Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-03-2011) 28-04-2011, n. 16591 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 8 luglio 2010, con la quale il Tribunale del Riesame di Cosenza accoglieva l’appello promosso, ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p., da M. P.F. avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Paola con la quale era stata respinta la richiesta di revoca del sequestro preventivo della struttura edilizia denominata "Centro museale delle Comunicazioni", ubicata in località (OMISSIS), per violazioni inerenti la disciplina urbanistica, antisismica e sulle opere in cemento armato.

Risultava infatti dal provvedimento impugnato che il sequestro della struttura era stato disposto perchè l’esecuzione dell’intervento edilizio era stata effettuata in totale difformità dal permesso di costruire n. (OMISSIS), senza la prescritta autorizzazione dell’ente proposto alla tutela del vincolo ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, ed in violazione della normativa antisimica e sulle opere in cemento armato.

La domanda di dissequestro, negato dal G.I.P., aggiungeva il Tribunale, era giustificata sul rilascio di un permesso in sanatoria (n. (OMISSIS)).

Osservavano, in estrema sintesi, i giudici del riesame che l’intervento edilizio era stato assentito con permesso di costruire in deroga ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, che aveva comportato un’adeguata valutazione della compatibilità delle opere con la destinazione agricola dell’area interessata, con la conseguenza che il titolo abilitativo non poteva ritenersi emanato in violazione del divieto di costruire in zona agricola; che la sanatoria era possibile anche se le opere non erano state ancora ultimate a causa del sequestro penale come riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che richiamava e che il requisito della "doppia conformità" richiesto dalla disciplina urbanistica era stato attestato dalla amministrazione comunale competente.

Il Pubblico Ministero ricorrente contestava la decisione dei giudici del riesame e, con unico motivo di ricorso, deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione.

Rilevava, in particolare, che l’art. 14 del T.U. edilizia non poteva essere applicato, come invece aveva fatto l’amministrazione comunale, per il rilascio di permessi in sanatoria, affermando che l’amministrazione medesima aveva di fatto approvato la deroga prima del rilascio della sanatoria, precostituendo con un artificio i presupposti per applicarla.

Aggiungeva, dopo aver descritto nel dettaglio le opere, che il requisito della "doppia conformità" era stato falsamente attestato dal funzionario comunale competente il quale aveva certificato la sussistenza di tale requisito al momento del rilascio del titolo in sanatoria e non anche, come richiesto dalla legge, al momento della presentazione della domanda perchè mancava.

Osservava, infine, che il permesso di costruire in deroga non rispettava comunque le condizioni poste dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, in quanto rilasciato senza il rispetto dei requisiti inderogabili previsti dalla norma in generale e, in particolare, consentendo il superamento del limite di densità fondiaria previsto per le zone a destinazione agricola dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 7.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Con memoria depositata il 24 marzo 2011, la difesa del M. eccepiva la inammissibilità del ricorso del Pubblico Ministero e l’infondatezza dello stesso nel merito, richiedendone la reiezione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Non può farsi a meno di osservare, preliminarmente, come tanto il contenuto del provvedimento impugnato quanto quello del ricorso siano connotati da lacune e contraddizioni che rendono particolarmente ardua una adeguata ricostruzione della vicenda processuale.

Da quanto emerge dagli atti e per quello che rileva in questa sede di legittimità, gli elementi di fatto essenziali possono essere così sintetizzati e riassunti:

– l’intervento edilizio riguarda la realizzazione di un "Centro Museale delle Comunicazioni" con annesso laboratorio multimediale e "centro di spiritualità francescana", fabbricato adibito a foresteria, "club house", strade interne di collegamento, vasche per la raccolta dell’acqua ed un ulteriore edificio di forma irregolare;

– la destinazione urbanistica dell’area è agricola ("Zona E");

– le opere sono state autorizzate con permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, (n. (OMISSIS) rilasciato in data 22 novembre 2004 e decaduto a far data dal terzo anno dall’inizio dei lavori – 3 dicembre 2004 – che non risultavano ultimati alla data dell’accertamento);

– le opere realizzate sono state realizzate in totale difformità dal permesso rilasciato;

– con permesso di costruire n. (OMISSIS), rilasciato dall’amministrazione comunale competente, le opere sono state sanate.

