Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-04-2011) 29-04-2011, n. 16672 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

con le ulteriori statuizioni di legge.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente inammissibile perchè con esso la ricorrente censura – malgrado la richiesta di applicazione della pena su sua richiesta – il mancato proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p., a tal fine lamentando omessa motivazione a riguardo.

Invece è noto, conformemente ad orientamento giurisprudenziale da cui questa Corte non ritiene di doversi discostare (v. fra le altre, Cass. n. 2076 del 28.10.2003, dep. 22.1.2004, nonchè, in motivazione da Cass. S.U. n. 18 del 25.10.95; Cass. Sez. 6^ n. 8719 del 21.591, rv. 188083; Cass. 6^ n. 3467 del 9.10.95 rv. 203306 e numerosissime altre), che sull’accordo delle parti ex art. 444 c.p.p. non può prevalere l’assoluzione per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, giacchè il primo rinvia solo alle cause di proscioglimento espressamente indicate dall’art. 129 c.p.p., fra le quali non può annoverarsi – appunto – quella per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova (cfr., ad es., Cass. n. 26008 del 18.5.2007, dep. 5.7.2007).

Nè varrebbe invocare l’equiparazione della mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova alla insussistenza del fatto od alla sua non attribuibilità all’imputato, poichè tale equiparazione è contenuta solo nell’art. 530 c.p.p., comma 2 e nell’art. 425 c.p.p., comma 3, a norma del quale va emessa sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa nel giudizio. Si tratta, infatti, di situazioni processualmente non assimilabili. Nel primo caso, la pronuncia ex art. 530 c.p.p., comma 2. Indica uno dei possibili punti di approdo di uno specifico momento processuale che vede le parti soffermarsi sulle proprie e altrui prove, iter soltanto al termine del quale ha senso constatare, a seconda dei casi, la sussistenza delle condizioni per emettere sentenza di condanna, come prevede l’art. 533 c.p.p., o per pronunciare sentenza di assoluzione secondo le varie formule di rito.

L’art. 425 c.p.p., a sua volta, si innesta nel complesso delle norme che governano l’udienza preliminare, nella quale l’incompletezza delle indagini può condurre solo ad una attività di integrazione probatoria del giudice (art. 422) o ad un provvedimento che dispone ulteriori indagini (art. 421 bis c.p.p.), mai ad una sentenza di non luogo a procedere per insufficienza o contraddittorietà della prova, e nella quale deve pertanto affermarsi, sulla base di una lettura dell’art. 425, comma 3, opportunamente coordinata con quella dei citati arti 422 e 421 bis c.p.p., che la sentenza di non luogo a procedere per insufficienza o contraddittorietà della prova è possibile solo quando l’insufficienza o la contraddittorietà della prova non possa essere sciolta con più complete ed esaurienti indagini. Anche l’art. 425 c.p.p., comma 2, indica, quindi, uno dei possibili punti di approdo di un specifico momento processuale, quello, cioè, dell’udienza preliminare, in relazione al quale, proprio perchè è stato consentito alle parti di soffermarsi, con il giudice, sulle proprie ed altrui prove con poteri diretti o indiretti di integrazione delle eventuali carenze, ha senso la previsione della sentenza di non luogo a procedere anche per insufficienza o contraddittorietà della prova.

E’, dunque, al termine dell’udienza preliminare, ove si sia attraversato questo momento, o dopo il dibattimento, ove l’udienza preliminare sia mancata, che la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova sono equiparate dal legislatore, attraverso la disposizione dell’art. 530 o quella dell’art. 425, alla prova negativa della sussistenza del fatto o della responsabilità dell’imputato. Ciò spiega perchè nell’udienza preliminare la predetta equiparazione può assumere rilevanza, ai fini della immediata applicazione dell’art. 129 e della prevalenza della formula assolutoria su quella di proscioglimento per estinzione del reato prevista dal secondo comma della medesima norma, solo se ed in quanto il GUP abbia accertato che la mancanza o insufficienza della prova non sia dipesa da incompletezza delle indagini e, nel dibattimento (ed in particolare nei procedimenti con citazione diretta a giudizio), soltanto al termine, dopo l’espletamento cioè delle attività necessaria per la formazione dialettica della prova.

In tale senso è anche la giurisprudenza della Corte cost., che nelle ordinanze 26.6.91 n. 300 e 18.7.91 n. 362 espressamente rileva come, prima del dibattimento, l’art. 129 c.p.p. non consente di attribuire valore alla mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova proprio perchè la prova non è stata ancora assunta.

Il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, governato dagli artt. 444 e ss. c.p.p., è, appunto, senza dibattimento, ragion per cui il giudice non può pronunciare sentenza di proscioglimento o di assoluzione per mancanza (non irreversibile), insufficienza o contraddittorietà delle prove desumibili dagli atti del fascicolo del p.m. proprio perchè, altrimenti la rinuncia all’istruzione dibattimentale manifestata dal p.m. con l’accordo ex art. 444 c.p.p. verrebbe strumentalizzata per un fine diverso da quello proprio della norma, il tutto con indebita elusione della regola dell’obbligatorio esercizio dell’azione penale.

Nè può farsi luogo alla diversa qualificazione giuridica del reato invocata in ricorso ( art. 379 c.p. in luogo del contestato delitto p. e p. ex art. 61, n. 7, artt. 110 e 648 c.p.) in base all’assunto che ne mancherebbe la prova dell’elemento soggettivo, al più risultando la mera volontà della ricorrente di aiutare altri ad assicurarsi il prodotto, il profitto o il prezzo di un reato: invero, pur essendo astrattamente deducibile mediante ricorso per cassazione un’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica del fatto è materia sottratta alla disponibilità di parte e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 5 del 19.1.2000, dep. 28.4.2000), nondimeno ciò non è ammissibile laddove la dedotta diversa qualificazione giuridica presupponga un accesso diretto agli atti e un loro apprezzamento nel merito, operazione ovviamente preclusa in sede di legittimità.

In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna della ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.500,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *