Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-04-2011) 29-04-2011, n. 16623 Cognizione del giudice d’appello reformatio in peius

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 29.1.09 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il 5.7.07 dal Tribunale della stessa sede, assolveva per non aver commesso il fatto P.S. da svariate accuse di truffa e, per l’effetto, rideterminava in mesi 8 e gg. 15 di reclusione la pena a suo carico per i residui reati (associazione per delinquere e una sola ipotesi di concorso in truffa); confermava in toto la condanna a carico di B.R. sempre per i delitti di cui agli artt. 416, 81 cpv., 110 e 640 c.p. (rispettivamente capo A e capo B nn. 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18).

Questi, in sintesi, i fatti come ricostruiti dai giudici del merito:

la P. e la B. (insieme con altre coimputate) pubblicavano – tramite la Capital System S.r.l., società da loro costituita – annunci di offerte di lavoro e, dopo aver sottoposto a colloquio gli aspiranti che si presentavano in vista di una futura assunzione, facevano loro firmare delle cambiali dicendo che si trattava di semplici bollettini postali per il rimborso del costo di un corso di "visual merchandiser" che avrebbero dovuto frequentare per essere assunti presso non meglio specificate ditte, costo che a sua volta sarebbe stato poi coperto dalle retribuzioni che sarebbero state loro corrisposte dagli ipotetici datori di lavoro presso i quali avrebbero effettuato un periodo di pratica.

Tramite i rispettivi difensori ricorrevano la P. e la B. contro detta sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

La B. lamentava:

a) erroneo diniego, da parte del Tribunale, del rinvio chiesto per l’eventuale applicazione della L. n. 134 del 2003, art. 5 sul c.d.

"patteggiamento allargato", istanza che era stata respinta senza considerarne la proponibilità già all’udienza preliminare;

b) erroneo rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale, avendo l’impugnata sentenza (così come quella di prime cure) trascurato che ex art. 8 c.p.p. in caso di permanenza del reato (come quello p. e p. ex art. 416 c.p.) la competenza si radicava nel luogo in cui aveva avuto inizio la consumazione, nella fattispecie in Mondovì (luogo di redazione dell’atto costitutivo della società) o in Savigliano (sede legale della predetta società) e quindi, in entrambi i casi, nel circondario del Tribunale di Cuneo; ciò escludeva la necessità di ricorrere alle regole suppletive dell’art. 9 c.p.p.;

c) avvenuta prescrizione del reato di truffa, l’ultimo dei quali, consumatosi il (OMISSIS), si era estinto il 17.3.2010, vale a dire dopo la pronuncia della sentenza impugnata, ma prima della notifica dell’avviso di deposito della sentenza medesima, notificato al difensore della P. il 28.5.10, di guisa che ex art. 129 c.p.p., comma 1 la Corte territoriale, una volta decorsa la data del 17.3.10, avrebbe dovuto dare atto dell’intervenuta prescrizione dei reati di truffa;

d) vizio di motivazione riguardo al delitto di truffa, vuoi per l’inidoneità a fini truffaldini della condotte contestate (atteso che la Capital System S.r.l. non procurava posti di lavoro, ma si limitava a segnalare le opportunità di colloqui di lavoro nei tempi e nei modi in cui pervenivano da aziende o da privati), vuoi per l’essersi basata la ricostruzione dei fatti accolta in sede di merito unicamente sulla deposizione delle persone offese, senza considerare che le testi M. e O. avevano confermato che i corsi erano regolarmente cominciati e si erano interrotti solo per l’intervento della G.d.F. a seguito delle denunce che avevano portato all’instaurazione del processo;

e) vizio di motivazione riguardo al delitto di associazione per delinquere, di cui avrebbero fatto parte, oltre alla B. e alla P., R.R. e R.F.: da un lato non vi era prova delle azioni che avrebbero dovuto svolgere le due associate incaricate di svolgere i colloqui con le parti offese (il che avrebbe escluso il numero minimo di associati per la configurabilità del delitto p. e p. ex art. 416 c.p.), dall’altro la penale responsabilità della B. era stata ricavata soltanto dalla sua posizione apicale all’interno della Capital System S.r.l.; in realtà, la sua presenza nella sede di Torino era stata tanto rara che la segretaria M. pensava che si trattasse soltanto di un’amica; inoltre, dopo la prima visita della G.d.F. la B. aveva espressamente invitato a non promettere posti di lavoro; in breve, non vi era prova del ruolo svolto dalla ricorrente, della sua consapevolezza del contenuto dei colloqui, delle istruzioni fornite alle operatrici e della consapevolezza di far parte di un sodalizio criminoso;

f) violazione del divieto di reformatio in peius nella parte in cui alla B. era stata attribuita la diretta commissione di un reato- fine sol perchè un teste aveva ricordato il nome della ricorrente come quello di una delle esaminatrici.

