T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 27-04-2011, n. 1069 Giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, presentato alla notifica il 21.11.2006 e depositato il successivo 12.12.2006, l’esponente ha impugnato l’atto in epigrafe specificato, con cui l’amministrazione comunale di Cologno Monzese, considerando l’intervento oggetto della domanda di sanatoria alla stregua di una nuova costruzione, ha calcolato l’oblazione complessivamente dovuta facendo riferimento agli importi previsti per la tipologia di abuso 1, anziché a quelli della tipologia 3, come richiesto dall’istante.

Tale qualificazione dell’intervento e la conseguente determinazione degli oneri di legge è contestata dall’esponente sotto più profili, quali:

1) la violazione di legge, con riferimento all’art. 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 380/2001 e all’art. 64, comma 2 della legge regionale Lombardia n. 12/2005.

Ciò, in quanto la norma da ultimo citata espressamente classificherebbe il recupero a fini abitativi del sottotetto (a cui va ascritto l’intervento per cui è causa) come ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. d) della medesima L.R. Quest’ultima norma, poi, riprodurrebbe la definizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 a proposito della ristrutturazione, sicché, a mente della stessa ricorrente, sarebbe indubbio che l’abuso di che trattasi dovrebbe ricadere nella tipologia 3 di cui all’all.1 del d.l. n. 269/2003, conv. in legge dalla L. n. 326/2003. A conferma delle suesposte considerazioni, l’esponente ribadisce che – nel caso di specie – l’intervento si presenterebbe obiettivamente come una ristrutturazione, avendo mantenuto inalterata la volumetria e la sagoma preesistente.

2) l’eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, poiché non sarebbe stato in alcun modo esternato, nell’atto impugnato, l’iter logico seguito dall’amministrazione per pervenire alla contestata determinazione, riqualificando l’abuso in relazione ad una tipologia (la n. 1) diversa da quella (n.3) indicata dall’istante.

Si sono costituiti il Comune di Cologno Monzese e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, solo il primo controdeducendo alle censure avversarie e sollevando, altresì, due eccezioni preliminari.

Alla pubblica udienza del 10.03.2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente, sull’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata da parte del Comune resistente, il Collegio osserva quanto segue.

Secondo la ricostruzione della difesa comunale, il provvedimento impugnato sarebbe stato ricevuto dalla ricorrente in data 21.09.2006, mentre il ricorso sarebbe stato presentato per la notifica soltanto il 21.11.2006, ossia 61 giorni dopo l’avvenuta conoscenza dell’atto lesivo. Da ciò l’eccepita irricevibilità del gravame per tardività dello stesso, in quanto notificato dopo la maturazione del termine di 60 giorni stabilito a pena di decadenza.

L’eccezione deve essere disattesa.

L’azione promossa dalla ricorrente, a ben vedere, si presenta con i caratteri propri di una sostanziale pretesa di accertamento, volta a disconoscere l’obbligazione contributiva configurata a carico della stessa dalla competente autorità comunale.

Detta contestazione, quindi, ha per oggetto la determinazione dell’an e del quantum dell’oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per opere soggette a permesso di costruire in sanatoria, che si presenta come attività di natura paritetica, effettuata dalla p.a. in base a rigidi parametri, prefissati dalle leggi e dai regolamenti vertenti sui criteri impositivi e senza l’esplicazione di potestà autoritativa.

In tali evenienze, com’è noto, deve essere affermata la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, proprio in quanto si tratta di controversie concernenti le rispettive posizioni di diritto soggettivo ed obbligo delle parti del rapporto giuridico in questione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7466; Cons. St., sez. V, 22 novembre 1996, n. 1388).

Al riguardo, si può solo accennare alla previsione di cui all’art. 16 della Legge 28 gennaio 1977 n. 10, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, trattandosi di norma abrogata dall’art. 136, II comma, lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (con decorrenza dal 30 giugno 2003, come da proroga di cui all’art. 2 del d.l. n. 122/2002, convertito nella legge n. 185/2002, mentre l’odierno ricorso risulta notificato e depositato, rispettivamente, nel novembre e nel dicembre 2006 e, quindi, dopo l’avvenuta abrogazione).

Ebbene detta norma, che prevedeva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva dei TT.AA.RR. dei "ricorsi giurisdizionali contro il provvedimento con il quale la concessione viene data o negata nonché contro la determinazione e la liquidazione del contributo e delle sanzioni previste dagli artt. 15 e 18…", è stata da tempo interpretata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel senso che essa, affidando alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale, non soltanto, i ricorsi contro il provvedimento che accorda o nega la concessione edilizia, ma anche, quelli che investono la determinazione e liquidazione del contributo a carico del beneficiario della concessione stessa, nonché l’irrogazione delle sanzioni, introduce un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del predetto giudice amministrativo che, pure in materia di quantificazione del contributo, non può trovare deroghe in favore della giurisdizione del giudice ordinario (cfr. sentenza Cassazione n. 22904 del 14 novembre 2005).

Ebbene, tale orientamento è stato recentemente ribadito dal Giudice del riparto il quale, dopo aver confermato che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, nella quale sono compresi la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, inclusa, altresì, la materia relativa alla determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri di urbanizzazione e relative sanzioni, ha precisato che la cognizione della controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva di quest’ultimo anche quando attiene alla richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni (cfr. Cass. Civ., SS.UU., 20.10.2006 n. 22514, stavolta sulla base del preciso dettato normativo di cui all’articolo 34 del D.lgs. n. 80/1998, come confermato dall’articolo 7 della legge n. 205/2000, con gli adattamenti conseguenti alla sentenza 6 luglio 2004 n.204 della Corte Costituzionale, che, pur abrogato a decorrere dal 16.09.2010 a seguito dell’entrata in vigore del Codice del Processo amministrativo, risulta sostanzialmente riprodotto nell’art. 133, n. 1, lett. f) del d.lgs. n. 104/2010).

In definitiva, quindi, la natura paritetica delle posizioni coinvolte nella fattispecie in contestazione e la previsione della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per "le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle Pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio", di cui all’art. 133 cit., giustificano l’attrazione dell’odierna fattispecie nell’ambito della giurisdizione esclusiva del T.A.R. (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 2258 del 21042006, secondo cui: "In tema di oneri di urbanizzazione, rientranti nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ai sensi dell’art. 16 L. n. 10/1977, la pretesa del privato diretto alla esatta determinazione del contributo dovuto, si atteggia come diritto soggettivo, la cui azionabilità, in sede giurisdizionale, non è subordinata né alla impugnativa di un atto amministrativo formale, né all’osservanza del termine perentorio di decadenza, bensì di quello ordinario di prescrizione. Ed infatti, l’impugnativa riguardante strettamente, l’individuazione del quantum del contributo dovuto, nella sua componente commisurata alle spese di urbanizzazione, afferisce a questioni attinenti a diritti soggettivi, rientranti, appunto, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo; ed è principio assolutamente consolidato ed indiscusso che nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva, ove la controversia si riferisca a diritti patrimoniali che non dipendono dall’esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale, ma ineriscono ad una situazione paritetica tra cittadino ed Amministrazione, concretantesi nella precisa determinazione di un credito patrimoniale che trova la sua base nella legge, il termine per adire il Giudice Amministrativo non è l’ordinario termine di decadenza, ma l’assai più ampio termine di prescrizione del diritto"; analogamente, Sez. V, sent. n. 2543 del 29042000; Sez. VI, sent. n. 960 del 19071996; Sez. V, sent. n. 1317 del 16121993, Sez. V, sent. n. 1145 del 31101992; Sez. V, sent. n. 1235 del 21101991; T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 11 settembre 2008, n. 2078).

Passando ad esaminare la seconda eccezione della difesa comunale, riguardante l’improcedibilità del ricorso per acquiescenza, in conseguenza della mancata impugnazione della nota comunale prot. n. 44913 del 6.11.2006 e della successiva presentazione a cura dell’esponente, allo stesso comune di Cologno Monzese, in data 25.11.2006, delle attestazioni di pagamento integrale di quanto richiesto con il provvedimento impugnato, il Collegio rileva quanto segue.

In via di principio, l’intenzione di prestare acquiescenza ad un atto amministrativo deve comunque risultare in modo chiaro ed irrefutabile dal compimento di atti ovvero da comportamenti assolutamente inconciliabili con una volontà del tutto diversa (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 21 febbraio 2011, n. 1074). In tal senso, va condiviso il principio, predicato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’acquiescenza nei confronti di un provvedimento amministrativo, così come accade in sede processualcivilistica, è configurabile solo in presenza di un comportamento che appaia inequivocabilmente incompatibile con la volontà del soggetto d’impugnare il provvedimento medesimo. Non è sufficiente, dunque, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi necessari od opportuni, nell’immediato, dall’esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, che non per questo escludono l’eventuale coesistente intenzione dell’interessato di reagire, poi, per l’eliminazione degli effetti del provvedimento stesso (cfr. Cass., S.U., 20 maggio 2010, n. 12339; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 27 ottobre 2010, n. 33037, secondo cui l’acquiescenza ad un provvedimento esige, per la sua configurabilità, il compimento di atti o comportamenti univoci posti liberamente in essere dal destinatario dell’atto, che dimostrino la sua chiara ed irrefutabile volontà di accettarne gli effetti e che si riferiscono ad un momento successivo a quello in cui si verifica la lesione dell’interesse legittimo azionato).

