico Ministero o il decreto di sequestro probatorio dallo stesso emesso contengano, quantomeno, una indicazione, ancorchè essenziale e sintetica, delle esigenze probatorie che giustificano il vincolo.

Tali esigenze, peraltro, non presuppongono necessariamente che il rapporto di pertinenza fra le cose sequestrate ed il reato per cui si procede debba essere considerato in termini esclusivi di relazione immediata, poichè può assumere rilievo e, conseguentemente, essere oggetto di ricerca ed apprensione ogni elemento utile a ricostruire i fatti che, anche in forma indiretta, possono contribuire al giudizio sul merito della contestazione (Sez. 3, n. 13641,10 aprile 2002) Date tali premesse, deve osservarsi che, sul punto, nella impugnata ordinanza non è ravvisabile la dedotta violazione di legge.

Invero, i giudici del riesame hanno dato compiutamente atto che il Pubblico Ministero, nel procedere alla doverosa motivazione del provvedimento, ha adeguatamente richiamato per relationem il contenuto degli atti del procedimento indicando specificamente le finalità probatorie perseguite.

Il provvedimento del Pubblico Ministero contiene inoltre un richiamo ad ulteriori esigenze probatorie relativi ad eventuali successivi sviluppi delle indagini in merito ad ipotesi di falso in atto pubblico, già denunciate dalla polizia giudiziaria operante ma non contestate agli indagati ritenendo necessarie altre indagini.

Tale giustificazione completa adeguatamente la motivazione del provvedimento ed è inequivoca nel suo contenuto: diversamente da quanto affermato in ricorso, il riferimento riguarda reati la cui commissione risulta già accertata ma che richiedono ulteriori verifiche per individuare i soggetti responsabili e l’espletamento di tali verifiche rende necessario il vincolo probatorio.

Tale modus operandi appare pienamente legittimo, anche in considerazione della particolare complessità della vicenda che, come risulta dal tenore del provvedimento impugnato e dal ricorso, comporta, ad esempio, l’analisi di articolati procedimenti amministrativi all’esito dei quali sono stati rilasciati i titoli abilitanti alla realizzazione dell’impianto e la verifica del regolare svolgimento degli stessi che la ipotizzata sussistenza di falsi documentali rende ancor più necessaria.

I giudici del riesame hanno inoltre chiaramente delineato i limiti della loro cognizione, attraverso il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte.

In effetti, si è avuto modo di affermare, in più occasioni, con riferimento al sequestro probatorio, che il sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma è circoscritto alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato e al controllo circa la qualificazione dell’oggetto sequestrato come corpus delicti e, quindi, all’esistenza di una relazione di immediatezza tra il bene stesso e l’illecito penale (Sez. 5, n. 9258, 2 marzo 2009; Sez. 2, n. 34625,27 settembre 2005; Sez. 1, n. 4274,23 luglio 1997).

Il Tribunale ha quindi correttamente proceduto alla valutazione della legittimità del vincolo imposto con il provvedimento del Pubblico Ministero entro tale ambito e, così facendo, ha proceduto ad una sommaria analisi delle disposizioni applicabili nella fattispecie e della compatibilità tra queste e le opere da realizzare.

Tale doverosa verifica non determina alcuna ingerenza nell’attività amministrativa, contrariamente a quanto affermato in ricorso attraverso argomentazioni del tutto infondate che vorrebbero il giudice penale supinamente acquiescente in presenza di qualsivoglia provvedimento amministrativo se non nel caso in cui lo stesso non sia frutto di collusione tra soggetto privato e funzionario che lo ha emesso.

Si tratta, in verità, di una questione da tempo affrontata e risolta dalla giurisprudenza di questa Corte, specie con riferimento alla disciplina urbanistica, nei casi di interventi edilizi autorizzati con permesso di costruire illegittimo, chiarendo quali siano i poteri del giudice penale in presenza di vizi di legittimità del titolo abilitativo.

All’esito di un articolato dibattito (e sulla scia della nota sentenza delle Sezioni Unite n. 11635, 21 dicembre 1993) si è infatti giunti alla conclusione che l’attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell’elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l’atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A..

Si è così precisato che quando il giudice penale accerta profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo edilizio procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" nè incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla P.A. poichè esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice (Sez. 3, n. 21487, 21 giugno 2006; v. anche Sez. 3, n. 40425, 12 dicembre 2006. Conf. Sez. 3, n. 1894, 23 gennaio 2007; Sez. 3,n. 41620,13 novembre 2007, Sez. 3, n. 28225, 10 luglio 2008, Sez. 3 n. 35389, 16 settembre 2008, Sez. 3, n. 9177, 2 marzo 2009, Sez. 3, n. 14504, 2 aprile 2009, Sez. 3, n. 34809, 8 settembre 2009, Sez. 3, n. 35391, 30 settembre 2010).

Ciò posto, appare pertanto del tutto legittima l’analisi effettuata dal Tribunale, entro i limiti della cognizione propria della fase incidentale del riesame, sulla compatibilità dell’impianto da realizzare e le disposizioni dello strumento urbanistico del comune interessato dall’intervento (art. 48 delle NTA del PRG di S. Fioro) correttamente osservando come la localizzazione in zone agricole di attività non compatibili con le zone A, B, C e D sia subordinata al rispetto delle caratteristiche insediative della zona, al fatto che non siano inquinanti e non comportino pregiudizio al paesaggio ed all’ambiente e si ponga in evidente contrasto con la tipologia di intervento assentito che riguarda un impianto destinato a discarica ed attività di gestione di rifiuti.

Peraltro, in linea generale, deve osservarsi che la realizzazione di interventi quale quello oggetto di esame da parte del Tribunale in area a destinazione agricola non può non riguardare opere per le quali gli strumenti urbanistici non prevedano una specifica localizzazione e che, per loro natura, non possono essere ubicati altro che in zona agricola. Diversamente argomentando, verrebbe vanificata la zonizzazione del territorio e l’individuazione delle diverse destinazioni d’uso. Tale opzione ermeneutica pare peraltro condivisa anche dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. 5, n. 7243,1 ottobre 2010; Sez. 5, n. 1557, 18 marzo 2002).

Altrettanto corretta appare, inoltre, la lettura, da parte dei giudici del riesame, della L. 21 novembre 2000, n. 353, art. 10 "Legge quadro sugli incendi boschivi" (erroneamente richiamata nel provvedimento impugnato con l’indicazione "D.L. n. 227 del 2001").

Le disposizioni in essa contenute sono, come è noto, finalizzate "alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita" (art. 1, comma 1). Tale obiettivo, perseguito anche attraverso misure di "previsione, di prevenzione e di lotta attiva contro gli incendi boschivi"" e di "formazione, informazione ed educazione ambientale" (art. 1, comma 2) giustifica anche i vincoli di destinazione e le limitazioni d’uso fissati dall’art. 10 quale deterrente del fenomeno degli incendi finalizzati alla successiva speculazione edilizia e per la conseguente salvaguardia del patrimonio boschivo.

Oggetto di valutazione, nel caso in esame, è l’art. 10, comma 1, che così recita: "le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni. E’ comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell’atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. E’ inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonchè di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data".

Il tribunale osserva che la deroga prevista dall’ultima parte della disposizione deve essere intesa nel senso che lo strumento urbanistico deve prevedere in termini puntuali le opere da realizzare, non essendo sufficiente una indicazione in termini generici, in quanto vanificherebbe lo scopo della norma.

Tale lettura della norma, contestata in ricorso, appare condivisibile e conforme a principi già affermati da questa Corte.

Invero, in una recente pronuncia (Sez. 3, n. 7608, 25 febbraio 2010), si è avuto modo di precisare che l’ipotesi di esclusione del divieto decennale di inedificabilità deve essere affrontata e risolta tenendo presente che il richiamo alla previsione della realizzazione delle infrastrutture, in data precedente l’incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti – non si riferisce ad una previsione di zona, bensì ad una localizzazione di area.

Il riferimento riguarda la L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 7, il quale indica i contenuti essenziali dello strumento urbanistico generale.

Tali contenuti sono individuati, per quanto attiene alla localizzazione:

– nella rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;

– nelle aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;

– nelle aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonchè ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale.

Sono invece contenuti riferiti alla zonizzazione:

– la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;

– i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;

– le norme per l’attuazione del piano.

Ad essi deve aggiungersi, inoltre, l’individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente di cui tratta la L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 27 recante "Norme per l’edilìzia residenziale".

Tale principio deve pertanto essere riaffermato nel senso che la L. n. 353 del 2000, art. 10, laddove consente la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, si riferisce alla specifica localizzazione dell’area riservata all’intervento da parte dello strumento urbanistico e non anche alla previsione di zona, con la conseguenza che non rileva, ai fini della speciale deroga, la generica compatibilità dell’intervento con la destinazione dell’area, essendo al contrario richiesto che l’area medesima sia già riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle predette opere.

Il provvedimento impugnato si presenta pertanto immune dalle censure mosse in ricorso ed appare sorretto da argomentazioni del tutto coerenti e prive di cedimenti logici che forniscono adeguata e puntuale risposta alle allegazioni difensive.

Del tutto infondata appare, inoltre, l’affermazione secondo la quale il Tribunale avrebbe errato nel non considerare che la presenza di un vincolo idrogeologico nell’area interessata dall’intervento non consentiva di ritenere configurabile la violazione paesaggistica.

Come emerge infatti dal ricorso e dal provvedimento impugnato, l’area in questione è boscata.

Tale sua natura comporta la sua collocazione nelle aree tutelate per legge, in ragione di quanto disposto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. g).

In conclusione, il Tribunale nei limiti del procedimento incidentale di riesame, ha proceduto ad una completa ed esaustiva analisi della vicenda con riferimento ai presupposti per l’applicazione del sequestro facendo buon uso delle disposizioni sostanziali e processuali applicati e della lettura offertane dalla giurisprudenza di questa Corte.

L’astratta configurabilità dei reati ipotizzati, idonea a sostenere il sequestro, era inoltre pienamente sussistente, anche sotto il profilo soggettivo, trattandosi di ipotesi contravvenzionali per le quali è sufficiente la colpa.

Ulteriori approfondimenti e valutazioni sul merito della imputazione sono estranei al procedimento di riesame che riguarda peraltro, nella fattispecie, un mezzo di ricerca della prova, con la conseguenza che non può richiedersi che tale prova sia sussistente fin dall’atto di imposizione del vincolo.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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