Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 29-04-2011, n. 16727 Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore della Repubblica di Padova proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa il 22 settembre 2010 dal Tribunale di Padova quale giudice del riesame che, in accoglimento del ricorso proposto da S.E., annullava il decreto di convalida di sequestro probatorio in data 7 agosto 2010, disponendo la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.

Il sequestro era stato effettuato nell’ambito di attività di indagine concernente il reato di illecita gestione di rifiuti provenienti dalla demolizione di manufatti già destinati ad uffici amministrativi del presidio ospedaliero di (OMISSIS) effettuata dalla Brenta Demolizioni srl, della quale l’indagato è legale rappresentante.

Deducendo la violazione di legge, il Pubblico Ministero ricorrente rilevava come erroneamente il Tribunale avesse ritenuto che la convalida del sequestro fosse inficiata dalla totale carenza di motivazione mentre, al contrario, lo stesso provvedimento conteneva un legittimo rinvio per relationem alle dettagliate indicazioni formulate dalla polizia giudiziaria circa le attività di controllo espletate, le esigenze probatorie e gli elementi costituitivi del reato.

Rilevava, inoltre, un ulteriore motivo di illegittimità del provvedimento impugnato nella erronea qualificazione del materiale proveniente da demolizione come sottoprodotto.

Specificava, a tale proposito, che trattavasi di rifiuti, peraltro non sottoposti ad alcun trattamento diverso dall’adeguamento volumetrico e come tali qualificati nel FIR dallo stesso produttore mediante l’attribuzione del codice CER 17.09.94.

Mancavano pertanto i requisiti di legge tanto per la qualificazione degli stessi come sottoprodotto, non derivando da un processo direttamente destinato alla loro produzione, quanto per la classificazione come materie prime secondarie perchè non sottoposti ad un preventivo trattamento di riutilizzo, riciclo o recupero.

Osservava, infine, che le indagini avevano evidenziato che i rifiuti venivano trasportati con false indicazioni, sui formulali, circa la destinazione finale in quanto la documentazione recava l’indicazione di un sito autorizzato in (OMISSIS), mentre i rifiuti venivano stoccati nella sede operativa della azienda in (OMISSIS), sito non autorizzato, per poi essere utilizzati come materie prime secondarie senza alcun preventivo trattamento.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 30 marzo 2011, la difesa dello S. depositava memoria con la quale si chiedeva dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi il ricorso del Pubblico Ministero.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Per quanto riguarda la totale mancanza di motivazione nella convalida del Pubblico Ministero, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, questi deve fornire il provvedimento con il quale dispone o convalida il sequestro di adeguata motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti (Sez. 6, n. 21736, 29 maggio 2008).

Con riferimento a tale motivazione si è ritenuto però sufficientemente argomentato il provvedimento nel quale il Pubblico Ministero richiami per relationem, ai fini dell’individuazione del fatto per cui si procede e delle ragioni del sequestro, gli atti redatti dalla polizia giudiziaria, senza necessità di riprodurli ed è stata esclusa, in tale ipotesi, una eventuale lesione del diritto di difesa, che risulta garantito dalla consegna del verbale di sequestro e, comunque, dalla notifica del provvedimento del PM e dal successivo deposito ex art. 324 c.p.p., comma 6 (Sez. 3, n. 20769, 3 giugno 2010, citata anche dal ricorrente; Sez. 2, n. 38603 18 ottobre 2007; Sez. 5, n. 7278, 28 febbraio 2006; Sez. 5, n. 2108, 8 giugno 2000).

In definitiva, tranne nei casi in cui l’esigenza probatoria del "corpus delicti" sia in "re ipsa" (v. Sez. 4, n. 8662, 3 marzo 2010, relativa ad un sequestro di stupefacenti) è necessario che il provvedimento di convalida di sequestro probatorio effettuato dal Pubblico Ministero o il decreto di sequestro probatorio dallo stesso emesso contengano, quantomeno, una indicazione, ancorchè essenziale e sintetica, delle esigenze probatorie che giustificano il vincolo.

Tali principi, che il Collegio condivide, vanno pertanto riaffermati.

Nella fattispecie, risulta dagli atti che questa Corte è tenuta a consultare quando, come nel caso in esame, il ricorso verte su questioni processuali rispetto alle quali il giudizio di legittimità si estende al fatto (Cass. SS. UU. 42792, 28 novembre 2001), che il provvedimento di convalida conteneva, come affermato in ricorso, un richiamo agli atti della polizia giudiziaria con la puntuale specificazione che gli stessi dovevano intendersi come parte integrante del provvedimento.

Tale indicazione era pertanto più che sufficiente, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale del riesame, per l’assolvimento dell’onere motivazionale che incombeva sul rappresentante dell’ufficio di Procura.

Altrettanto errato si palesa l’impugnato provvedimento in ordine alla qualificazione dei materiali sequestrati come sottoprodotti.

A prescindere dal fatto che detti materiali erano qualificati come rifiuti dallo stesso detentore, mediante l’attribuzione del codice CER 17.09.94 relativo a "rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 17 09 01, 17 09 02 e 17 09 03" e dalla evidente contraddizione in cui incorre il Tribunale nell’indicare dapprima tali materiali come sottoprodotti per poi affermare che "…il medesimo materiale destinato allo smaltimento veniva invece conferito presso altra sede della medesima ditta", va osservato che si trattava di rifiuti e non di sottoprodotti.

Invero, la disciplina relativa ai sottoprodotti vigente all’epoca del sequestro (la normativa di riferimento, come è noto, ha recentemente subito modifiche ad opera del D.Lgs. n. 205 del 2010) così li definiva (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. p): "le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a).

I sottoprodotti, inoltre, dovevano soddisfare tutti i seguenti criteri requisiti e condizioni:

– dovevano essere originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione;

– il loro impiego doveva essere certo, sin dalla fase della produzione, integrale e doveva avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito;

– dovevano soddisfare requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non desse luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove erano destinati ad essere utilizzati;

– non dovevano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto precedente, ma dovevano possedere tali requisiti sin dalla fase della produzione;

– dovevano avere un valore economico di mercato.

Inoltre, alla luce del tenore letterale della norma, la sussistenza delle condizioni indicate doveva essere contestuale e, anche in mancanza di una sola di esse, il residuo rimaneva soggetto alle disposizioni sui rifiuti (Sez. 3, n. 47085,19 dicembre 2008).

Ciò posto, deve rilevarsi che, come emerge chiaramente dalla disposizione in esame, quella dei sottoprodotti è una disciplina che prevede l’applicazione di un diverso regime gestionale in condizioni di favore, con la conseguenza che l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge incombe comunque su colui che l’invoca.

Si tratta di un principio più volte affermato da questa Corte anche con riferimento ad altre discipline derogatorie in tema di rifiuti (v. ad es. Sez. 3, n. 9794, 8 marzo 2007; Sez. 3, n. 37280, 1 ottobre 2008; Sez. 3, n. 35138, 10 settembre 2009 in tema di terre e rocce da scavo; Sez. 3, n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3, n. 21587, 17 marzo 2004;. Sez. 3, n. 30647, 15 giugno 2004 in materia di deposito temporaneo) che il Collegio condivide e dal quale non intende discostarsi.

Nella fattispecie, nessuna indicazione in tal senso risultava fornita dall’indagato ed, anzi, gli elementi risultanti dal tenore del provvedimento impugnato depongono per una oggettiva qualificazione del materiale come rifiuto.

Va peraltro osservato che, in ogni caso, che anche alla luce delle disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 205 del 2010 i termini della questione non sarebbero mutati, difettando comunque la sussistenza contestuale dei requisiti richiesti dalla norma e la prova da parte di chi invoca l’applicazione della disciplina di favore.

Correttamente il Pubblico Ministero ricorrente ha poi escluso che i materiali sequestrati possano qualificarsi come materie prime secondarie.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 181 bis che disciplinava materie, sostanze e prodotti secondari, stabiliva che tali materie non rientravano nella categoria dei rifiuti a condizione che rispettassero determinati criteri, requisiti e condizioni:

– dovevano essere prodotte da un’operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;

– la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre dovevano essere individuate;

– dovevano essere individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producevano, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio;

– dovevano essere precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l’immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l’utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all’ambiente e alla salute derivanti dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario;

– dovevano avere un effettivo valore economico di scambio sul mercato.

Pare superfluo osservare che, anche in questo caso, tutti i requisiti appena indicati dovevano coesistere e che, nella fattispecie, manca qualsiasi elemento che possa farli ritenere sussistenti.

In conclusione, deve affermarsi il principio secondo il quale i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifluii in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, l’eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi; l’eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge.

Il ricorso deve pertanto essere accolto con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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