Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-04-2011) 29-04-2011, n. 16624

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 28.9.10 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza 4.7.06 emessa all’esito di rito abbreviato dal Tribunale di Milano, dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.V. in ordine al delitto di truffa ascrittogli, perchè estinto per intervenuta prescrizione, e – per l’effetto – riduceva la pena a suo carico per il residuo delitto p. e p. ex art. 648 cpv. c.p. avente ad oggetto un assegno bancario di provenienza furtiva a mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa, confermando nel resto le statuizioni di prime cure.

Tramite il proprio difensore il C. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per un unico articolato motivo con cui lamentava vizio di motivazione nella parte in cui i giudici d’appello, basandosi su mere congetture, avevano sminuito il fatto che la persona offesa del delitto di truffa – D.E.M. – non fosse più in grado di riconoscere l’imputato come l’autore della condotta fraudolenta; inoltre, se davvero elemento decisivo a fini di responsabilità era la firma apposta sull’assegno dato in pagamento al D.E., la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre come prova decisiva una perizia grafologica, la cui omissione era deducibile per cassazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) e/o lett. b).

1 – Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze relative alla ricostruzione dei fatti si collocano al di fuori del novero di quelle spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè sostanzialmente consistono in mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno individuato proprio nel C. l’autore della truffa ai danni del D.E. presso il cui esercizio commerciale BA.MA MOTO aveva acquistato ricambi per scooter per un valore complessivo di L. 700.000, pagati con un assegno di provenienza furtiva per garantire il quale l’odierno ricorrente aveva fornito i propri dati identificativi esibendo la carta d’identità il cui smarrimento aveva artatamente denunciato poco prima di porre in essere la condotta fraudolenta.

Sempre l’impugnata sentenza ha constatato l’assoluta corrispondenza della firma apposta sul titolo rubato dato in pagamento alla persona offesa e le firme del C. presenti in atti, elementi – questi – motivatamente ritenuti sufficienti a confermare la penale responsabilità del ricorrente per il delitto di ricettazione e ad escludere la possibilità d’un proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p. in relazione al delitto di truffa, senza che in contrario potesse valere il rilievo che la persona offesa non era stata in grado di riconoscere il ricorrente dato il tempo ormai trascorso dai fatti.

Quanto alla pretesa necessità di una perizia grafologica per attribuire al C. la paternità della firma apposta sull’assegno rubato, si noti che la doglianza è manifestamente infondata sotto svariati profili.

In primo luogo, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di costante insegnamento di questa S.C., non è affatto necessario che la paternità d’una firma sia sempre accertata a mezzo perizia grafica, essendo ben possibile verificarla attraverso elementi diversi come, ad esempio, l’esame diretto della sottoscrizione confrontata con altre certamente riferibili all’imputato (cfr., ad es., Cass. Sez. 2 n. 12839 del 20.1.2003, dep. 19.3.2003, rv. 224744; conf. Cass. Sez. 2 7.5.88 n. 5593, ud.

28.10.87, rv. 178343; Cass. rv. 147063; Cass. rv. 153712).

In secondo luogo, prova decisiva la cui mancata acquisizione è deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) è solo quella relativa ad un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta e ciò va escluso con riferimento ad una perizia perchè essa, proprio per il suo carattere neutro sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) (Cass. Sez. 4 n. 14130 del 22.1.2007, dep. 5.4.2007; conf. Cass. n. 4981/2004; Cass. n. 37033/2003; Cass. n. 17629/2003; Cass. n. 9279/2003; Cass. n. 12027/99; Cass. n. 13086/98; Cass. n. 6074/97; Cass. n. 275/97; Cass. n. 9788/94; Cass. n. 6881/93).

Infine, l’omissione di prova decisiva denunciabile ex art. 606 c.p.p., lett. d) è limitata ai casi previsti dall’art. 495 c.p.p., comma 2 (che suppongono la celebrazione del dibattimento), mentre nella vicenda in esame il processo si è svolto con le forme del rito abbreviato.

2- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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