Non è dato comprendere, invece, se l’area interessata dai lavori sia o meno soggetta a vincolo paesaggistico.

La contestazione riguarda, infatti, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), ed il riferimento a tale ipotesi, unitamente alla mancanza di riferimenti al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, induce a ritenere che l’area non sia interessata da vincoli paesaggistici. Il Tribunale afferma tuttavia, in premessa, che le opere sarebbero state realizzate "senza la prescritta autorizzazione dell’autorità competente D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 146", ma richiama poi, a pagina 2, un’attestazione dell’amministrazione comunale circa la "mancanza di vincoli ambientali, paesistici, archeologici e di servitù militari.

Ciò posto, occorre ricordare che l’art. 325 c.p.p., consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’art. 322 bis c.p.p., solamente per violazione di legge.

Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che "…il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento" (SS. UU. n. 25932, 26 giugno 2008. Conf. Sez. 5^ n. 43068,11 settembre 2009).

Date tali premesse, occorre rilevare che il provvedimento impugnato, pur con le lacune in precedenza evidenziate, non presenta comunque vizi così radicali quali quelli indicati dalla decisione in precedenza richiamata.

Esso si fonda, tuttavia, su una errata lettura delle disposizioni applicate e, segnatamente, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, che disciplina il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali già previsto, peraltro, dalla precedente normativa.

Si tratta di un istituto di natura eccezionale, in quanto la disciplina generale ( D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 1) stabilisce che il permesso di costruire sia rilasciato "in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente" e l’esercizio della deroga viene quindi ad incidere sull’uniforme applicazione della disciplina urbanistica nella zona dove si prevede l’intervento.

La particolarità dell’istituto, la sua natura sostanzialmente discrezionale e le possibili conseguenze che il suo utilizzo può determinare sul programmato assetto del territorio hanno indotto il legislatore a prevederne l’applicazione solo in casi eccezionali, delimitandone in modo puntuale l’ambito di operatività allo scopo evidente di evitare che un uso poco accorto dell’istituto (in realtà spesso verificatosi) si risolvesse, nella pratica, in un surrettizio aggiramento della pianificazione.

I presupposti ed i limiti fissati dalla norma attualmente in vigore sono i seguenti:

– il rilascio è previsto esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico;

– il permesso in deroga non può essere rilasciato in violazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004) che devono essere comunque rispettate;

– il permesso in deroga deve comunque rispettare le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia (ad esempio, la disciplina antisismica);

– la deroga può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi ma devono essere rispettate le norme igieniche, sanitarie e di sicurezza restando comunque fermo, in ogni caso, il rispetto delle disposizioni di cui al D.I. 2 aprile 1968, n. 1444, artt. 7, 8 e 9, che fissano, rispettivamente, i limiti inderogabili di densità edilizia, le altezze massime degli edifici e le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee;

– il procedimento applicativo prevede una specifica e preventiva deliberazione del consiglio comunale e la comunicazione ai soggetti interessati ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7.

L’indicazione dei limiti posti alla deroga è stata oggetto di attenta analisi anche da parte della dottrina che è giunta a condivisibili conclusioni.

In particolare, si è osservato che l’utilizzo dell’espressione "in ogni caso" implica che le richiamate disposizioni del D.I. n. 1444 del 1968, vanno osservate indipendentemente dal loro recepimento da parte degli strumenti urbanistici.

Si è poi rilevato che la deroga non può incidere sulle scelte di tipo urbanistico, potendo operare solo nel caso in cui l’area sia edificabile secondo le previsioni di piano, con la conseguenza che non può ritenersi ammissibile il rilascio di permessi in deroga, ad esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando in tal caso il presupposto dell’edificabilità dell’area necessario non per il rilascio in deroga del permesso i costruire ma per il permesso stesso.

Analogamente, si è escluso che la deroga possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di pianificazione potendo consentire soltanto, a parità di volume edificabile, che l’intervento si concretizzi, ad esempio, con altezza, superficie coperta, destinazione diverse da quelle previste dal PRG. Anche la giurisprudenza amministrativa pare orientata nel senso di ritenere limitata l’operatività della deroga entro i limiti precedentemente delineati (Cons. Stato Sez. 5^ n. 46, 11 gennaio 2006; Sez. 6^ n. 4568, 7 agosto 2003).

Ne consegue che, al di fuori dei limiti indicati dalla disposizione in esame, viene a configurarsi un’ipotesi di variante urbanistica la cui approvazione è soggetta alla specifica disciplina.

Resta da osservare come l’istituto del permesso di costruire in deroga appaia incompatibile con la disciplina prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, per l’accertamento di conformità delle opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo, che la giurisprudenza di questa Corte indica come strumento ordinario di recupero e sanatoria delle opere abusive, caratterizzato da una verifica di conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia e da sbarramenti amministrativi e temporali (v., ad es., Sez. 3^ n. 6331, 8 febbraio 2008).

In primo luogo, sembra ostarvi il tenore letterale dell’art. 14 che disciplina il procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del permesso in deroga prevedendo la previa deliberazione del consiglio comunale e specifiche garanzie partecipative per i soggetti interessati.

Tale deliberazione consiliare deve dunque precedere il rilascio del titolo e l’esecuzione dell’intervento ed è finalizzata alla verifica dei presupposti per l’esercizio del potere di deroga e la considerazione dei contrapposti interessi dei soggetti che potrebbero subire pregiudizio dal rilascio del titolo e un simile iter procedimentale appare del tutto incompatibile con una valutazione postuma di tali dati.

Il rilascio del titolo sanante ai sensi dell’art. 36, è poi sottoposto ad uno specifico e diverso procedimento e risulta, inoltre, assai arduo immaginare come possa rinvenirsi il requisito della "doppia conformità" delle opere sia al momento della realizzazione dell’intervento senza titolo, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria "alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente" (quest’ultima intesa, come è noto in senso ampio, nel senso che in essa rientrano, ad esempio, i regolamenti edilizi, il programma pluriennale in corso di attuazione al momento del rilascio, le prescrizioni fissate dall’art. 9 del TU per l’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica) con un titolo abilitativo che ha come presupposto la deroga agli strumenti urbanistici generali.

Deve quindi affermarsi il principio secondo il quale il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14, e mediante la specifica procedura. Tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato "in sanatoria" dopo l’esecuzione delle opere.

Date tali premesse deve rilevarsi che, nel caso di specie, l’intervento edilizio risultava eseguito, per quel che è dato ricavare dal contenuto del provvedimento impugnato e del ricorso, sulla base di un permesso di costruire in deroga rilasciato al di fuori dei casi previsti dalla legge.

La deroga riguardava, come osservato in ricorso, interventi da eseguirsi in zona a destinazione agricola nella quale mancava quindi il presupposto essenziale dell’edificabilità ed erano comunque superati i limiti inderogabili di densità edilizia di cui al D.L. n. 1444 del 1968, art. 7.

La mancanza di autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo, se effettivamente sussistente, stante le indicate incongruenze rilevate nel testo del ricorso e dell’ordinanza impugnata, avrebbe rappresentato, inoltre, un ulteriore violazione dell’art. 14 più volte menzionato.

La violazione della disciplina antisismica e sul cemento armato configura, inoltre, una violazione delle "altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia" indicate dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 14.

Le opere, realizzate con permesso decaduto ed in totale difformità dal titolo abilitativo per le ragioni in precedenza esposte, non erano poi suscettibili di sanatoria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, la quale, al contrario, risulta rilasciata con una procedura che in ricorso si ritiene anche inficiata dalla falsità dell’attestazione di conformità delle opere (la sanatoria non avrebbe peraltro spiegato i suoi effetti verso il reato paesaggistico, se sussistente, e quelli previsti dalla disciplina antisismica e sulle opere in cemento armato).

Prescindendo quindi dai richiami alla ultimazione delle opere (effettuati peraltro con riferimenti a giurisprudenza di questa Corte riferita al diverso istituto del "condono edilizio") la valutazione della efficacia del permesso in sanatoria, alla luce degli elementi fattuali acquisiti, doveva essere effettuata dal Tribunale tenendo in diversa considerazione la disciplina dettata dal D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 14 e 36.

Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Cosenza per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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