Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-07-2011, n. 16575 Imposta incremento valore immobili – INVIM

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La contribuente impugnava in sede giurisdizionale l’avviso di rettifica del valore iniziale, relativo all’INVIM, inerente l’atto di trasferimento di un bene, acquistato dalla contribuente e, successivamente venduto.

L’adita CTP di Pordenone, accoglieva il ricorso, mentre la CTR, pronunciando sull’appello dell’Agenzia Entrate, riformava la decisione di prime cure, ritenendo fondata la pretesa impositiva.

Con ricorso notificato il 09/10 gennaio 2007, parte contribuente ha chiesto la cassazione della decisione di appello.

L’intimata Agenzia delle Entrate, giusto controricorso notificato l’il maggio 2007, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.
Motivi della decisione

In via preliminare, va rilevata e dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto non proposta nei confronti della giusta parte.

L’inammissibilità è ricollegabile al fatto che il giudizio di appello, al cui esito è stata emessa la decisione impugnata, si è svolto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Maniago, che è l’unica controparte contemplata in sentenza, e non anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rimasto estraneo a detto giudizio e chiamato in causa con il ricorso in esame, il quale, conseguentemente, deve ritenersi privo di legittimazione passiva nel presente giudizio di legittimità, cui hanno titolo solo i soggetti che hanno partecipato al precedente grado del giudizio (Cass. n. 15021/2005, n. 9538/2001). Il ricorso, nei confronti dell’Agenzia Entrate, che riguarda l’impugnazione dell’avviso di rettifica del valore iniziale, ai fini INVIM, in relazione ad atto di trasferimento di un bene acquistato dalla Filoseta srl e successivamente venduto, si articola in due mezzi, con i quali 1’impugnata decisione viene censurata, per violazione dell’art. 145 c.p.c., nonchè dell’art. 53 Cost..

Il primo mezzo, con cui si sostiene la inesistenza della notifica dello avviso di liquidazione, risulta infondato, tenuto conto del fatto che detto avviso e stato regolarmente impugnato e che, quindi, correttamente, la decisione di appello ha disatteso la relativa eccezione, dovendo considerarsi sanato ogni eventuale vizio, per raggiungimento dello scopo, stante la tempestiva proposizione del ricorso Cass. SS.UU. n. 19854/2004.

Peraltro, nel caso, in cui la notifica risulta effettuata presso quella che era la sede sociale, mediante consegna a persona ivi rinvenuta e qualificatasi al servizio, inequivoco appare il collegamento con la società.

A diverso opinamento non induce, poi, la ipotizzata estinzione della società, non solo avuto riguardo alla circostanza che alla data della notifica la cancellazione della società non era stata effettuata, ma, soprattutto, alla stregua dello orientamento giurisprudenziale secondo cui la estinzione della società, con relativi effetti, si realizza solo a seguito dello esaurimento di tutti i rapporti giuridici alla stessa facenti capo (Cass. n. 4774/1999, n. 12274/1999, n. 2869/1998).

Le doglianze svolte con il secondo mezzo, risultano, del pari, infondate.

Il primo profilo, – tenuto conto del fatto che il valore iniziale era stato dichiarato dalla contribuente e che, oltretutto, coincideva con quello definito in occasione dell’ultimo trasferimento, – sulla base del principio secondo cui "Al fine della determinazione dell’imponibile I.N.V.I.M. nella differenza fra valore iniziale e valore finale del bene trasferito, l’individuazione del primo valore integra operazione distinta e non necessariamente collegata rispetto a quella del secondo valore; Conseguentemente, a fronte dell’accertamento, da parte dell’Ufficio, di un maggior valore finale rispetto a quello dichiarato dal contribuente, deve escludersi, sia il dovere dell’Ufficio di operare un correlativo adeguamento del valore iniziale, sia che tale adeguamento possa essere effettuato, di propria iniziativa, dalle Commissioni Tributarie; E’ solo il contribuente che, con specifica e tempestiva istanza, soggetta alle relative preclusioni nei diversi gradi di giudizio, può rettificare il valore iniziale dichiarato, ma soltanto ove dimostri un proprio giustificabile errore afferente l’iniziale dichiarazione, e purchè non risulti ridotto l’imponibile differenziale risultante" (Cass. n. 1091/1997, n. 7242/1995, n. 5547/1983).

L’altro profilo di censura, relativo alle spese incrementative, per un verso, risulta inammissibile, in quanto assolutamente generico, non aggredendo specificamente anche la seconda ratio della decisione, secondo la quale "il disposto normativo consente di considerare esclusivamente quelle intervenute nel periodo tassato e non anteriormente ad esso", e sotto altro profilo, infondato, in base al principio secondo cui "In tema di INVIM, la disposizione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 18, comma 3, secondo cui le spese incrementative, se non esposte nella dichiarazione prevista dal comma 1, debbono essere denunciate, a pena di decadenza, al momento della registrazione dell’atto o nel termine stabilito ai fini della deduzione delle passività agli effetti dell’imposta successoria, risponde alla finalità di consentire all’Amministrazione finanziaria l’esercizio dei poteri di verifica e controllo di cui dispone nella fase di liquidazione dell’imposta: ne consegue che l’omessa indicazione specifica di tali spese, nei termini fissati dalla legge ed in maniera distinta rispetto a quella del valore iniziale del bene, al quale sono destinate ad essere sommate ai fini del calcolo dell’imponibile, integra non già un mero errore formale, ma una vera e propria causa di decadenza per il contribuente, idonea ad incidere in maniera definitiva sul suo diritto al computo delle spese incrementative" (Cass. n. 29683/2005, n. 6339/2002, n. 7644/2000).

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Nulla va disposto per le spese del giudizio, nei confronti del Ministero, per insussistenza dei relativi presupposti, mentre, nei riguardi dell’Agenzia Entrate, tenuto conto che il relativo controricorso risulta tardivamente notificato e che la stessa ha solo svolto difese orali alla pubblica udienza, le stesse vanno liquidate, in complessivi Euro millecento, oltre quelle prenotate a debito.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile l’impugnazione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e rigetta il ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia Entrate, delle spese del giudizio, in ragione di complessivi Euro millecento, oltre quelle prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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