Nel caso di specie, a ben guardare, l’istante, non soltanto, non avrebbe potuto conseguire l’auspicato permesso in sanatoria se non ottemperando alla richiesta di pagamento di cui all’atto impugnato (sicché il pagamento in questione è stato tutt’altro che "liberamente posto in essere"), ma, la stessa ha effettuato (il 25.11.2006) detta presentazione delle ricevute di pagamento al Comune, soltanto dopo la notificazione (il 21.11.2006) dell’odierno gravame, sicché il comportamento in esame non si configura affatto come univocamente volto a manifestare acquiescenza al provvedimento determinativo dell’oblazione.

Ciò, senza trascurare di considerare che, come già accennato, qui si verte in materia attratta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per cui l’oggetto del giudizio non si accentra affatto sull’atto contenente la richiesta di pagamento di oneri e contributi, in relazione al quale potrebbe prospettarsi la surriferita acquiescenza, quanto sul rapporto obbligatorio intercorrente fra la richiedente il titolo edilizio in sanatoria e l’amministrazione comunale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1565, nonché, Consiglio Stato, sez. V, 22 gennaio 1987, n. 24, che – proprio facendo leva sul presupposto che le controversie sull’ammontare del contributo per oneri di urbanizzazione hanno ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito e prescindono dall’esistenza di atti della Pubblica amministrazione – escludono che dette controversie siano soggette alle regole delle impugnazioni e dei termini di decadenza propri degli atti amministrativi e, quindi, escludono la configurabilità dell’istituto dell’acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo, in relazione all’assunta corresponsione del medesimo).

Anche la seconda eccezione deve, pertanto, essere disattesa.

Passando ad esaminare il merito del ricorso, il Collegio osserva quanto segue.

In ordine al primo motivo di ricorso, l’esponente si duole, come specificato nella parte in fatto, della qualificazione dell’intervento edilizio come "nuova costruzione" e, quindi, dell’applicazione della tipologia di abuso 1, in luogo della tipologia 3, propria degli interventi di ristrutturazione edilizia a cui, a suo dire, andrebbe ascritto, in forza dell’art. 64, co. 2 della legge regionale n. 12 cit., quello dalla stessa realizzato.

Il motivo è infondato.

Le previsioni contenute nell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, più volte richiamato, concernenti le tipologie di opere abusive suscettibili di sanatoria, includono, nella "tipologia 1", le "opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" e, nella "tipologia 3", le "opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o difformità dal titolo abilitativo edilizio".

Ebbene, per individuare gli interventi edilizi ascrivibili alle citate tipologie, si deve avere riguardo alle definizioni poste dal T.U. in materia edilizia ( d.P.R. n. 380/2001 cit.) e, in particolare, quanto alle opere rientranti nella tipologia 3, alle previsioni contenute nell’art. 3, comma 1, lett. d) del cit. d.P.R., ai sensi del quale costituiscono "interventi di ristrutturazione edilizia", quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente", ivi inclusi "quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente".

Quanto, invece, agli interventi riconducibili alla tipologia 1, soccorre la previsione dell’art. 31, comma 1 del T.U. cit. (rubricato "Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali"), secondo cui "sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile"; sempre a proposito delle "variazioni essenziali", statuisce a riguardo l’art. 32 dello stesso d.P.R. che "l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica", tra l’altro, un "mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968".

Già sulla base dei suesposti riferimenti normativi emerge come, in presenza dell’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto originariamente assentito, in difformità, quindi, della disciplina urbanistica vigente e con mutamento della destinazione d’uso del nuovo organismo edilizio, autonomamente utilizzabile, la normativa nazionale esclude la qualificazione dell’intervento di tal fatto nell’ambito della ristrutturazione edilizia.

Su quest’ultimo aspetto, inoltre, è utile richiamare anche la legge regionale n. 12/2005 che, mentre all’art. 53, comma 1, prevede che: "qualora il mutamento di destinazione d’uso con opere edilizie risulti in difformità dalle vigenti previsioni urbanistiche comunali, si applicano le sanzioni amministrative previste dalla legislazione vigente per la realizzazione di opere in assenza o in difformità dal permesso di costruire", all’articolo precedente (art. 52, comma 1) puntualizza che soltanto "i mutamenti di destinazione d’uso conformi alle previsioni urbanistiche comunali… non mutano la qualificazione dell’intervento".

