Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-01-2011) 28-04-2011, n. 16569 Persona offesa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 22 aprile 2010 la Corte di Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto del 22 maggio 2006 (con la quale M. M. era stato dichiarato colpevole dei reati di violenza sessuale continuata, sequestro di persona, ingiurie e minacce continuate e condannato alla pena complessiva, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, di anni tre e mesi otto di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento dei danni nei riguardi della parte civile da liquidarsi in separata sede) dichiarava non doversi procedere per i reati di sequestro di persona ed ingiurie e minacce perchè estinti per prescrizione e rideterminava la pena per il residuo reato di cui all’art. 609 bis c.p., ferme le già concesse circostanze attenuanti generiche, in anni tre e mesi quattro di reclusione, confermando per il resto la sentenza impugnata.

Con la detta sentenza la Corte di Appello, dopo aver ricostruito per sintesi lo svolgersi delle vicende ed aver valutato l’attendibilità soggettiva e intrinseca della parte offesa oltre alla attendibilità delle testimonianze e alla sussistenza di altri elementi esterni (testimonianze del sanitario psichiatrico; consulenza psichiatrica;

referti medici) ha ritenuto assolutamente univoco il quadro probatorio e ridotto la pena soltanto in concomitanza con l’avvenuta estinzione di due dei tre reati contestati per prescrizione, disattendendo anche la richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (perchè superflue le prove richieste con l’atto di appello) e disattendendo, anche le doglianze in merito alla insussistenza dei reati per i quali è stata dichiarata l’estinzione per prescrizione.

Propone ricorso il difensore dell’imputato con il quale denuncia violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione ed omessa valutazione delle prove emerse nel corso del giudizio, oltre al travisamento delle prova con specifico riguardo alla ritenuta attendibilità della persona offesa nonostante gli elementi di segno contrario presenti in atto dovessero condurre ad una totale inattendibilità.

Analoghe doglianze muove con il secondo motivo di ricorso (travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni testimoniali del M.llo CC. A.F.), ritenendo che le dichiarazioni da costui rese siano state dalla Corte del tutto travisate e interpretate in modo diverso da quello rispecchiante la realtà dei fatti.

Con il terzo motivo di ricorso viene prospettata analoga censura con riferimento alla testimonianza del Dr. B. medico psichiatra che ha avuto in cura la vittima e che la aveva ritenuta affetta da turbe psichiche.

Infine con il quarto motivo la difesa denuncia manifesta illogicità della motivazione in merito al rigetto della richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale relativa all’assunzione di prove (ritenute decisive dall’appellante) in quanto reputate superflue dalla Corte.

Il ricorso è infondato.

Poichè il principale motivo di ricorso risiede nella critica rivolta alla sentenza nel non avere adeguatamente valutato – offrendo sul punto una motivazione carente ed illogica sia l’attendibilità intrinseca della persona offesa (attendibilità che la difesa contesta anche in questa sede), sia le numerose contraddizioni in cui la parte offesa è incorsa nelle proprie dichiarazioni non solo con riferimento a precedenti dichiarazioni successivamente smentite, ma anche rispetto a dichiarazioni di altre persone; sia le altre testimonianze che – ove attentamente analizzate – avrebbero dovuto indurre la Corte di Appello a conclusioni diverse dalla conferma della colpevolezza in ordine al reato di violenza sessuale.

Appare necessario premettere che la vicenda processuale in esame doviziosamente ricostruita nei suoi passaggi essenziali dalla Corte di Appello, attiene ad una serie di abusi sessuali commessi dall’odierno ricorrente in danno delle propria fidanzata C. I. con la quale era intercorso un rapporto sentimentale di consistente durata ma caratterizzato da un andamento altalenante ed a volte burrascoso.

La Corte territoriale nel ripercorrere le vicende essenziali riguardanti gli episodi di abusi sessuali che avevano visto protagonista la ragazza ed il suo compagno, ha anzitutto fatto un riferimento alla sentenza di primo grado.

Ciò consente di affermare una prima proposizione in linea con l’orientamento giurisprudenziale – seguito in modo corretto e coerente dalla Corte di merito – in virtù del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova poste a base delle rispettive decisioni, si salda ed integra con quella precedente di primo grado(Cass. Sez. 1 26.6.2000 n. 8886; Cass. Sez. 1 2.10.2003 n. 46350).

Ne deriva la piena legittimità di una motivazione per relationem cui è seguita, peraltro, una disamina puntuale ed accurata dei vari punti di criticità denunciati con l’atto di appello concretizzatasi in una analisi autonoma – ma soprattutto specifica ed approfondita – sia delle dichiarazioni rese nel tempo dalla persona offesa, sia delle incertezze e/o contraddizioni che talvolta le hanno caratterizzato, sia delle ulteriori risultanze derivanti da altre significative prove di natura dichiarativa raccolte nel corso del giudizio.

