Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 28-04-2011, n. 16572 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 24.2.2010 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Sorrento, con la quale C.G. e D.P.M.G., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata recidiva per il C., e applicata la diminuente per la scelta del rito, erano stati condannati alla pena di anni uno, mesi 4 di reclusione ciascuno per i reati di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 (capo a), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 71, 65 e 72 (capo b), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 83 e 95 (capo c), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis (capo d), unificati sotto il vincolo della continuazione;

pena sospesa subordinatamente alla demolizione e riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

Riteneva la Corte territoriale che entrambi gli imputati fossero committenti delle opere abusive e, quindi, dovessero rispondere dei reati loro ascritti.

2) Ricorrono per cassazione il C. e la D.P., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale ritenuto la penale responsabilità degli imputati esclusivamente con riferimento alla proprietà del bene su cui insiste il manufatto abusivo. Con il secondo motivo denunciano la violazione di legge, avendo la Corte di merito pronunciato sentenza di condanna per il reato di cui al capo d), pur non essendo emerso dall’istruttoria dibattimentale che l’area fosse di notevole interesse pubblico.

3) Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi generici e manifestamente infondati.

Il primo motivo prescinde completamente dalla motivazione della sentenza impugnata, che non aveva certo fondato l’affermazione della responsabilità degli imputati sulla mera titolarità del suolo su cui è stata realizzata l’opera abusiva. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, richiamata anche dalla Corte di merito, in materia edilizia può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell’opera la responsabilità per la violazione della L. n. 47 del 1985, art. 20 (sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44) sulla base di valutazioni fattuali, quali l’accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia destinatario finale dell’opera, che abbia presentato richieste di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria (cfr. ex multis cass. pen. sez. 3 n. 9536 del 20.1.2004; Cass. sez. 3, 14.2.2005 – Di Marino).

La Corte territoriale ha evidenziato che, per la qualità di proprietari del suolo, gli imputati erano interessati alla realizzazione del manufatto (per il principio "cui prodest"), che non vi era alcun ragionevole motivo per cui terzi estranei edificassero sul suolo di proprietà dei prevenuti, dal momento che questi ultimi avrebbero acquistato la proprietà anche delle opere per accessione, che non risultava che gli imputati avessero denunciato l’occupazione del fondo di loro proprietà da parte di terzi. In base a tali circostanze indizianti ha ritenuto,ineccepibilmente, la Corte che gli imputati dovessero ritenersi responsabili delle opere abusivamente realizzate.

Quanto al secondo motivo, la questione risulta proposta per la prima volta in questa sede di legittimità, non essendo stato minimamente contestato con i motivi di appello che l’opera fosse stata realizzata in area che ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 136 per le sue caratteristiche paesaggistiche, era stata dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento.

3.2) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00 ciascuno.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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