Ne discende che, il concetto di "nuova costruzione" non riguarda soltanto la realizzazione di un manufatto su area libera, ma include, altresì, ogni intervento di ristrutturazione che renda un manufatto oggettivamente diverso da quello preesistente. Con la precisazione che, tale oggettiva diversità, sussiste ogniqualvolta si abbia un mutamento di destinazione d’uso che implichi la variazione degli standard, poiché detta destinazione d’uso rappresenta un elemento determinante della tipologia del manufatto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 settembre 2008, n. 4256; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 1787; T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 15 febbraio 2010, n. 940).

Passando ad esaminare il caso che qui occupa, giova constatare come l’intervento oggetto di sanatoria abbia sicuramente comportato (cfr. documentazione versata in atti dalla difesa comunale, all. 9 e ss.) l’attribuzione di una destinazione ad uso residenziale ad un sottotetto che in precedenza ne era privo, con conseguente creazione di un volume edilizio di tipo residenziale dapprima inesistente. Nell’originaria concessione edilizia, infatti (C.E.n. 7325/1991 agli atti), il volume del vano sottotetto non era stato considerato nel calcolo del volume esistente e, quindi, non era stato computato nel calcolo degli standard dovuti.

Risulta, pertanto, corretta la decisione assunta dall’intimata amministrazione comunale che, preso atto dell’aggravio degli standard urbanistici provocato dall’intervento di che trattasi, l’ha incluso nella tipologia di abuso 1, ai fini della determinazione degli oneri dovuti (cfr., sulla rilevanza del mutamento di destinazione d’uso, in caso di aumento del carico urbanistico, Consiglio di Stato, sez. IV, 13.7.2010, n. 4546; T.A.R. Lombardia, Milano, II^, 28 marzo 2011, n. 818).

Tale modus operandi risulta coerente con la cit. disciplina regionale in materia di recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti (legge regionale n. 12/2005 cit.) che, pur classificando tale recupero come ristrutturazione edilizia (art. 64 comma 2), stabilisce che la realizzazione di tali interventi "comporta la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria nonché del contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di nuova costruzione (art. 64 comma 7).

Il primo motivo risulta, dunque, infondato.

Quanto al secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta la mancata esplicitazione dell’iter logico seguito dall’amministrazione per la determinazione dell’importo richiesto a saldo della reclamata sanatoria, si rassegnano le seguenti considerazioni.

Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo T.A.R., la determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 9.02.2001, n. 584; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 07 luglio 2010, n. 2847; T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 06 luglio 2010, n. 351; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 15 aprile 2009, n. 3862; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 03 settembre 2008, n. 10035; T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 20 febbraio 2008, n. 113; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 26 aprile 2006, n. 1065;

T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 04 luglio 2005, n. 1082; T.A.R. Calabria, 24.06.1994, n. 758; T.A.R. Lombardia, Brescia, 16.04.1992, n. 425).

Nel caso di specie, a riprova di quanto affermato, va rilevato come la stessa ricorrente ha mostrato di potere risalire alle modalità di calcolo seguite dall’amministrazione per addivenire al saldo qui contestato, come chiaramente emerge dalla ricostruzione contenuta a pg. 3 del ricorso introduttivo. Né si può ritenere che l’apporto di discrezionalità alla fattispecie in questione sia da ricondurre alla riqualificazione dell’abuso (come tipologia 1 in luogo della tipologia 3) operata dall’amministrazione, atteso che, trattasi comunque di attività veicolata sulla base degli elementi forniti dalla stessa richiedente nella domanda di sanatoria, dove (lasciando chiaramente emergere, nel confronto con il titolo edilizio in precedenza conseguito e come poc’anzi indicato, l’avvenuto mutamento di destinazione d’uso dei locali sottotetto con creazione di nuovi volumi), l’amministrazione è stata indotta alla riqualificazione dell’intervento in conformità dei parametri legali in precedenza evidenziati.

Le ragioni della riqualificazione e del conseguente ricalcolo degli oneri, poi, sono state compiutamente esternate dall’amministrazione nella determinazione del 6.11.2006 (agli atti), rilasciata proprio allo scopo di fornire chiarimenti all’istante e da quest’ultima non contestata.

Per le suesposte considerazioni anche il secondo motivo si appalesa, quindi, infondato.

Conclusivamente, il ricorso in epigrafe specificato deve essere respinto.

Sussistono nondimeno valide ragioni, in considerazione della confluenza in subiecta materia di normative di livello statale e regionale di non facile raccordo, per compensare integralmente fra le parti costituite le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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