Ciò ha consentito alla Corte di avere un quadro complessivo della vicenda giudicato esaustivo e rassicurante soprattutto in termini di credibilità della principale fonte di accusa. Si profila quindi infondata la critica rivolta alla sentenza asseritamente caratterizzata da una superficiale valutazione della prova o ancor peggio da un vero e proprio travisamento di essa (come denunciato dal ricorrente con riferimento al secondo e terzo motivo di appello).

L’analisi condotta dalla Corte non appare contrassegnata da salti logici ed anzi si caratterizza per il rispetto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema della valutazione delle dichiarazioni della persona offesa laddove queste costituiscano il nucleo fondante dell’accusa e la base del giudizio di colpevolezza.

Riaffermato il principio che l’esame testimoniale della persona offesa può costituire l’unica prova a fondamento del giudizio di responsabilità e che detto esame non è soggetto alla disciplina di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 la Corte di Appello ha sottoposto a rigoroso e specifico vaglio critico, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo (in tal senso ex plurimis, Cass. Sez. 3 27.4.2006 n. 34110; 24 settembre 1997 n. 8606) le dichiarazioni della persona offesa, nel rispetto quindi di quel generale principio secondo il quale il Giudice, nel valutare il tessuto probatorio costituito dalle dichiarazioni del testimone persona offesa, deve mostrare la massima cautela, in considerazione della particolare posizione del teste, senza che la testimonianza da lui resa possa costituire una cd. "prova minore " rispetto a quella resa dal testimone ed. "neutrale (in tal senso Cass. Sez. 3 10.4.2001 n. 20431). Così come l’analisi compiuta dalla Corte di Appello appare perfettamente in linea con altro principio costantemente affermato da questa Corte secondo il quale "le dichiarazioni rese dalla vittima del reato, cui la legge conferisce la capacità di testimoniare, possono essere assunte quali fonti di convincimento al pari di ogni altra prova senza necessità di riscontri esterni (non essendo applicabile al caso il canone di valutazione stabilito dall’art. 192 c.p.p., comma 3); tuttavia il giudice non è esentato dal compiere un esame sull’attendibilità intrinseca del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto dell’assunto della persona offesa". (Cass. Sez. 1 4.11.,2004 n. 46954; Cass. Sez. 3 17.3.1997 n. 2540). Sempre con riguardo alle dichiarazioni rese dal teste-persona offesa dal reato, se è vero che esse costituiscono la prova principale di colpevolezza a carico del prevenuto e se è vero che le dichiarazioni della persona offesa per la particolare veste che assume il testimone, debbono essere valutate, ai fini dell’attendibilità, con particolare rigore, è altrettanto innegabile che l’analisi del racconto non possa prescindere da un esame, altrettanto puntuale ed approfondito sull’attendibilità soggettiva ed intrinseca (quest’ultimo condotto sulla base degli indici di genuinità, coerenza, specificità, mancanza di interesse e spontaneità del racconto) delle dichiarazioni specie quando siano carenti o comunque labili i dati oggettivi emergenti dagli atti a conforto dell’assunto del testimone-persona offesa (n tal senso, Cass. Sez. 3 17 marzo 1997 n. 2540).

Peraltro è noto che il testimone persona offesa, proprio perchè portatore di interessi antagonistici rispetto all’imputato, deve essere sottoposto ad un particolare vaglio critico che tuttavia non autorizza a ritenere inattendibile le sue dichiarazioni in presenza di mere congetture, occorrendo, invece, che siano raccolti elementi positivi idonei a rendere plausibile dal punto di vista oggettivo la mendacità del testimone-persona offesa (in tal senso Cass. Sez. 6 24.2.1997 n. 4946; Cass. Sez. 2 26.4.1994 n. 7241).

Tale rigore valutativo deve essere ancora più penetrante in tutti quei casi in cui il testimone-persona offesa, le cui dichiarazioni costituiscano il nucleo fondante probatorio a carico dell’imputato (come tali pienamente utilizzabili non sussistendo particolari ostacoli processuali al loro ingresso), sia anche costituito parte civile e, dunque, portatore di interessi economici in conflitto con l’imputato, procedendo ove necessario ad una attività di riscontro estrinseco delle sue dichiarazioni (in questo senso Cass. Sez. 6 4.11.2004 n. 443; Cass. Sez. 6 3.6.2004 n. 33162; Cass. Sez. 3 26.8.1999 n. 11829; Cass. Sez. 4 5.2.1997 n. 1027). E proprio con riguardo alla peculiarità dei reati in materia sessuale la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito tali principi in aggiunta alla regola della non necessità di riscontri estrinseci, a condizione comunque che il processo valutativo sulla attendibilità sia stato compiuto senza incongruenze o salti logici, senza che possa assumere rilievo negativo la circostanza che il teste abbia su alcuni particolari riferito circostanze per le quali non sia stata raggiunta la prova della credibilità e su altre riferito fatti intrinsecamente credibili, ben potendo essere ammessa la ed. "valutazione frazionata" delle dichiarazioni della parte offesa specificamente nella materia dei reati contro la libertà sessuale (in termini, Cass. Sez. 3 3.12.2010 n. 1818, L.C., Rv. 249136; Sez. 3 26.9.2006 n. 40170, Gentile, Rv. 235575).

Inoltre non va trascurato il fatto che essendo stato denunciato vizio di motivazione per mancanza o manifesta illogicità di essa in ordine alla valutazione di una prova, il sindacato in sede di legittimità come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte "è necessariamente circoscritto alla sola verifica della sussistenza dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica nonchè dalla congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive" (Cass. Sez. 3 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo). Da qui l’impossibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, tranne che non si versi in ipotesi di apoditticità o illogicità della relativa affermazione. Orbene, con riferimento alla vicenda in esame, la Corte di merito si è attenuta scrupolosamente a tutte queste regole interpretative, saggiando la attendibilità del teste con quel rigore metodologico imposto, più ancora che regole astratte, dalla particolare realtà processuale.

Nessuna incongruenza logica pertanto è ravvisabile nel fatto che la Corte territoriale non ha tenuto conto del mancato coinvolgimento (quali soggetti indagati o imputati) di altre persone inizialmente denunciate come (co)autori del sequestro di persona della giovane C.I. (l’accenno è a congiunti stretti dell’imputato – la sorella ed il cognato), posto che in ogni caso la persona offesa ha indicato l’imputato come autore di quei fatti e non può quindi ritenersi illogica la pronuncia della Corte che rimarca quest’ultima posizione processuale. Assolutamente coerente e logica la considerazione svolta dalla Corte sulla circostanza lamentata a suo tempo nei motivi di appello in ordine alla esistenza di una audiocassetta contenente la registrazione di una conversazione svoltasi tra la denunciante e lo zio che in modo congruo è stata ritenuta sintomatica di una prova artificiosamente costruita dall’imputato (vds. pag. 7 della sentenza impugnata).

Ed anche sulle anomale caratteristiche del rapporto sentimentale la Corte ha mostrato di prestare una attenzione particolare, addirittura superiore a quella emergente dalla sentenza di primo grado, dando una risposta precisa ed esaustiva alle istanze difensive che facevano leva sulla decisa volontà della ragazza di mantenere ad ogni costo il legame sentimentale pur in presenza di obbiettive contingenti difficoltà relazionali.

Così come non può certo dirsi che la motivazione offerta dalla Corte territoriale sui denunciati mutamenti di versione da parte della persona offesa sia mancata, avendo anche in questo caso il giudice di merito fornito puntuali e convincenti spiegazioni – ricollegate alla fragilità caratteriale ed emotiva della ragazza – circa la credibilità complessiva delle sue dichiarazioni e la sostanziale ininfluenza di queste defaillances considerate, a ragione, non essenziali nella economia della vicenda.

A ben vedere deve darsi atto del fatto che le censure di incongruità e carenza della motivazione nei termini in cui sono prospettate dal ricorrente nel primo motivi sub 2), 3), 4) e 5) in realtà contengono doglianze riferibili ad una alternativa ricostruzione degli avvenimenti non proponibili in sede di legittimità.

Non dissimili le considerazioni in ordine al secondo e terzo motivo di ricorso, avendo anche su tali punti la Corte fornito una spiegazione convincente, sia sul piano astratto che in relazione alle concrete emergenze processuali analizzate, sui contenuti delle dichiarazioni del M.llo A. e dello specialista psichiatra Dr. B., senza che nel relativo percorso argomentativo sia ravvisabile quel travisamento di prova denunciato dalla difesa del ricorrente: ed anche in questo caso il ricorrente mostra di censurare le testimonianze rese dai soggetti sopra indicati proponendo una diversa rilettura non consentita in sede di legittimità. Quanto all’ultimo motivo di ricorso afferente ad una omessa e/o illogica motivazione data dalla Corte per giustificare il diniego della richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, lo stesso non è fondato avendo la Corte territoriale congruamente e logicamente spiegato le ragioni del diniego, rifacendosi ai contenuti ed alla valenza dimostrativa – ritenuta particolarmente elevate – delle prove dichiarative già acquisite e correttamente qualificando come superflue e comunque non assolutamente indispensabili quelle ulteriori sollecitate dalla difesa.

L’argomentazione sviluppata sul punto dalla Corte di Appello appare sorretta oltre che da motivazione rispettosa dei principi ermeneutici che stanno alla base del detto istituto processuale (istituto, come è stato ripetutamente affermato, di carattere assolutamente eccezionale) anche da una motivazione specifica proprio in punto di superfluità o comunque non assoluta indispensabilità ai fini della decisione (vds. pag. 8 della sentenza impugnata). Ne deriva che il rigetto della istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello in quanto sorretto da motivazione congrua e logica non è sindacabile in sede di legittimità, residuando la violazione del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) soltanto nel caso di prove nuove sopravvenute non assunte: ipotesi, in quest’ultima, certamente non verificatasi nel giudizio di appello (v. sul punto, Cass. Sez. 4 17.5.2006 n. 4675, P.O. in proc. Bartalini ed altri, Rv. 235654; Cass. Sez. 6 21.5.2009 n. 4675, Messina ed altro, Rv. 245009). Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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