La P. deduceva:

g) vizio di motivazione in ordine al ritenuto elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 416 c.p., atteso che ella aveva svolto un solo colloquio – con F.R. – e non risultava che avesse ricoperto ruoli operativi all’interno della Capital System S.r.l., di guisa che non poteva desumersi la sua penale responsabilità per il reato associativo dalla commissione di un singolo reato-fine;

h) ulteriore vizio di motivazione emergeva dal fatto che la P. aveva avuto un colloquio solo con F.R., di cui al capo b) n. 1, reato dal quale era stata assolta in appello per non aver commesso il fatto, mentre era stata confermata la sua condanna per la truffa rubricata al capo b) n. 4 (la cui parte offesa era B. V.): tale contraddizione emergeva sia nella motivazione che nel dispositivo dell’impugnata sentenza.

1- Il ricorso della B. è inammissibile.

Il motivo che precede sub a) è manifestamente infondato, atteso che la L. 12 giugno 2003, n. 134, art. 5 conteneva una norma transitoria destinata a rendere applicabile il c.d. patteggiamento allargato anche nei processi in cui, alla data di entrata in vigore della legge, il dibattimento fosse già in corso: di qui la previsione, al comma 2, di una sospensione del dibattimento per almeno 45 giorni per consentire all’imputato di valutare l’opportunità di accedere al rito alternativo.

E’ chiaro, dunque, che la norma transitoria, proprio perchè tale, non trovava applicazione nei processi che alla data di entrata in vigore della legge fossero (come quello di cui oggi si discute) ancora in fase di udienza preliminare e prima delle conclusioni, vale a dire in un momento in cui era normalmente ancora possibile, per l’imputata, formulare istanza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p..

Per l’effetto, restava esclusa qualsivoglia necessità di ricorrere al diverso meccanismo che il cit. art. 5 apprestava al solo fine di rimettere in termini imputati che non avevano avuto la tecnica possibilità di avvalersi della nuova più favorevole disciplina del rito alternativo.

2- Ancora manifestamente infondato è il motivo che precede sub b) perchè l’impugnata sentenza – senza negare l’applicazione dell’art. 8 c.p.p., comma 3 sul criterio di competenza territoriale per i reati permanenti – ha, con motivazione immune da vizi logico-giuridici, individuato il luogo di consumazione del delitto p. e p. ex art. 416 c.p. in Torino, dove si era avuta non già la mera ideazione, ma anche la programmazione e la direzione delle attività criminose facenti capo alla contestata associazione per delinquere (cfr. Cass. Sez. 1 n. 17353 del 9.4.09, dep. 23.4.09, nonchè Cass. Sez. 2 n. 29021 del 30.6.10, dep. 23.7.10, che questa S.C. ritiene di condividere), in una parola nel luogo in cui per la prima volta era divenuta operativa l’associazione, dove venivano contattate le persone offese delle truffe e svolti i colloqui.

3- Del pari manifestamente infondato è il motivo che precede sub c), in quanto alla data di pronuncia del dispositivo la prescrizione non era ancora maturata; nè poteva essere dichiarata nel corso del termine per il deposito della motivazione fissato in giorni 90 ai sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 3, noto essendo che con la pronuncia del dispositivo il giudice perde la potestas iudicandi in ordine all’imputazione oggetto del processo, non potendo fare altro che esplicitare, in seguito, la motivazione del proprio decisum con riferimento, appunto, alla data del dispositivo.

La prescrizione spirata dopo tale momento può essere dichiarata, se del caso, soltanto dal giudice del grado successivo, il che non è nel caso di specie stante l’inammissibilità dell’impugnazione della B. (e di quella della P.: v. infra).

