Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 28-04-2011, n. 16570 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza, resa in data 11.11.2009 la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Massa, con la quale G.N., G.M. e C.G. erano stati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, condannati alla pena (sospesa) di giorni 10 di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 concedeva a tutti gli imputati il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario.

Riteneva la Corte territoriale, disattendendo le doglianze difensive e facendo propri i rilievi del primo giudice, che il reato di violazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori edilizi prescinde dalla natura e dall’entità dei lavori eseguiti e che le opere realizzate, palesemente, non potevano considerarsi di natura provvisoria.

2) Ricorrono per cassazione G.N., G.M. e C.G., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la inosservanza di norme processuali ( art. 521 c.p.p.) per violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza. La Corte di merito ha ritenuto, infatti, che le opere realizzate, nonostante e dopo l’ordine di sospensione dei lavori, fossero diverse da quelle indicate in imputazione e che tale "difformità" fosse irrilevante ai fini della integrazione del reato contestato.

Con il secondo e terzo motivo denunciano la inosservanza di norme sostanziali, avendo la Corte territoriale omesso di prendere in considerazione la corrispondenza intercorsa con il Comune, nonchè il difetto di motivazione in ordine al concetto di opere provvisorie.

Con il quarto motivo viene eccepita la nullità della sentenza di appello quanto meno rispetto a G.N., non essendo stato notificato al predetto l’avviso di fissazione del giudizio d’appello (la notifica venne effettuata al difensore ex art. 157, comma 8 bis, pur avendo il predetto dichiarato di non accettare eventuali notifiche eseguite a norma del predetto articolo).

3) Il ricorso è infondato.

3.1) Va ricordato, innanzitutto, che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000 – Sangiorgi).

3.2) Quanto al primo motivo, come hanno rilevato i giudici di merito/non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza.

Già il Tribunale, la cui motivazione fa propria la Corte di Appello, aveva evidenziato che la imputazione, nel riferirsi al rifacimento della scala esterna ed all’abbassamento del piano di calpestio del locale seminterrato, indicava i lavori realizzati in difformità della DIA (difformità in esito alla quale era stato emesso l’ordine di sospensione riferito genericamente ai lavori in corso e non solo a quelli difformi rispetto alla DIA). Sulla base di questa premessa in fatto, ineccepibilmente veniva rilevato che la mancata indicazione dei lavori realizzati dopo l’ordinanza di sospensione dei lavori era irrilevante, in quanto, per giurisprudenza pacifica di legittimità, la fattispecie criminosa si esaurisce con l’inottemperanza a tale ordine a prescindere dalla natura ed entità delle opere realizzate.

Nè, comunque, vi era alcuna violazione dei diritti di difesa, essendo pacifico che erano stati realizzati dei lavori dopo l’ordinanza di sospensione (in contestazione era solo la necessità e provvisorietà di tali opere).

Si ha, invero, violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sta realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione- venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539).

Sicchè "non sussiste violazione del principio di correlazione) (della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d’effettiva difesa" (cfr. sez. 6 n. 35120 del 13.6.2003).

Anche di recente questa Corte ha ribadito il principio che "si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" (cfr. Cass. sez. 6 n. 12156 del 5.3.2009).

3.3) In relazione al secondo e terzo motivo, con accertamento in fatto, argomentato ed immune da vizi logici, i giudici di merito hanno ritenuto che le opere realizzate non potessero considerarsi precarie. Tale carattere, infatti, non poteva riconoscersi "alle opere di copertura riscontrate in sede di secondo sopralluogo, atteso che il tavolato di copertura era ricoperto di carta catramata e dunque era per ciò stesso destinato a non avere carattere di provvisorietà, anche perchè, in tal modo e per fatto notorio, esso preludeva chiaramente al posizionamento delle tegole, unica opera mancante alla definitiva copertura dell’immobile. Inoltre come riferito dal teste M., erano stati realizzati dopo la sospensione dei lavori anche cordoli di coronamento, a loro volta ben difficilmente qualificabili come opere provvisorie" (cfr. sent.

Trib.). E che non si trattasse di opere provvisorie era, come ribadito anche dalla Corte territoriale, palesemente smentito dai rilievi fotografici eseguiti nel corso del sopralluogo dell'(OMISSIS).

Nè, infine, poteva parlasi di una sorta di "autorizzazione" da parte del Comune, essendosi questo limitato, come riconoscono gli stessi ricorrenti, "a prendere atto della necessità di porre in sicurezza il cantiere, autorizzando opere provvisionali limitate a tale scopo" (pag. 4 ricorso).

3.4) Quanto all’eccezione di nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello nei confronti di G.N., va rilevato che, in ogni caso, trattandosi di violazione delle regole circa le modalità della notifica, essa andava sollevata tempestivamente (essendo configurabile come nullità a regime intermedio (cfr. sent. sez. un. n. 119/2005). La giurisprudenza successiva ha ribadito che si ha "nullità assoluta ed insanabile della citazione dell’imputato, ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. … soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o, quando eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato …" . (cfr.

Cass. pen. sez. 6 n. 34170 del 4.7.2008; Cass. pen. sez. 3 n. 43859 del 14.10.2009).

La notificazione, così come eseguita (con consegna al difensore), non era astrattamente inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto; a parte il fatto che il ricorrente si è limitato a denunciare la violazione dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, senza neppure esplicitamente affermare la mancata conoscenza dell’atto medesimo.

Il difensore presso cui venne eseguita la notifica non solo non fece rilevare alcunchè al momento della consegna dell’atto, ma, pur essendo presente in udienza, non sollevò alcuna eccezione in ordine alla ritualità della notifica del decreto di citazione.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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