Valga, infatti, in proposito il noto principio – ormai consolidatosi a partire da Cass. S.U. n. 32 del 22.11.2000, dep. 21.12.2000 – per cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione, anche se per manifesta infondatezza dei relativi motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (cfr. ad es. Cass. Sez. 1 n. 24688 del 4.6.2008, dep. 18.6.2008; Cass. Sez. 4 n. 18641 del 20.1.2004, dep. 22.4.2004, e numerosissime altre).

Del pari è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, in quanto esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 c.p.p. (cfr., ad es., Cass. S.U. n. 33542 del 27.6.2001, dep. 11.9.2001).

Tale motivazione va estesa anche alla richiesta di declaratoria di prescrizione formulata all’odierna udienza nell’interesse della ricorrente P..

4- I motivi che precedono sub d) e sub e) si collocano al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p. perchè sostanzialmente in essi si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente e logica hanno dato atto che la stessa B. ha ammesso che le imputate non disponevano di alcun contatto con il mondo del lavoro e che, quindi, il corso prospettato alle persone offese non poteva favorirne in alcun modo l’accesso ad un’occupazione.

Ancora i giudici del merito hanno evidenziato, a riprova dell’elemento soggettivo dei reati in discorso, i precedenti delle odierne imputate, che avevano messo in moto identico meccanismo fraudolento attraverso la Netamico S.r.l., riportando condanna ad opera del GUP del Tribunale di Milano con sentenza 5.5.04, sempre per i delitti di cui agli artt. 416, 81 cpv., 110 e 640 c.p..

Quanto alla pretesa inidoneità a fini truffaldini della condotte contestate, essa è stata smentita in sede di merito dal rilievo che le truffe si sono puntualmente consumate, avendo le persone offese versato del denaro in cambio di prospettive di lavoro che le imputate non potevano in alcun modo non solo garantire, ma neppure agevolare.

Le argomentazioni svolte in ricorso (con cui si richiama il tenore di talune deposizioni) mirano soltanto a sollecitare un nuovo apprezzamento in punto di fatto delle risultanze dibattimentali, il che è precluso in sede di legittimità. 5- Il motivo che precede sub f) è generico e sostanzialmente criptico, atteso che una reformatio in peius in ipotesi di appello dell’imputato può verificarsi solo nei limiti e nei termini di cui all’art. 597 c.p.p., comma 3, il che non può essere avvenuto nel caso di specie, essendosi la Corte territoriale limitata a confermare in toto le statuizioni di prime cure riguardanti la B..

Eventuali mere discrasie motivazionali tra la pronuncia di primo grado e quella di appello non implicano violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3. 6- Il primo motivo del ricorso della P., che precede sub g), è manifestamente infondato perchè il dolo proprio del delitto di cui all’art. 416 c.p. non è stato desunto solo dalla commissione di uno dei reati-fine, ma anche dalla partecipazione della P. alla riunione in cui tutte le imputate, dopo il primo intervento della G.d.F. e dopo aver appreso di indagini sulla Capital System S.r.l., si erano reciprocamente raccomandate di omettere, durante i futuri colloqui, qualsiasi riferimento ad eventuali occasioni di impiego; ne deriva, nell’ottica della motivazione dell’impugnata sentenza, uno stretto rapporto fra le imputate nella comune consapevolezza dell’attività illecita svolta nei colloqui de quibus.

Inoltre, anche per la P. vale quanto sopra ricordato per la B. in ordine alla precedente condanna riportata da tutte le imputate per identico meccanismo fraudolento messo in opera in anni precedenti a Milano, a dimostrazione d’un collaudato accordo criminoso.

7- Il motivo che precede sub h) è manifestamente infondato perchè costituisce mero errore materiale il riferimento, quanto all’assoluzione, al n. 1 anzichè al n. 4 del capo B dell’editto accusatorio; infatti, sia nel dispositivo che nella motivazione dell’impugnata sentenza si da atto della condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del grado in favore della parte civile F. R., il cui colloquio era stato condotto proprio dalla P. (come sempre si afferma in motivazione).

Tale errore materiale (sostanzialmente irrilevante) non è emendabile nella presente sede ostandovi il disposto dell’art. 130 c.p.p., comma 1, secondo periodo, vista l’inammissibilità del ricorso.

8- In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità di entrambi i ricorsi. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di ciascuna di esse al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 500,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nelle impugnazioni, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuna della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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